Dato Magradze – “Certificato di residenza”

MAGRADZE 1

Dato Magradze (Georgia, 1962) già Ministro della Cultura del suo Paese durante il governo di Eduard Shevardnadze, autore dell’Inno Nazionale della Georgia e nel 2011 candidato al Premio Nobel per la Letteratura, è il maggior poeta vivente georgiano. Laureato in filologia all’Università di Tbilisi, esordisce in poesia nel 1980. Dal 1997 è presidente del PEN georgiano. Le sue poesie sono state tradotte in armeno, inglese, tedesco, russo e -per Giuliano Ladolfi Editore- in italiano. 

 Dato Magradze
Certificato di residenza
dalla raccolta Eco
(in uscita oggi e presentata ufficialmente il 15 giugno 2015 al 21° Festival Internazionale di Poesia di Genova)
traduzione dal georgiano di Nunu Geladze Fusco

 

la redazione avvisa che non è stato possibile pubblicare il testo originale in alfabeto georgiano a causa di un’impossibilità di formattazione imposta dalla piattaforma sulla quale la rivista è appoggiata. Si è deciso di pubblicarne comunque un estratto in formato JPG.

 

CERTIFICATO DI RESIDENZA
                                                                             

Dedico a Silvana e a Sergio Cornacchia, i quali mi hanno                                                                                                                             
concesso la loro dimora come se mi conoscessero

da sempre.
Dedico anche ad Astorino di Crotone che, vedendomi entrare                                         
con fogli e penna in mano nel suo bar, abbassava

il volume della musica

Mi è stato rilasciato questo certificato
perché sono nato qui
e non a Betlemme o in qualche palazzo.
Da quando mia nonna mi pose, neonato,
tra le braccia di sua figlia, vivo
con il timore di una lunga fila per un documento
di consenso all’espatrio, e di udire le voci:
– Fermi!
– Mi lasci andare!

Siccome non intendo mettermi in coda,
né intrufolarmi né accostarmi senza far la fila,
con quale consapevolezza lo ricevo,
se non sono uno che distende sulla riva del fiume
un gregge di agnelli al pascolo
accompagnandolo col suono dell’arpa?!

Agnello e Arpa – Salmi di Davide –
…vanno avanti le traverse
vicende di Eva e del Vangelo.
Avanzo anch’io verso la Valle d’Arghuni*,
sentiero stretto che mi è stato destinato dalla Patria
e così cerco di far arrivare alla mia amata
i miei versi, cavallo… furgone… e fisarmonica…

…Lascio al destino l’arpa e l’agnello
e le romanze dondolate sulla sponda…
Ma, mentre crocifiggono un amore sacrale,
io, ebbro, seduto al sicuro, spiego
all’amico che è meglio salutare la folla da lontano…

Lì sorge un’alternativa – ti tocca scegliere:
o vivi la vera vita
o eviti la corrida.
Ma dovunque tu fugga, essa ti troverà.
Ecco la mia parola e la ragione sacra.

La scelta provocò grida e diverbi,
invece di “Osanna!” fu “Crocifiggetelo!”.
Qualcuno, alle urla, serrò le imposte…
Un mercante sgranò fra le dita
il rosario di pietre preziose
e con la voce rauca pronunciò:
“Non Lui,
lascia in vita Barabba!”.

…Quando ero giovinetto e
imboccai una strada azzardata,
per proteggermi dall’occhio maligno,
la nonna pregando mi benediceva,
da allora mi segue la sua voce e l’abituale tazza di tè
come H2O all’assetato nel deserto.
La mia balia Lussia, che era russa,
amava i versi di Puskin dedicati alla balia;
aveva anche esercitato la sua voce,
ma non ce l’ha fatta a diventare la Callas…
Si è tuffata nella vodka
e infine ha scelto di far la salmodiante…

Prima che distruggessero la riva rocciosa
di Mtkvari con in mezzo l’isola di Satio,
si sentiva un gracchiare di corvi intorno
e gocciolava la nebbia sulle nostre ali.
Poi… e poi venne la Patria – piccola despota –
che portò mille maldicenze
per tarparti le ali.

La periferia non cambia la sua strada,
il suo teatro è l’organo giudiziario:
chi da condannare… chi da arrestare…
L’ultima parola è sempre dell’accusa,
specie se sei un pubblico oratore…
Per il tuo repertorio il soffitto è basso.

Qui gli avi vissero tempi gloriosi
di cui ora viviamo noi
per cacciar via i nostri affanni…
Invece la Patria prosegue la vita
con ordinamenti interni del partito
e, come se fosse uno che tira a sorte sulla tunica,
comincia subito la caccia sui figli
quando la verità diventa imprudenza.

Qui, quasi ogni giorno si fa festa
e si aspetta qualcuno che ci trascini in Europa,
che gli aerei della Nato sorveglino i nostri confini;
qui i parenti del defunto convocano le prefiche;
qui per lunghi giorni festivi il paese rischia di annullarsi
e, come esista ancora, mi stupisce.

Scomparsi col Ginnasio la città istruita,
cilindro, occhiali a molla e colletto candido,
spazzino curdo e barbiere armeno…
Il presente non so come definirlo
perciò il discorso porto nei villaggi.

