Mirco Mungari – “Promemoria per la partenza”

MUNGARIMirco Mungari è nato in Calabria nel 1982 e vive a Bologna. Archeologo classicista, ha affiancato agli studi universitari quelli musicali, soprattutto nell’ambito della ricerca etnomusicologica e della composizione; come ricercatore si occupa di strumenti musicali e paesaggi sonori antichi all’interno di diversi progetti internazionali. Collabora con la poetessa Rossella Renzi al progetto di sperimentazione sonora e poetica Mousikè Techne. Ha pubblicato alcune poesie sulla rivista universitaria ARGO e, con la casa editrice Delirium, il poemetto satirico De Suina Inmolatione. Attualmente lavora a una nuova raccolta.

Mirco Mungari

Promemoria per la partenza
(poemetto inedito)

Promemoria per la partenza

I

La rondine è morta. Un brulicare
di formiche nere la incorona.
Alexandru arriva dal confine
verso sera, se non sparano dal bosco,
forse porta una borsa rossa
con gli ultimi vestiti.

Mia madre scrisse la partenza
molti decenni fa, una ragazza
sul lungomare popolato di uomini
già vecchi. La scrisse in buona calligrafia
sul suo quaderno di ragioniera, in rosso
e blu, righe tirate con la stecca.
Scrisse la partenza per dimenticarla
per i suoi figli, e i figli dei suoi figli,
perché il rosso vischioso del suo sangue
l’orrore del venire al mondo, non dovesse
riscriverlo ma trovasse il sentiero già buono
e le scarpe nuove. Mia madre
non insegnò mai il confine ai figli, il limite
oltre cui comincia il sangue nero.
Temeva l’acqua come le formiche
e l’unico sentiero conosciuto
sembrava le ferite rosse del fico e dell’acacia.

Alexandru cerca una fetta di pane
e un’ombra per dormire.
Ha il viso troppo chiaro per il sole
straniero. Cerca la selva
materna, la roccia nuda, il suono
lontano dei torrenti. Non si trova
ferro nel bosco, le sue foglie secche
sono buone per il sonno.

II

Alexandru guarda lo strapiombo
come una lunga ferita sul mare. Stringe
la borsa rossa come un ricordo.

Avevo raccolto quattro sassi
nella polvere delle galline.
Il latte rimaneva caldo a lungo
e non serviva riattizzare il fuoco.
Dal cortile
vedevo il mio letto tutto il tempo, era un presagio
del ritorno, del sonno al pomeriggio.
Avevo raccolto quattro sassi
in un involto di carta, erano pagnotte
per il mio viaggio
dalla soglia di casa. Oltre i rami
non esisteva più il mondo.

Non poteva esistere nulla. La strada
di ghiaia bianca, la fame, la fiasca
dell’acquavite di albicocche. Nulla.
Alexandru scava con le dita
una piccola buca nella terra
fitta di cocci di vetro. Scava e strappa
le radici, cerca il terriccio nero
senza traccia di uomini e di cose.

All’inizio era come cantare
per darsi forza con la voce, in fila,
gli occhi fissi
sulle caviglie di chi sta davanti
come fossero catene.
L’erba diventa a ogni passo
meno consueta, gli alberi scuriscono,
cambiano forma le ombre. Nella tasca
pesa un pezzo di pane, aspetta che la fame
diventi abbastanza da accendere il fuoco
e ridere ancora forte.
Quando si ride per non dormire
perché fa male il sonno, la coperta
odora di minestra e di sapone.
Alexandru guarda il fuoco, adesso
sente il brusio del mare.

III

Patria è il luogo
in cui non si è.
Ho lasciato
questa leggerezza alle mie spalle
perché senza necessità non può
vivere, l’uomo. Come l’acqua
deve scorrere, dentro ogni solco
possibile raccogliersi
in ogni cavità, anche nelle fosse
dei morti, nei crani, nelle pelvi.

Ho assaporato le vocali
aperte e scure, certe lettere
mi solleticavano i denti.
                                   Ho lasciato
una donna collerica, forse un fratello.
Una casa e una mancanza. Un figlio
l’anno venturo e un altro sotto terra.
Ho lasciato un’assenza di muri,
una pianura senza fiumi, un giorno
di assoluto riposo.

Siamo arrivati al secondo bivacco
e ridono ancora. Un taglio rosso
sul braccio di un fantasma, sembra
l’agnello appena figliato.
Alexandru guarda la pianura
soffocata, nella borsa rossa
forse nasconde gli ultimi vestiti
per andare oltre il mare.
Dove comincia l’acqua? Gli hanno detto
a Occidente, dopo le montagne.
Riluce
la lama di un coltello, grande e piena
come una fetta di pane.

IV

Le cicale mi colmano il cuore
e accorciano il respiro

Alexandru dorme sotto un acero
rosso come i suoi occhi,
stringe i polsi di sua figlia
e la chiama per nome.
Un nugolo rossastro di formiche
ribolle intorno a un osso
umido. Qualche tizzone vive
ancora sotto la cenere.
Io mi riguardo
nel vetro scuro di una bottiglia, penso
a una sera lontana. Domando
dove dormi, quanto pane hai sulla mensola.

Stridono le catene lungo il molo
nel sonno, si dipana una foschia


Mirco Mungari è nato in Calabria nel 1982 e vive a Bologna. Archeologo classicista, ha affiancato agli studi universitari quelli musicali, soprattutto nell’ambito della ricerca etnomusicologica e della composizione; come ricercatore si occupa di strumenti musicali e paesaggi sonori antichi all’interno di diversi progetti internazionali. Collabora con la poetessa Rossella Renzi al progetto di sperimentazione sonora e poetica Mousikè Techne. Ha pubblicato alcune poesie sulla rivista universitaria ARGO e, con la casa editrice Delirium, il poemetto satirico De Suina Inmolatione. Attualmente lavora a una nuova raccolta. Una selezione di sue poesie sono state pubblicate da Atelier nel Giugno 2015 (leggi)

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