Sotto il fragore del cielo
da tempo oramai tacciono
i canti della campagna.
Resto silenzio. Lavoro
mi rendo forma, spazio.
Suo tempo prossimo.
Così il peso, la consistenza
stessa del papiro. Oppure la tavoletta,
l’ostrakon segnato dallo stilo
di bronzo, anonimo custode di voce
che contro ogni vostra rappresentazione
è solo ascolto: io discepolo, appena,
d’un testimone egli sì interamente
travolto dalla voce dell’Altro.
Ma al suo posto la lucerna dimora.
Già il mio lavoro s’è fatto preghiera
ho fatto tenda di questo palazzo:
sporche le mani e i piedi oramai
viaggio nel suo verso, solo
che tu lo accolga
che gli apra
è già qui il suo giorno
già ora ti opera
accanto, dentro.
Attraverso.
Stasera oltre il deserto
orizzonte dei pascoli, basalto
del cielo che il vermiglio divora,
basti a te stesso
o hai un granello di fede
a chiedere aiuto? Allora
che bruci tutto, che crollino pure
tutte le false certezze
rovesciate nel gran tino dell’ira:
io ho deciso a chi affidare
la mia paura.