Lettera a Antonia Pozzi

Antonia, esistono grida d’aiuto

che sembrano canti

per questo rimangono incomprese,

si disperdono lungo i crinali,

a valle sono ormai un soffio

che passa inudito il centro abitato;

mentre da lontano avanza il rombo

di scuri tamburi di guerra.

Come fiori disposti sulle ciglia

dei dirupi, splendenti

come tranquille superfici d’acqua

condividono la benedizione della luce

sulla fronte e un’attrazione fatale

che li risucchia verso il baratro.

Convivono a stento con la vertigine

e la fede in un cielo sgombro di nubi

e la trascendenza verticale delle vette.

Antonia, persino in pianura cercavi la vertigine,

scalavi i campanili più alti

per guardare negli occhi le nubi

per condannarti alla solitudine,

al tuo destino di perenne giovinezza

immutata, congelata nel biancore della neve.

“Chi ti parla non sa che hai vissuto un’altra vita,

chi ti parla non sa quanto terribile sia

essere donna

e avere diciassette anni

e un pazzo desiderio

di donarsi al mondo”.