© Fotografia di Dino Ignani

Sasha Piersanti – Inediti

Sacha Piersanti è nato nel 1993 a Roma, dove vive e lavora. Ha pubblicato Pagine in corpo (Empirìa 2015), L’uomo è verticale (Empirìa 2018) e il saggio Zero, nessuno e centomila. Lo specifico teatrale nell’arte di Renato Zero (Arcana 2019; 2022). Tra il 2016 e il 2019 ha co-ideato il progetto teatrale L’ora dell’Alt, basato sulla poesia di G. Caproni e messo in scena a Roma e a Parigi. Traduttore dal latino (Plauto) e dall’inglese (Durham), è tra i curatori del progetto culturale La casa del Poeta, per la riqualificazione e conservazione della celebre ‘baracca’ del poeta V. Zeichen, e co-dirige lo spazio Zeugma, a Roma.

 

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LA MANCANZA

 

È il crepuscolo del mondo e tu dov’eri
mentre mi sforzavo di dormire per sognarti
e nel sogno sei crudele e io ti sogno
perché crudele vuol dir viva
vicina attenta addosso a me che vivo
fuori dal sogno crudele anch’io ma senza
te contro cui spuntare armi
e è il crepuscolo del mondo e tu dov’eri
quando mi sforzavo di svegliarmi per sentire
il vuoto tuo di te già in dormiveglia
tra le braccia di un altro me che mi somiglia,
un me distorto, un me figura
di me che ha corpo nel tuo corpo
ma è il crepuscolo del mondo e ecco il vento
a gridare che non manchi solo a me,
manchi e noi manchiamo, amore, al mondo
che manda a morte senza bara e senza urna
migliaia di suoi figli perché infuria
l’indicibile dolore – la mancanza
inesauribile che scorre ma non passa
come la sabbia alla clessidra
testimone della fine e dell’eterno
del tempo muto nel deserto.

 

*

 

IL TRADIMENTO

 

Contra miglior voler voler mal pugna.
(Purgatorio, xx, 1)

 

Come se le ceneri dall’urna
fosse ancora vita che spaventa,
come se la neve alla tormenta
fosse essenza e non l’abbaglio
di bianco all’occhio degli umani
come se il fumo che mi serve
per pensare e scrivere e parlare
fosse già il tumore e non soltanto
l’invenzione comoda, il perché
a un certo punto poi si muore
come se davvero fosse tutto
così come lo schediamo
noi gran vermi a dire io

                  a dimenticare che fu Dante,
                  non il contrario, padre a dio.

 

*

 

IL LASCITO

 

a E.C., studentessa di liceo classico

 

E insegnarti anche a tradurre
l’oggettiva senza verbo della morte,
insegnarti anche a convivere
con l’ombra che in silenzio sottintende
tutti i soggetti della storia
tutti gli io che alla memoria
stanno come gli accenti alle parole.

 

Insegnarti le parole,
donna bambina che non sai
quanto corpo nascondono quei suoni,
quanto sangue scorre ancora
dentro ai morti e quanta rabbia
che tu provi, quanto amore
che non dici – quanto tutto
sia già tutto esistito
in loro, quei mortali
che hanno fatto di morire
un verbo transitivo.

 

Insegnarti a ricordare
che conta ricordare
il senso delle cose,
non quell’infinita
cronistoria delle rosae
perché un giorno anche tu,
anche tu che adesso hai denti
tutti bianchi e occhi aperti,
tu che adesso ti diverti
anche tu ti troverai
a pezzi e senza forze,
con lo stomaco piagato
da un vuoto che non sai
e saranno quegli umani
dalle dita di scrittura
a toccarti sulla fronte,
nell’incavo delle ossa
tra i passi e l’intenzione.

Insegnarti anche a soffrire,
a respingere l’antidoto,
la preghiera, il sedativo
ché tanto è l’ablativo
del dolore poi a guarirci.

Insegnarti la bellezza
del dativo e dei servili
(occhio: siano attivi
ché il passivo è schiavitù),
la finta concretezza
di ogni possessivo
e l’inganno fiero
di noi umani tutti quanti
che diamo solo nomi
ma non solo nominiamo
perché dire è partorire
e senti come suonano

fratelli fiato e feto.

Insegnarti che gli umani
sono tutte coordinate
di un periodo senza punti
(forse scritto male,
tra refusi e altri errori
di copia o traduzione)
e che è solo il nostro tempo
delle feste comandate,
dei confini, del potere
che stravolge la sintassi
e c’impone gerarchie –

                  tu ricorda me
                  che mentre parlo e insegno
                  imparo e ascolto te.

 

*

 

AL TEMPO, CON AFFETTO

 

E non proviamo più
nemmeno a dargli contro
nemmeno a darci dentro
se non a graffi, con le unghie
(della penna o della mano
che in fondo tutto è umano
anche quel che non respira,
dai brividi del sasso
al fiato del carbone)
una parete, una a caso:
lo sterno o la galera
la memoria o il foglio bianco.

E allora fugga tutto
cancelli pure il nulla
il Tempo, e polverizzi
ogni nome, ogni storia
calpesti tutti noi
coi suoi tacchi da bolero
(zoccoli da toro)
e coi denti di chi ignora
la fame non la gola
ci mastichi e divori.

Ché qui sarà passato
qualcuno, qui, e qualcosa
qui sarà successo
e alla fine della carne
quando tutto sarà stato
resteranno le parole:
vivi fossili a sancire,

                  Tempo,

il tuo fallimento.

 

 

© Fotografia di Dino Ignani