JONACHAAN

Lucy Alford – tre inediti

ALFORDLucy Alford è poeta e ha studiato aspetti sia moderni che contemporanei della poesia quali il ruolo dell’attenzione negli scambi poetici e gli incroci tra etica ed estetica ed è specializzata in poesia e poetica americana del XX e XXI secolo con ulteriori approfondimenti in poesia contemporanea Inglese, Araba, Francese e Tedesca. Ha ottenuto un Phd in letteratura comparata all’Università di Stanford nel 2016 dove gli è stata assegnata la Ric Weiland Fellowship e il Geballe Dissertation Prize Fellowshipe. Ha inoltre ottenuto un Phd in Pensiero Moderno all’Università di Aberdeen nel 2012. Ha insegnato letteratura in Egitto. Suoi scritti sono apparsi in Philosophy & LiteratureDibur e Modern Language Notes e sue poesie pubblicate in The Warwick Review e Harpur Palate. Attualmente lavora a Annals, una esplorazione poetica sul passaggio del tempo e On X, una raccolta di poesie ispirate dai saggi di Montaigne. Una selezione di sue poesie è stata tradotta da Alberto Comparini in «Testo a Fronte», LV, 1, gennaio-giugno 2016.

Lucy Alford
(inediti)
traduzioni dall’inglese di Anna Tomasetto

III. After

Morning
recalls only
the fruit placed,
the fires kept
the wine poured
out in the field.
In passing I stoop
to the cool cinders,
press one in a palm.
It talcums to
a hard black seed,
then nothing.

III. Dopo

Mattino
ricorda solo
la frutta disposta
i fuochi  mantenuti
il vino versato
fuori sul campo.
Passando mi chino
sulle ceneri fredde,
ne premo una sul palmo.
Si polverizza
un seme nerissimo,
poi nulla.

IV. Fallow

One summer,
we didn’t mark
the highpoint
didn’t burn the pig
didn’t play the lovers
and drape our girls
in cheesecloth wings.

Scripts shelved, the cabin slept.
Four summers or so wanted players.
One season without Puck
became many.

Still here,
I oil the gate,
clear back the sedge
build new the old firesite,
time each planting by the moon,
and weather out
another season
held fallow.

IV. Maggese

Un’estate,
non celebrammo
il momento migliore
non cocemmo il maiale
non interpretammo gli amanti
non drappeggiammo le nostre ragazze
in ali di garza.

Copioni riposti, la capanna dormiva.
Quattro estati senza attori.
Una stagione senza Puck
divenne molte.

Ancora qui,
olio il cancello,
sfoltisco la carice
ricreo il vecchio falò
regolo ogni semina con la luna
e supero
un’altra stagione
a  maggese.

Unforgivable Elegy
                                 May 2, 2011

I think of you—
long eaten by fish
somewhere in the Atlantic.
Did you wash up
on some shore, scare
some white child speechless,
your brown skin indistinguishable
after so much floating,
sponge-like—such porous stuff,
most of it water anyway?
Were you naked? Swaddled
in white, or camos, or still
in the half-clad state
they found you in, busting
in, busting open
the shell-like skull of
(your wife?) the woman
with you, wasted brains
everywhere, the television
still scrolling?

Here in my own desert of white
asphalt and talcumed
accents, I crack open
a mag and a bag of peanuts,
laid over. It’s lonely
here, and there’s not
even a distant enemy
left for company.
With appropriate absent-
mindedness I miss
the closeness of your hate,
your face (less and less
often now) splashing front
pages and screens, the kinship
of your pathetic death-grip
like a lover’s remembered
embrace. You lost
long ago, small
but hated in your mythos.
We the victors blunder on; a plastic
explosive kingdom
thunders away in deserts
far from here.

Stranded on a runway,
my victor’s gaze is empty
save a single motionless wing
of white steel, the southern
haze hunkering down
on our paper plane.
A dotted line dead-ends in
white dirt.
We’ll be here for a long time.

Think of me in your free
movement in the deep.
Think of my body, belted
in, pressurized in
this cabin’s conditioned air.
Think of me, sea grass,
lantern eel, mute
scallop, calcite silt.
Think of me in the absent
ebb. You flow
in me, in what remains
of the living: embers
of meaningless anger,
strangerly blood,
reckonless memory
not long for this world.

