Alle aule severe del liceo scientifico «Checchia Rispoli»
ritorno dopo quarant’anni, con la tristezza che m’accompagna
mi aggiro solitario fra i corridoi e la palestra, percorro gli ultimi metri
del cortile della pallamano, senza più voci, senza più stagioni,
senza più amori, ai margini della città forestiera e del tempo.
Ascolto il battito del mio cuore, qui dentro non è più quello colorato
dei mattini attraenti, quando ci piazzavamo davanti al grande cancello
e provavamo a dare un senso alla nostra età, mentre nell’aria
tutt’attorno a noi risuonava il primo squillo di campanella.
Soltanto i muri sono rimasti come allora stremati, e trafitti
da questo unico minuto che non può fermarsi e aspettare
che arrivino tutti gli altri della nostra classe, compagni e compagne
di un’ostinata giovinezza, con le loro facce luminose e belle, che vivono
irreali come fantasmi nel vuoto di giorni lontani ormai, e dispersi.