Legión etérea #2 – Vicente Aleixandre, Poemas de la consumación

Traduzioni a cura di Sarah Talita Silvestri e Giovanni Ibello

Vicente Aleixandre, poeta spagnolo (Siviglia 1898 – Madrid 1984) appartenente alla «generazione del ‘27» e premio Nobel per la letteratura nel 1977. La solidarietà amorosa con il cosmo e con l’uomo, in una suggestiva lotta di sentimenti e di ideali costituisce il centro di tutta la sua opera poetica. Ámbito (1928), Espadas como labios (1932), Pasión de la tierra (1935), La destrucción o el amor (1935), Sombra del paraíso (1944), Mundo a solas (1950), Nacimiento último (1953), sono le raccolte che, con grande omogeneità, rivelano la concezione che il poeta ha del cosmo, degli elementi come unica realtà affettiva del creato. Poi, con Poemas paradisíacos (1952), Historia del corazón (1954), En un vasto dominio (1962), Retratos con nombre (1965), Presencias (1965), Poemas varios (1967), Poemas de la consumación (1968), A. integra e arricchisce la propria poetica, stemperando quella concezione cosmica in una dimensione temporale e facendosi quindi più attento alla concreta realtà umana: di qui una visione della vita come sforzo, come continuo affanno per realizzare sé stessi. Tra le sue opere in prosa: Algunos caracteres de la nueva poesía española (1955), Los encuentros (1958), Invocaciones y pareceres (1964). Fonte: Treccani.it.

Poche parole

Poche parole
al tuo orecchio. Poca è la fede dell’uomo che esita.
Vivere a lungo è l’abisso, il dardo del sapere è il non sapersi.
Eppure io parlo. Ripetano i miei occhi quel che tracciano.
La tua grazia e il nome del fiume il pianto, e il bosco,
tutti i soli del mondo.

Ogni cosa vista è tenuta. Questo ripetono gli occhi.
Se li interroghi otterrai risposta, loro non chiedono.
Perché se poi dalla luce snodano
il colore, e dall’oro il fango
e dal sapore il suo pozzo diamante,
indietro non lasciano i baci e i suoni e gli odori;
hanno visto grandi alberi e gemiti nella pace,
il fu della fiamma e della brace, le venature
e l’oltremare, il mare buio, con le sue spine di sonno
e a riva della grazia i resti ormeggiati.

Solo poche parole mentre qualcuno tace;
quelle del vento tra le foglie, e io ti bacio.
Poche parole facili se nel tuo seno trovo commiato.
Batte l’acqua sulla pietra. Io sono calmo e muoio.

Traduzione di Giovanni Ibello

Unas pocas palabras, da Poemas de la consumación, Plaza y Janés, Barcelona 1968.

Unas pocas palabras en tu oído diría.
Poca es la fe de un hombre incierto.
Vivir mucho es oscuro, y de pronto saber no es conocerse.
Pero aún así diría. Pues mis ojos repiten lo que copian:
tu belleza, tu nombre, el son del río, el bosque,
el alma a solas.

Todo lo vio y lo tienen. Eso dicen los ojos.
A quien los ve responden. Pero nunca preguntan.
Porque si sucesivamente van tomando
de la luz el color, del oro el cieno
y de todo el sabor el pozo lúcido,
no desconocen besos, ni rumores, ni aromas;
han visto árboles grandes, murmullos silenciosos,
hogueras apagadas, ascuas, venas, ceniza,
y el mar, el mar al fondo, con sus lentas espinas,
restos de cuerpos bellos, que las playas devuelven.

Unas pocas palabras, mientras alguien callase;
las del viento en las hojas, mientras beso tus labios.
Unas claras palabras, mientras duermo en tu seno.
Suena el agua en la piedra. Mientras, quieto,
estoy muerto.

***

Non bramare

Ti ho amato come mai prima.
Pervinca come il morire della notte,
tu eri l’occulto carapace
che si eclissa nella roccia per l’ardente
avvento della luce.
Eri l’ombra sgraziata
che solidifica tra le dita quando al suolo dormiamo da soli.

A nulla varrebbe baciare il tuo incrocio mutevole di sangue,
dove veleggiava improvvisamente il battito
e altre volte veniva meno come un mare che disdegna la sabbia.
La viva sterilità di occhi sfioriti
che io leggevo attraverso le lacrime,
blandizia a lacerare le pupille
senza neppure serrare le palpebre a difesa.
Che forma sublime
quella della terra nelle notti estive,
quando riversi al suolo si sfiora questo mondo rotante,
la spenta aridezza,
sordità abissale,
il rifiuto di tutto
che fluisce quasi più lontano di un singulto.

