© Fotografia di Enrico Donzellotti

Rosaria Lo Russo – Inediti

Rosaria Lo Russo, poeta, performer, traduttrice, saggista, è nata a Firenze, dove vive, nel 1964. Per la poesia ha pubblicato in volume L’estro, Cesati, 1987, Vrusciamundo, I quaderni del Battello Ebbro, 1994, Comedia, Bompiani 1998, Penelope, d’if 2003, Lo dittatore amore. Melologhi, Effigie 2004 (già Premio Antonio Delfini, 2001), Io e Anne. Confessional poems, d’if 2010, Crolli, Le Lettere 2012 (precedentemente con Battello Stampatore, 2006), Poema (1990/2000), Zona 2013, Nel nosocomio, Effigie, 2016, con Daniele Vergni il libro con mediometraggio in dvd Controlli, Monza, Millegru, 2016 (Premio Elio Pagliarani 2017), Anatema, Effigie, 2021, Rina, Battello Stampatore, 2021, Unamedea, Valigie Rosse, 2021 (Premio Ciampi-Valigie rosse 2021). Ha pubblicato quattro libri di traduzioni da Anne Sexton; Poesie d’amore, Le Lettere, 1996 (seconda edizione riveduta e corretta, 2019); L’estrosa abbondanza (antologia con Edoardo Zuccato e Antonello Satta Centanin), 1997; Poesie su Dio, Le Lettere, 2003; Il libro della follia, La nave di Teseo, 2021. Per la saggistica, in volume: Figlia di solo padre, Seri Editore, 2020, La protagonista di Pirandello, Metauro, 2021. Ha messo in voce la Commedia di Dante con lo spettacolo Voci in Comedia. Lectura Dantis, dal 2000 in poi e moltissimi poeti, quasi sempre alla loro presenza, fra i quali Bigongiari, Luzi, Pagliarani, Brodskij, Caproni, Zanzotto, Szymborska, Vicinelli, Balestrini, Calogero e Rosselli (in cd e dvd ne La furia dei venti contrari. Variazioni Amelia Rosselli, a c. di A. Cortellessa, Le Lettere 2007).

 

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Dalla raccolta inedita “Tande”

 

Sospinte dal vocio della piazza, sopraggiungono

lungo la salita accosto al cimitero di sant’Antonio

note dell’inno nazionale, come da un sogno di sepolti.

I tonfi delle grancasse, attutiti dal silenzio circo-

stante, una folata lieve, breve il suono si sfoglia dalle cime

dei cipressi, si arresta, recede, ritorna e riposerebbe nella coclea

se non provvedesse lesto a interdire ogni pace un sogghigno di disgusto

dietro la mascherina, che avrei potuto anche sollevare qui all’aperto

se non fosse che i fasci sono tornati solo da voi, da me ci sono

sempre stati. Soppesando con una spallata se meglio cremare e disperdere

i resti o tumulare e lasciare un segno di sé per qualche tempo ancora,

quando succederà, mi dico, spero solamente che la mente sia da tempo

immemore avvolta nella chiocciola muta del corpo come in un sudario.

 

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Sviluppa ancora l’involucro asfissiante del sudario madre:

“sei morta” avviluppa avvilito il vocio cavo, l’ugola mencia

mestamente sciorina i soliti salamelecchi, “anzi continui a mo-

rire”, sogghigna all’ascolto, non hai scampo, e perciò ride, ride da

sempre più forte. Sei morta e dissepolta e te ne vanti ai quattro ve-

nti, non aspettavi altro, da queste parti. Ricorrono i distinguo,

quindi, smussando gli angoli della bocca col coltellino svizzero

del non detto Tuttofare. Ma non basta. Claudica l’emiciclo cranico,

si volta e si rivolta nel sonno senza tempo come in un sudario.

E perde. Sgoccia. Coagula come un avanzo di mestruo. Perde

ogni plausibile dolcezza del finale di partita e treeebisonda,

raschiandolo, il fondo del barile. Non si sa mai se qualche per-

la riaffiorasse a imbambolarla, a incatramarla, a riserrarla.

 

*

 

Me scavo reperto mummia del mammolitico del parletico a vòto

del paralitico del voto fatto al santo paraclitoride canterino nel mentre

che l’occhio strabico si aggirava fra le coscine di pollo in quella foto scolo-

rita anni settanta in cui al mio compleanno invitata me la canto e me la so-

no con voluttà distratta, come Celine a Meudon, come Cavalcanti a Sarza-

na. Mi azzanna la malaria dei rimorsi. Ti appesto appetendoti, divento

tenacemente disappetente, serro la bocca, fugo i sughi che trasudi, svenendo,
svenendo. Mi aggiro fra le pinturas  negras dei tuoi occhieggiamenti,

dei tuoi spaventi in blocco nel buio pesto della quinta del mio sordo

elementare. Non soccorre la maestra Viviani, non soccorre la maestra

Mannelli brava consigliera, non soccorre la matematica applicata,

scorrevano le ore chiuse nel labirinto scolare: sguardavo dalla finestra sul

cortile il tuo mozzicone di sigaretta che bragia acciaccata sul mio monco-

ne teso, proteso, artigliante nel foco sordo che mi affina piccole lussurie

penitenti, fioretti. Castigata faccia al muro conto presbite le pietruzzine,

i vetrini colorati, le smanie, le rabbie, le Furie che perseguitano il matri-

cida Oreste, mio fratello mite, col male al pancino. Dolorino dolorino vai

via da questo pancino, resta in quinta, non sforare, non sforare, aggirati

raggirato nella quinta del sordo elementare, e grida inascoltato, Pancio,

grida e rigrida. Canta l’anello dei Nibelunghi, Sigfrido l’avrà

ripescato. E se è ancora lì, infuria, perdìo, infuria.

 

 

© Fotografia di Enrico Donzellotti