Sottomonte

Per le strade ho camminato
di questo gelido paese sottomonte,
in un museo di porte chiuse
e case sfitte, cadenti. A passi uguali
e lenti ho morso con lingua sciolta
l’insegna dell’alimentari spenta per sempre
il profumo di pane e casalinghi
che ricordano solo le narici dei vecchi.

A una svolta del vicolo ricordavo
allegra una fontana, adesso è muta:
l’acqua zampilla da un tombino
e se ne lacrima per conto suo.

Qua pure i gatti hanno lo sguardo pigro
di chi alle cinque dopo il lavoro mette il pigiama
e ignora il suo balcone
il balzo che richiama l’appennino
agile come di capra
e questo nero crinale di briganti
nero abisso dei monti che formicola
in cuore un cosmico silenzio di mistero,
l’universo che naviga come un’ideale
e cade sul paese a suon di stelle
e poi di comignoli e campanili.

Più che in anni o alberi
converrebbe calcolare la vita
in fatto di voci, e poi capire:
il paese è curare gli infissi
e prima di tutto i suoi infermi;
è così che ricaccia indietro
l’inferno del niente, i suoi abissi.