Imperdonabile elegia
                                2 Maggio 2011

Penso a te—
già divorato dai pesci
da qualche parte nell’Atlantico.
Sei approdato
in qualche riva, hai spaventato
a morte qualche bimbo bianco
la tua pelle marrone indistinguibile
dopo tanto galleggiare
come una spugna— una cosa tanto porosa
comunque quasi tutta acqua?
Eri nudo? Avvolto
nel bianco, o mimetico, o ancora
mezzo vestito
come ti hanno trovato
quando sono entrati
scassando la porta
e sfondando
il cranio di conchiglia di
(tua moglie?) la donna
con te, cervelli seminati
ovunque, la televisione
ancora che andava?

Qui nel mio personale deserto di bianco
asfalto e di accenti
di talco, apro
una rivista e una busta di bagigi,
sparsi sopra. Sono sola
qui, e non c’è
neanche un lontano nemico
a fare compagnia.
Con adeguata assenza
d’animo mi manca
l’intimità del tuo odio,
la tua faccia (sempre meno
spesso ora) che sguazza

sulle prime pagine, la familiarità
della tua patetica stretta mortale
come di un amante il memorabile
abbraccio. Perdesti
tanto tempo fa, minuscolo
ma odiato nel tuo mito.
Noi i vincitori continuiamo ciecamente; un plastico
esplosivo regno
rimbomba in deserti
lontani da qui.
Arenato su una pista,
il mio sguardo di vittoria è vacuo
tranne una sola ala immobile
di bianco acciaio, la foschia del sud si accovaccia
nel nostro aereo di carta.
Una linea tratteggiata si interrompe in una
bianca sterrata.
Saremo qui per molto tempo.
Pensa a me nel tuo libero
movimento nel profondo.

Pensa al mio corpo, allacciato
pressato dentro
quest’aria condizionata della cabina.
Pensa a me, alghe,
anguilla lanterna, muta
cappa santa, limo di calcite.
Pensa a me nell’assente
marea. Tu scorri
in me, in ciò che rimane
del vivere: braci
d’insensata rabbia,
sangue estraneo,
incauta memoria
ancora per poco.


Lucy Alford è poeta e ha studiato aspetti sia moderni che contemporanei della poesia quali il ruolo dell’attenzione negli scambi poetici e gli incroci tra etica ed estetica ed è specializzata in poesia e poetica americana del XX e XXI secolo con ulteriori approfondimenti in poesia contemporanea Inglese, Araba, Francese e Tedesca. Ha ottenuto un Phd in letteratura comparata all’Università di Stanford nel 2016 dove gli è stata assegnata la Ric Weiland Fellowship e il Geballe Dissertation Prize Fellowshipe. Ha inoltre ottenuto un Phd in Pensiero Moderno all’Università di Aberdeen nel 2012. Ha insegnato letteratura in Egitto. Suoi scritti sono apparsi in Philosophy & Literature, Dibur e Modern Language Notes e sue poesie pubblicate in The Warwick Review e Harpur Palate. Attualmente lavora a Annals, una esplorazione poetica sul passaggio del tempo e On X, una raccolta di poesie ispirate dai saggi di Montaigne. Una selezione di sue poesie è stata tradotta da Alberto Comparini in «Testo a Fronte», LV, 1, gennaio-giugno 2016.

Fotografia di proprietà dell’autrice

Anna Tomasetto (1988) nasce a Motta di Livenza (TV) e vive a Treviso. Laureata in Lingue e Letterature Moderne e Contemporanee Occidentali all’Università Cà Foscari di Venezia, traduce dall’italiano all’inglese alcuni libri per l’infanzia presso la casa editrice Tredieci di Oderzo. Ha collaborato con il Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali dell’Università Cà Foscari per il progetto Phonodia, archivio voce di poesia contemporanea italiana ed estera (http://phonodia.unive.it) diretto dalla Professoressa Elide Pittarello. Coopera con due giovani artisti provenienti dall’Accademia di Belle Arti di Venezia, il Professor Riccardo Giacomini e Giulia Maria Belli, alla realizzazione di libri illustrati. Ad oggi collabora con la casa editrice Ladolfi in qualità di traduttrice. Insegna lingua inglese alla scuola pubblica.

Per Atelier ha tradotto: – Claudia Rankine; Xánath Caraza e Andrew McMillan