Laure Gauthier – Tre inediti (traduzione di Gabriella Serrone)

foto LaureNei suoi scritti poetici Laure Gauthier attribuisce un’importanza particolare all’enunciazione. La sua è una poesia per voce, incarnata, polifonica ma senza lirismo: marie weiss rot / marie blanc rouge (Delatour, 2013), La cité dolente (Châtelet-Voltaire, 2015) e la sua versione bilingue francese-italiano (Macabor, 2017), kaspar de pierre (La Lettre Volée, 2017), je neige (entre les mots de villon) (LansKine, 2018). Questo lavoro continua attraverso la collaborazione con alcuni compositori nel tentativo di ricercare nuove architetture poetiche. Ne è un esempio Back into Nothingness, monodramma per attrice-soprano, coro ed elettronica composto da Nuria Gimenez-Coma e messo in scena il 16 ed il 17 marzo 2018 presso il Teatro Nazionale Popolare (TNP) di Lione. I suoi testi sono pubblicati su riviste, in particolare su Vacarme, Babel heureuse, PLS, manuskripte, Phoenix, Po&sie, CCP, Sarrazine ed ancora Remue.net.

Gabriella Serrone è Dottore di ricerca in Linguistica francese ed è specializzata nel settore della fraseologia e della traduzione. Ha ricoperto il ruolo di docente a contratto di Lingua francese presso la sede frusinate dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale per gli anni accademici 2016/2017 e 2017/2018. Inoltre, è giornalista pubblicista e collabora con testate giornalistiche on line per cui si occupa prevalentemente di cultura. Ha tradotto per la casa editrice Macabor La cité dolente di Laure Gauthier e L’Approche Infinie di Sylvie Fabre G., di prossima pubblicazione.

Laure Gauthier
Tre inediti
traduzione di Gabriella Serrone

Voix 1
La marmite léguée
Voix 2
Ce n’est pas pour établir une lignée
Voix de villon
Exister par-delà la terre
Et les ayants droit
Voix 1 et 2
Toi, étant de travers !
Voix de villon
Être de mots et n’exister
subsister à écrire
Blanc sur fond de terre
même raide, motte en bouche
Laisser bruisser le mouvement
entre les mots
Les trois voix
Conçu par un père en terre
Et
Les baisers d’une mère maillon
La chaine, inachevée
   Qui pend du cœur-breloque
Toujours se réchauffer d’écrire
Partir. Se départir
Dans l’exil des mots

*

Voce 1
La pentola tramandata
Voce 2
Non si tratta di stabilire una linea
Voce di villon
Esistere oltre la terra
E gli aventi diritto
Voci 1 et 2
Tu, che sei di traverso !
Voce di villon
Essere di parola e non esistere
insistere nella scrittura
Bianco su sfondo di terra persino ripida, zolla in bocca
Lasciar frusciare il movimento tra
le parole
Le tre voci
Concepito da un padre nella terra
Ed
I baci d’una madre anello
La catena, incompleta
   Che pende dal cuore farlocco
Sempre riscaldarsi nella scrittura
Allontanarsi. Denudarsi
Nell’esilio delle parole

Da Je neige (entre les mots de villon), (Nevico (tra le parole di villon))

(LansKine, 2018)

Presentazione:

Je neige si compone di un testo poetico per voce e di un saggio sulla poesia di François Villon :
Dire le parole non dette della poesia di Villon, parlare dalle fessure tra le sue parole.
Sprofondare nell’apertura
Far sentire ciò che resta quando si passano in rassegna le poesie. Il movimento che ondeggia sotto le parole o appena prima delle parole. Questo impulso alla scrittura che gli era proprio.
Sentire ancora l’ondulazione tra la vita del poeta e la sua opera, ciò che è sordo e compare tra i fatti raccontati nelle varie biografie e le ballate Le Lais e Le Testament. Raccontare la poesia che diventa. Uno spazio bianco striato. Un tratto di energia tra l’uomo Villon e la sua opera scritta. Non ripetere con pessimi risultati le sue ballate, mettere in dubbio le biografie e gli archivi. Dialogare con ciò che ha attraversato Villon per diventare opera. Dire le sue alluvioni, ciò che non si è sedimentato nelle sue poesie. Alluvione, non sedimento, questa è la sostanza!
È quindi l’assenza di radici, il movimento permanente, l’esilio, l’assenza della terra e della natura, se non la nebbia ed il vento, l’insurrezione e l’amore, il gioco che si traduce in impulsi di scrittura, che hanno lasciato un segno tra il suo corpo e la sua opera. Un tratto che diventa voce. Una voce che prende corpo. Un corpo mobile, in movimento.