Qui le famiglie georgiane
non pagano all’Epoca alcun tributo;
qui al secondo piano non c’è riscaldamento in inverno;
qui nella stanza l’ospite di riguardo
vede dal letto la foto di un parente defunto
e accanto un calendario di una data incerta.

Echeggiano i motivi dell’Epoca nuova,
le barchette di carta smettono di galleggiare…
Minaccia la commissione elettorale
la sconfitta della verità e della giustizia.
La parola dignità nel significato odierno
evoca un oggetto prezioso ma inutile,
reperto rinchiuso in un sarcofago.

L’Epoca nuova col megabit potente
rimorchia appieno la scelta della vita.
Solo il cavalletto di Gauguin può contenere
il primigenio candore di Tahiti,
ma la purezza e l’amore intatti
non si scambiano con il sito di Tahiti.

Qui gli avi vissero tempi gloriosi
di cui noi ora noi viviamo
per cacciar via i nostri affanni…
La Patria minaccia con ordinamenti
interni del partito e, poiché il Paese
è protetto dalla Vergine, dà la caccia ai propri figli.
Qui gli avi vissero tempi gloriosi.

…Prima che me ne andassi, sacrificai una vittima
al Signore per ricordare mio fratello mussulmano,
uccisero il mio confratello, pur con tremore,
abbandonato e squarciato dall’avvoltoio.
Se la fortuna mi arriderà, la farò pagar cara
all’assassino del mio confratello.

E siccome la felicità è breve,
lo strazio, come la spada di Damocle,
s’intravede da ogni dove e si ode
ognora il campanello d’allarme.
La vita che corre attraverso le rotaie,
senza passi decisi sarebbe scialba.

Quando la brezza spira sulla sponda
e tira su le onde come gregge di pecore,
lì vicino un ibero scarno muove la falce fienaia,
vuole affidare i suoi pensieri acuti
alla scelta di Francis Macomber**
e accettare una vita breve ma felice.
Tu cerchi l’alternativa dappertutto…
e ti spaventa l’eco dei passi,
se vuoi scegliere, per un calvario dell’anima,
la Torre di Galata Kules***. Sorteggia la scelta e,
se il passo trova la strada nel tuo cuore,
stagno e pantano diventeranno una sorgente.

…Gli yacht del Bosforo, con le vele gonfie di vita,
sembrano il Masterclass dell’Arca di Noè…
La squadra di velisti cerca l’Ararat;
se trovi un riparo in questa sagra,
il sole mite – anfitrione del tramonto –
diviene giallo-rossastro dinanzi alla tavola celeste.

Il sole, in veste di confessore delle spiagge
d’agosto, ascolta le confessioni
dei corpi nudi. E, se non li abbronzerà
con i suoi raggi aguzzi, cosa faranno i pallidi corpi?
Qui sulle sponde danzano le onde;
di qua s’intravede l’– ancient e di là il – modern.

Chi si affaccia al sole, chi nell’ombra
riprende il fiato. Leonardo venera la moglie
del mercante fiorentino e dona alla Gioconda il suo sorriso;
gli fa eco la voce di Luciano – Vincerò!
Termina al mattino la faticosa ascesa dei dubbi
della Principessa e si ode – all’ alba vincerò…

Anch’io una volta entrai in confidenza
con un mercante e sotto il tiro dei fucili
rapii una donna dal villaggio addormentato.
Al venticello del suo respiro gonfiai le vele
e dissi a Hazbulat: – Dente per dente!
Cedimi la creatura del maestro Siaush!

– Mercante Hazbulat, hai una pargola deliziosa,
lei è giovinetta, tu sei sfiorito,
che Allah ti faccia godere i palazzi di Iznik;
lasciami la fanciulla e non appressar la mano
destra al coltello, non aggrondar la faccia,
mercante Hazbulat, hai una pargola deliziosa.

Come dalla mano scivola sulle piastrelle
un pezzo di sapone, sfugge la donna e
ciò che avevo conquistato da eroe
sparisce in un attimo e restano le lacrime
e poi la grappa, i litigi e la CDP****,
l’interrogatorio nel carcere e le domande nel quartiere.

Note al testo:
* Arghuni, fiume della Georgia.
** Francis Macomber, protagonista di un racconto di Ernest Hemingway.
*** Torre medievale situata nel distretto di Galata a Istanbul.
**** CDP, Cassa Depositi e Prestiti


Dato Magradze (Georgia, 1962) già Ministro della Cultura del suo Paese durante il governo di Eduard Shevardnadze, autore dell’Inno Nazionale della Georgia e nel 2011 candidato al Premio Nobel per la Letteratura, è il maggior poeta vivente georgiano. Laureato in filologia all’Università di Tbilisi, esordisce in poesia nel 1980. Dal 1997 è presidente del PEN georgiano. Le sue poesie sono state tradotte in armeno, inglese, tedesco, russo e -per Giuliano Ladolfi Editore- in italiano. 

Fotografia tratta da Il metropolitano.it

Nunu Geladze Fusco è una delle maggiori interpreti e traduttrici della letteratura italiana in Georgia e di quella georgiana nel nostro Paese. Da anni vive a Borgomanero dove svolge anche l’attività di giornalista. Di dato Madradze ha tradotto la raccolta Giacomo Ponti (Borgomanero, Ladolfi Editore, 2012)

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