Un ragno ha preso possesso dell’ascensore;
sospeso all’acuminato angolo d’alluminio
con sospettoso ottuplo occhio sorveglia
ogni corpo che scende ogni corpo che sale,
inceppato nell’intreccio serico della tela
inferisce giudizi ferisce con dubbi
il sensibile orecchio condominiale.
Il ragno ha preso possesso dell’ascensore;
l’ignota origine non impedisce la confidenza
(il netturbino del terzo piano lo nutre persino
sospirando con fiale di ansie in mano, e suda,
incanalato compresso sotteso alle zampe filanti
inumidite da ciò che di lui evapora)
c’è chi ne ha fatto persino un culto, un vanto,
e sono state dimenticati i biglietti da visita
della disinfestazione, le notti insonni passate
con le dita stoppate a pochi passi dal telefono in pianto.
Il ragno ha preso possesso dell’ascensore
non si sa più da quanto tempo da quanti anni
forse è sempre stato lì, appeso fastidio umidiccio
che un po’ su un po’ giù solletica le vecchie nuche stanche:
sono momenti di cuori che fibrillano dubbi,
di maestosi castelli di vetro paranoico dove
di colpo ogni movenza è ragno, ogni pensiero è ragno,
l’azione l’energia la ragione il campo percettivo è ottuplicato
ma la trappola è chiusa l’ascensore si è fermato.