Sohrāb Sepehri, “Un’oasi nell’attimo. Poesie scelte” (Editoriale Jouvence, 2022)

A cura di Faezeh Mardani e Francesco Occhetto, nota di Valentina Furlotti

Leggere Sohrāb Sepehri è come immergersi in una vasca nel placido giardino di un alcazár. Una colomba tuba, il sole illumina le violaciocche, nostra madre, poco più in là, raccoglie il basilico.

Un’oasi nell’attimo riunisce, con testo a fronte, tre delle otto opere pubblicate in vita dal poeta iraniano: la silloge La dimensione verde e due brevi poemi, Il suono dei passi dell’acqua e Il viandante, il tutto arricchito dalla postfazione di Giuseppe Conte.

La voce di Sepehri attraversa il tempo e lo spazio e arriva a noi cristallina. Non c’è inquietudine, se non quella dettata dal desiderio di scorgere la magia del presente, il divino racchiuso in ogni cosa. Dio è ovunque e si manifesta a chi, senza pretese, sa mettersi in ascolto. Com’è scritto nell’introduzione, «l’Amico, per Sepehri, non è il Dio grandioso e spesso impassibile delle grandi religioni, a cui ci si inchina con riverenza in mausolei di pietra, è il Dio delle infinite sorgenti che si lascia intravedere “sulle sponde di una palude”». Per entrare in contatto con lui basta essere ricettivi; la Mecca dell’autore è una rosa e la Ka’ba può trovarsi «sotto i rami delle acacie».

Non a caso Sohrāb Sepehri è considerato il poeta più classico e al contempo più innovatore del Novecento persiano: la sua scrittura fonde la tradizione e gli stilemi tipici dell’Iran con le tendenze europee di fine Ottocento e inizio Novecento, in particolare il simbolismo. Nei suoi testi si passa quindi da toni metafisici e ricchi di anafore, con poesie simili a preghiere o esortazioni, a versi fortemente onirici e lirici, con tanto di dialoghi.

Mistico e quotidiano sono inscindibili in questo florilegio colmo di ierofanie. Il divino si rivela nei momenti più diversi: durante una camminata in mezzo alla natura, per esempio («oltre i pioppi / una pura incoscienza mi chiamava»), in occasioni di serena convivialità («bevemmo il tè sul prato del tavolo»), nel corso di lavori domestici, spesso con protagoniste figure femminili («vidi una donna pestare la luce nel mortaio»), così come viaggiando o acquistando frutta («tra gli scaffali, su quelle bucce perfette / la vita sognava eterne superfici»).

Ne deriva che l’opera è in ogni istante portatrice di un messaggio. Il poeta aspira a trasmetterci un sapere, un sapere non nozionistico ma esperienziale. Vuole insegnarci ad aprire lo sguardo sul mondo, a cogliere l’infinito in una cesta vuota, trascendendo ogni presunzione scientifica. Come scrive nel suo celebre poema, infatti, «il nostro mestiere non è / conoscere il mistero della rosa / ma è forse nuotare nel suo incanto».

 

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INDIRIZZO

 

«Dov’è la casa dell’Amico?»
chiese all’alba il cavaliere.
Il cielo esitò.
Il passante teneva stretto un ramo di luce
tra le labbra, lo offrì alle sabbie oscure
indicò col dito un pioppo e disse:

«Prima di arrivare all’albero,
trovi un sentiero più verde del sogno di Dio
dove l’amore è azzurro come le ali della sincerità.
Prosegui fino in fondo al sentiero
che emerge oltre l’adolescenza,
poi volgi verso il fiore della solitudine,
e fermati due passi prima,
a contemplare l’eterno ruscello dei miti terrestri
colto da un limpido timore.
Nell’intimità mutevole dello spazio
sentirai un fruscio:
vedrai un fanciullo arrampicarsi sull’alto pino
per rapire il pulcino dal nido della luce
chiedi a lui
dove è la casa dell’Amico».

 

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LA VOCE DELL’INCONTRO

 

Era mattina, andai in piazza con la cesta.
I frutti cantavano,
cantavano sotto il sole.
Tra gli scaffali, su quelle bucce perfette,
la vita sognava eterne superfici.
Nell’ombra dei frutti traluceva l’ansia dei giardini.
Talvolta un enigma nuotava nel fulgore delle mele cotogne.
Il colore di ogni melagrana si espandeva fino alla terra dei devoti.
La visione della mia gente, ahimè
si fermava al perimetro dell’aranceto.

Tornai a casa. Mia madre mi chiese:
– Hai comprato in piazza la frutta?
– Come potevo far entrare nella cesta i frutti dell’eternità?
– Ti avevo chiesto di comprare qualche chilo di melagrane buone.
– Ho provato con una melagrana
ma la sua allegrezza strabordava dalla cesta.
– E le mele cotogne, e il pranzo di oggi?
– …

A mezzogiorno, dagli specchi, l’immagine delle mele cotogne
si estendeva oltre le lontananze della vita.

 

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UN MESSAGGIO IN ARRIVO

 

Un giorno verrò
e porterò un messaggio.
Nelle vene, verserò luce.
E urlerò: o voi dai cestini colmi di sonno!
Ho portato la mela, la mela rossa del sole.
Verrò, offrirò fiori di gelsomino a un mendicante.
Donerò altri orecchini alla bella lebbrosa.
Dirò al cieco: quant’è bello il giardino!
Farò il venditore ambulante, girerò i vicoli, griderò:
rugiade, rugiade, rugiade!
E quando il passante noterà: com’è buia la notte!
gli regalerò una cometa.
Sul ponte c’è una bambina senza gambe,
le appenderò al collo l’Orsa Maggiore.
Cancellerò gli insulti dalle labbra.
Sradicherò i muri.
Avviserò i briganti che è in arrivo una carovana di sorrisi!
Squarcerò le nubi.
Annoderò gli occhi con il sole, i cuori con l’amore,
le ombre con l’acqua, i rami con il vento.
E unirò il sonno del fanciullo al bisbiglio dei grilli.
Farò volare molti aquiloni.
Innaffierò tutti i vasi.

Verrò e getterò l’erba verde delle carezze a cavalli e buoi.
Porterò un secchio di rugiada per la puledra assetata.
Scaccerò le mosche dal vecchio asino in cammino.

Verrò e sui muri pianterò garofani.
Sotto ogni finestra leggerò poesie.
Donerò un pino a ciascun corvo.
Parlerò alla serpe dello splendore delle rane!
Riconcilierò.
Farò conoscere.
Camminerò.
Mangerò luce.
Amerò.

 

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Sohrāb Sepehri (Kāshān, 1928 – Tehran, 1980) è un celebre poeta e pittore persiano del Novecento. Dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti, inizia a girare l’Europa ed esplora l’Oriente per appagare la propria sete spirituale. Nel 1965 pubblica il poema Il suono dei passi dell’acqua e nel 1967 la famosa silloge La dimensione verde; dieci anni dopo, tornato in Iran, riunisce la sua intera opera poetica in un volume dal titolo Otto libri. Muore a soli cinquantuno anni, colpito da una malattia incurabile, conservando uno stile di vita moderato fino all’ultimo.

 

Valentina Furlotti nasce a Parma nel 1993. È laureata in Filosofia. Suoi inediti appaiono sul nono Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea (Raffaelli Editore, 2022) e su lit-blog e riviste come Poeti Oggi, Interno Poesia Blog, Atelier Poesia e Fara Poesia. Tre suoi testi sono stati tradotti in spagnolo per il Centro Cultural Tina Modotti. Sta ultimando la sua prima raccolta poetica. Instagram: @ms.furval