Maddalena Pezzotti, “Vermiglia goccia” (Manni, 2023)

Nota di Davide Morelli

Secondo la sociologia contemporanea è avvenuta in questi anni la mcdonaldizzazione del mondo. L’uomo produce e consuma senza sosta.  Lo fa senza stare troppo a pensare, sulla scorta di potenti, intellettuali e modelli di riferimento proposti dai media.  Si tratterebbe quindi di comportarsi come bambini e prendere ogni cosa in questo immenso, stratosferico supermarket che è il mondo. Invece in questa raccolta l’autrice ci fa intendere che il mondo è un posto in cui bisogna stare seriamente, anche perché lei, esperta di geopolitica e relazioni internazionali, ne conosce a menadito le dinamiche e le leggi. Diciamocelo francamente: in questo libro la Pezzotti non gioca con le parole, non inganna; non ci sono trucchi prospettici né facili ammiccamenti.  Il discorso è serio, senza mai essere serioso. Ma la poetessa cerca anche una rifondazione mitopoietica, che vada contro o almeno cerchi uno spazio autonomo rispetto alla mitopoiesi ufficiale dominante, ovvero quella televisivo-massmediatica di stampo americano. Il problema di fondo è che i miti dei mass media e del cinema non forniscono archetipi duraturi, non sono cosmogonici, non si oppongono al nichilismo, come gli antichi miti greci. La poetessa è perfettamente cosciente a mio avviso che lo spaesamento, lo smarrimento dell’uomo contemporaneo è dovuto anche a questa perenne incertezza di fondo che vive nella sua psicologia del profondo. In parole povere l’uomo contemporaneo, scomparsa la grande letteratura mitopoietica, è molto meno strutturato psicologicamente, e ha meno valori d’un tempo. Da questo punto di vista c’è la presa di coscienza non comune, da parte della Pezzotti, che i mass media e il cinema hanno ormai colonizzato quasi interamente il nostro inconscio collettivo, e allora l’unica cosa da fare è ritornare alle origini della società occidentale, ritornare alla mitologia classica. La sua poesia è quindi una zona franca, non condizionata dalla cultura di massa; è un regno incontaminato dove predomina la purezza della parola letteraria.   Il coraggio della Pezzotti sta tutto nell’aver trovato un modo suo nel richiamarsi al mito, senza rifarsi al modernismo, al mitomodernismo, a un esoterismo desueto e retrogrado che può avere altri fini o può portare fuori strada.  Insomma la poetessa crea simboli, miti, perché la poesia è più sintetica ma deve dire di più della prosa: non può limitarsi al “see and transfer” del grande Fenoglio. L’importante, per dirla filosoficamente, è trovare nuove figurazioni, e la poetessa ci riesce bene. Però allo stesso tempo l’autrice è sempre attenta al presente, pur senza farsi travolgere né senza cavalcare lo spirito del tempo. La sua è una voce inconfondibile, di non somiglia a niente e nessuno. Non so quanto labor limae ci sia stato, quante siano state le stesure prima della versione definitiva, ma trovo che niente sia fuori posto, che tutto sia tratteggiato a dovere e ogni verso rientri nell’ordine naturale delle cose, perché la Pezzotti fa sembrare tutto apparentemente semplice (non facile, sia beninteso) e naturale: anche questa alchimia è segno inequivocabile di talento innato. Non per niente la poetessa ed editor Giovanna Rosadini mi aveva avvisato subito: si tratta di una poesia lirica molto potente. L’unico rilievo che dal campo della cosiddetta “poesia di ricerca” potrebbe forse essere mosso è l’assertività, ma ricordo anche che l’assertività in ambito psicologico non è considerata una pecca ma un pregio, e inoltre cercare di eliminare l’io è un gioco delle tre carte che i poeti consumati lasciano ad altri (chi vuol intendere, intenda). Infine una poesia, per essere sapienziale come questa, deve essere necessariamente in certa misura assertiva. Peraltro qui non si vuole fare una semplicistica psicanalisi dell’artista, ma considerare piuttosto, come scrisse Calabrese nel 1985, “l’inconscio dell’opera”. Il lavoro della Pezzotti è sorretto da una rete di riferimenti che va dall’archetipo della madre (“Per il mio senso/ nella tua vita immaginata, / quale alfabeto? / Per il taglio vermiglio/fra il mio e il tuo ventre, / quale ferro, quale sutura?”) all’inconscio individuale di Freud, per arrivare a quello collettivo di Jung. Da ciò si arguisce che esprimere l’inconscio è libertà, è terapeutico, ma in queste belle liriche l’inconscio non è mai rimosso né regna incontrastato; è invece espresso in modo genuino ma anche un poco controllato; sono sempre la voce dell’io e anche quelle del mondo ad avere la meglio sull’Es. L’autrice a ogni modo ci ricorda con i suoi versi quanto oggi sia difficile trovare la propria autenticità in un mondo dove molto è artefatto, omologato o imposto.  Potremmo affermare che in questa raccolta coesistono armoniosamente tradizione e innovazione, più precisamente la poetessa riesce a rinnovare la tradizione senza mai tradirla. Ci riesce anche perché conosce la classicità e la sa coniugare con una pronuncia precisa delle cose, con l’esattezza della parola poetica, sempre ponderata, calibrata, giusta. La cosa che mi ha sorpreso favorevolmente (e lo scrivo senza enfasi alcuna) è che ogni parola ha la sua giusta collocazione, e personalmente non avrei cambiato alcun termine. Ciò la dice lunga sulla proprietà di linguaggio, sul senso della misura, della musicalità, dell’appropriatezza lirica. Mi sembra anche che i suoi versi, le sue parole non siano mai troppe né troppo poche. Non viene lasciato niente di incompiuto, né è mai ripetitiva. La Pezzotti non difetta mai e non è mai eccessiva. Un tempo si sarebbe scritto che sa cesellare a dovere.  Scrive sempre ottima poesia, senza mai cercare la soglia del dicibile oppure al contrario senza mai limitarsi a fare il compitino. Nei rari brani   venati di sensualità, il linguaggio non è mai osceno o di cattivo gusto.    Inoltre stupisce quanto questa poesia sia variegata e sfaccettata, insomma la raccolta dimostra compostezza e compiutezza: si va da liriche più lunghe che richiamano il mito a prose poetiche intrise di onirismo, a componimenti più brevi con clausole gnoseologiche, anche se non propriamente aforistiche. Se dovessi paragonare quest’opera a un tipo di musica classica, la definirei una fuga per la polifonia strumentale e la varietà.  Io tra i begli epitaffi e le belle preghiere scelgo come preferito questo componimento magistrale, che esprime quanto sia usurante la vita moderna e il conseguente disorientamento esistenziale. Non solo: in questi versi l’autrice si dimostra maestra della sospensione con tanto di illuminazione interiore finale:

