Mara Venuto, ‘La lingua della città’

Mara Venuto

La lingua della città

Delta3Edizioni, 2021

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Taranto, una città malata che parla una lingua amara, difficile da pronunciare. La poesia di questa raccolta – pubblicata da ‘Delta3’ nella collana ‘Letture Meridiane’ diretta da Eleonora Rimolo – è dedicata proprio a lei, a Taranto, anche se l’autrice confessa di non essere riuscita a impararne la lingua: La città non mi ha insegnato la sua lingua,/ non ho voluto impararla, fa paura/ ascoltare il suono dell’abisso,/ il buio nella gola che inghiotte.

La malattia e il dolore purtroppo fanno parte della città fino a mutarne le sembianze, trasfigurando luoghi e persone – Nella stazione bruciata/ un raduno di ferro digrigna i denti…Nei nostri ricordi vediamo i morti,/ agganciati come vagoni/ alla ruggine che addolora il sangue/ e non muove più i treni. La voce del poeta è combattuta perché l’impresa è ardua e la parola non vuole quello che dirà. Mara Venuto ha però fiducia nel suo vocabolario poetico e piena consapevolezza delle regole d’ingaggio della poesia civile che le consentono di affrontarla convintamente. C’è nei suoi versi un tempo indefinito, che incombe senza palesarsi, cani e bambini simbolo d’innocenza, qualche sporadica dedica, aneliti d’amore riesumati dalla memoria e un desiderio impellente di riscatto.

Antonio Fiori

*

Trasmutiamo il delta del fiume

in parole gettate ai sette punti cardinali,

pescate perdute dove

nessuno le vuole cercare.

Si impasta si arringa duole

la bocca che può e non sa dire

un’anguilla ricorda, callosa e stretta

quando passa il rancore in mezzo alle mani.

Solo, sulla palude discorre

un uomo, pesca vermi fragili

più del tempo a caccia di ori e nemici

a salti sui fossi.

*

Dietro la casa fioriva

il corpo di un mandorlo

sotto la pioggia e il velo nero della città.

Un ramo è caduto precoce

nel fragore del nulla,

minuto con gli altri resti.

Il quartiere ha perso il calco della sua giovinezza.

*

Non c’è verso che possa unirmi alla città

in sillabe che finiscono. Inutile esercizio

le poche parole della mia vigliaccheria,

incapaci a dire ciò che si dovrebbe,

un respiro senza affanno. Mi ricordo

quando all’alba tornavamo al porto,

vagoni con l’innesto di acciaio al corpo della madre.

Le rotaie della ferrovia le vedevamo dall’alto,

braccia e gambe torte, le membra di un’anima

che vanno staccandosi. Anni ci sono dovuti

per sentirci interi, e non eravamo più noi,

eravamo altri.

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Mara Venuto, nata a Taranto nel 1978, vive a Ostuni. Ha pubblicato, tra l’altro, la raccolta di racconti/monologhi Leggimi nei pensieri (Cicorivolta Edizioni, 2008), il monologo teatrale The Monster (Edit@ Casa Editrice Libraria 2016), e le raccolte poetiche Gli impermeabili (Edit@ Casa Editrice Libraria 2016), e Questa polvere la sparge il vento (Edit@ Casa Editrice Libraria 2019). È inclusa in una trilogia di monografie dedicate alla poesia femminile italiana (Macabor, 2017).