Tu, infelice che dormi
senza sentire la stessa luna mutilata
che gemente a stento ti tocca;
tu, infimo che viaggi
con la tua mente sterile tra il turbinio di braccia,
non baciare il silenzio innocente dove mai
scruti il sangue,
dove sarà vana la ricerca di quel tepore
che si sugge dalle labbra
e fa deflagrare il corpo come l’azzurro di una notte fosca.

No, non bramare quella misera goccia,
quel mondo costretto ai margini del sangue,
la lacrima pulsante
dentro cui il volto si poggia trovandone sollievo.

Traduzione di Sarah Talita Silvestri

No busques, no, da La destrucción o el amor, Madrid 1935

Yo te he querido como nunca.
Eras azul como noche que acaba,
eras la impenetrable caparazón del galápago
que se oculta bajo la roca de la amorosa
llegada de la luz.
Eras la sombra torpe
que cuaja entre los dedos cuando en tierra dormimos solitarios.

De nada serviría besar tu oscura encrucijada de sangre alterna,
donde de pronto el pulso navegaba
y de pronto faltaba como un mar que desprecia a la arena.
La sequedad viviente de unos ojos marchitos,
de los que yo veía a través de las lágrimas,
era una caricia para herir las pupilas,
sin que siquiera el párpado se cerrase en defensa.

Cuán amorosa forma
la del suelo las noches del verano
cuando echado en la tierra se acaricia este mundo que rueda,
la sequedad oscura,
la sordera profunda,
la cerrazón a todo,
que transcurre como lo más ajeno a un sollozo.

Tú, pobre hombre que duermes
sin notar esa luna trunca
que gemebunda apenas si te roza;
tú, que viajas postrero
con la cabeza seca que rueda entre tus brazos,
no beses el silencio sin falla por donde nunca
a la sangre se espía,
por donde será inútil la busca del calor
que por los labios se bebe
y hace fulgir el cuerpo como con una luz azul si la noche es de plomo.

No, no busques esa gota pequeñita,
ese mundo reducido a sangre mínima,
esa lágrima que ha latido
y en la que apoyar la mejilla descansa.

***

Profondo

Abbiamo visto
quei volti sterminati, d’altri confini la pienezza,
la sezione lucente di una vetta solenne
e il mare laggiù, con l’unico naviglio
che remeggia su aghi come flutti.

Ma se il male dell’esistere si regge sulla cognizione
del morire ogni giorno come schiuma votiva,
una parola non basta a glorificarne il ricordo
poiché il destino ci attanaglia dentro schegge di luce.

Fragori e volatili, l’esilio di tanti baci,
uomini-segnacolo supplici sulla muraglia.
Al mare riarso, al mare sfatto del suo grembo.
La sua reliquia di pesci marciti al fondo.

Scorrono baci, esistenze che popolano la terra.
Domate gli echi che replicavano ogni nome…
Le voci senza tempo ci chiamavano e noi sordi,
o nel torpore, ammiriamo esanimi coloro che amavamo.

Traduzione di Sarah Talita Silvestri

Supremo fondo, da Poemas de la consumación, Plaza y Janés, Barcelona 1968.

Hemos visto
rostros ilimitados, perfección de otros límites,
una montaña erguida con su perfil clarísimo
y allà la mar, con un barco tan sólo,
bogando en las espinas como olas.

Pero si el dolor de vivir como espumas fungibles
se funda en experiencia de morir día a día,
no basta una palbra para honrar su memoria,
que la muerte en relámpagos como luz nos asedia.

Pájaros y clamores, soledad de más besos,
hombres que en la muralla como signos imploran.
Y allá la mar, la mar muy sec, cual su seno, y volada.
Su recuerdo son peces putrefactos al fondo.

***

Bacio postumo

Sia silenzio ancora la mia bocca sulla tua,
io ti respiro. O sogno nel vivere, o vivere.
L’arcadia della vita è dentro il bacio
che di sé stesso vive e senza noi risplende.
Siamo la sua ombra. Se il bacio è il corpo,
noi non siamo.

Traduzione di Giovanni Ibello

Beso postumo, da Poemas de la consumación, Plaza y Janés, Barcelona 1968.

Así callado, aún mis labios en los tuyos,
te respiro. O sueño en vida o hay vida.
La so spechada vida está en el beso
que vive a solas. Sin nosotros, luce.
Somos su sombra. Porque él es cuerpo
cuando ya no estamos.