 

Sarò donna che prende
un treno, scende le scale,
assente, aspetta a un semaforo,
riflette su un biglietto, fruga
fra la moneta e paga
un’altra corsa, non riconosce
la stazione, solleva un peso
sopra la testa, non può perdere
la coincidenza, torna sui passi e
sui luoghi, compare da dietro una tenda,
tiene stretto in mano un dolore.

 

C’è un filo rosso che lega l’intero libro, che risulta dunque non un insieme di frammenti eterogenei ma un’opera contrassegnata da grande coerenza interna, dal momento che la voce e lo stile della poetessa sono sempre riconoscibilissimi. Nell’ottima prefazione di Plinio Perilli viene evidenziata a ragione l’originalità la poesia della Pezzotti, e si può aggiungere che questo è un libro che non lascia indifferenti, che non lascia uguali a prima in quanto coglie nel segno ed è caratterizzato da una grande ricchezza di senso. Un’altra cosa da rilevare è che la Pezzotti supera brillantemente la prova del suo primo libro di poesia. Stupisce che una persona abituata a scrivere articoli e saggi per fini informativi e anche argomentativi riesca a cambiare funzione, prospettiva e registro linguistico, dimostrandosi a tutti gli effetti una poetessa che non sbaglia e che riesce a descrivere stati d’animo, rievocare persone e momenti di vita senza fare una sbavatura ed emozionando sempre. Al di là dell’analisi dei valori simbolici, al di là dell’iconologia questa raccolta poetica è davvero riuscita perché riesce a coinvolgere emotivamente, a far scattare l’empatia, a fare immedesimare il lettore in poesie in cui la presenza dell’io è contenuta e l’intensità lirica è notevole. Ma con tutto ciò non voglio razionalizzare eccessivamente questo libro, che contiene soprattutto pathos, espressività, mistero, la cui scrittura è caratterizzata da una notevole potenza espressiva e simbolica, senza per questo sconfinare in un misticismo eccessivo o nel paganesimo, anzi: la Pezzotti dimostra sempre lucidità. A tal proposito la sua unica follia è credere nella parola, avere fede nella poesia quando tutti pensano in termini utilitaristici… Non è un caso che queste poesie mi abbiano rinvigorito interiormente durante l’ottundimento mentale di un’influenza che non sembrava finire mai. Alcune le ho vissute come piccoli bagliori nelle mie notti insonni.

Davide Morelli

 

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Leggendo Euripide

 

Piangi, tu, piangi,
sacro il canto del monte
tu piangi i mali, tuoi,
furenti.

Dattorno il silenzio
dell’acqua e degli uccelli,
non v’è riposo alle fonti,
né incanto del sonno.

Ora che nel bosco è
solitudine, parla
a me che sono tua:
Cosa vuoi dire?

Dall’alto della finestra, mia madre,
rovescia lo sguardo sul muovere
incerto fuori della stanza
verso il vuoto di una qualsiasi direzione.

Il passo oscilla sul piede instabile,
potrebbe cedere lungo la rampa
sotto il fragore dei giorni e delle ore
nella pupilla che sanguina.

Si chiede dove vada
che le ossa scricchiolare
sa, lei, so, io,
che non v’è luogo alcuno.

 

*

 

Ancora un epitaffio

 

Dall’alba la terra rorida
della pioggia il fango
i miei piedi hanno calpestato
l’erba docile e fresca
radici sotterranee e incorruttibili.

Sono andata, sono venuta,
sono tornata, mi sono perduta.
Assassina, meretrice,

ho rubato, cospirato
e tradito.

 

*

 

Ho mangiato frutti sconosciuti
mi sono svegliata in luoghi senza nome
ho intrecciato i capelli con spine
e foglie.

Dai miei piedi cresce una fronda
occulta anima selenica
verde primitivo e potente
sposa ctonia e madre notturna.

Dai miei piedi una fronda
richiama al ventre umido
immobile cosmico amplesso
tutto racchiuso, nulla manifesto.

 

 

© Fotografia recuperata presso il sito di Manni