*

Il testo che segue va immaginato su un libro stampato, con le due pagine di sinistra e di destra una accanto all’altra a costituire un unicum di senso. La pagina di sinistra contiene i versi di Eloisa, quella di destra i versi di Abelardo, mentre la parte di Astrolabio è distribuita su entrambe le pagine. Bisognerà dunque seguire un ordine preciso leggendo prima la battuta di Eloisa, poi quella di Abelardo, in seguito la parte di Astrolabio da destra a sinistra ed infine nuovamente i versi di Abelardo.

HELOISE

Qu’ai-je serré au monde
Contre ma peau
Si ce n’est toi ?

     est muette

                                      Par le spasme d’aimer

La poussière d’être                                                   scintille

                                                                                               Et le temps

ABÉLARD

CACHE TES MOTS DE CHAIR
Qui
Engloutiront mes livres
De noir
Sous une couche de givre rouge

Astralabe

Mère / s’est attaquée à / la plus grande morsure de l’être
          A regardé en face
          Pas de biais ni trop haut

L’archive

dans l’oubli

n’est pas miroir

Abélard

Colombes sur ciel bleu,
/ Deux /
Suspendues
Cadre d’or mais les pieds grecs
Sandales brunes
Sur
Fond olive/ l’armure dorée
Torse suave
Quant au bleu tunique
Il guide vers des monts
Et sous le rameau
D’or,
La joue      révulsée
Casque à plumes
Mais
La main ,
     /dans l’attente suspendue !

*

ELOISA

Cosa ho mai stretto
Contro la pelle
Se non te?

                                                             è muto

                           Per lo spasmo di amare

La polvere dell’essere                                     scintilla

                                                                                     Ed il tempo

ABELARDO

CELA LE TUE PAROLE DI CARNE
Che
Ingoieranno i miei libri
Di nero
Sotto uno strato di brina rossa

Astrolabio

Madre / ha affrontato /il più grande morso dell’essere
Ha guardato in faccia
Non di traverso né troppo in alto
L’archivio
nell’oblio
non fa da specchio
Abelardo
Colombe su cielo blu,
/ Due /
Sospese
Cornice in oro ma piedi greci
Sandali scuri
Su
Sfondo oliva/ l’armatura dorata
Petto soave
Quanto al blu tunica
È guida verso monti
E sotto il ramo
D’oro,
La guancia      stralunata
Elmo di piume
Ma
La mano ,
     /nell’attesa sospesa !

Al centro della raccolta Terme des lamentations (Termine dei lamenti) si pone la storia di Eloisa e Abelardo. Il loro scambio pistolare, avvenuto mentre entrambi conducevano una vita ecclesiastica, contribuì a creare il mito di un « amore puro ». La violenza elle tendenze antipoetiche della società che si scaglia contro Eloisa e la forza reattiva di Astrolabio caratterizzano questo teatro della crudeltà e mandano in frantumi il mito dell’amore puro di una delle coppie più celebri della storia occidentale.

Abelardo è la minaccia principale, conquistatore in amore, retore impareggiabile. Principe antipoetico ed al tempo stesso autore di poesie, incarna la minaccia. Orienta il discorso e la voce a seconda dell’interlocutore.

Eloisa è l’amore incondizionato, immagine dell’abnegazione. È l’incarnazione della fragilità, della trasparenza poetica ed è contemporamente annullamento, abnegazione e rinascita, forza poetica.

Astrolabio, il figlio abbandonato di Eloisa ed Abelardo è descritto come un essere ibrido, al di là delle categorie di sesso ed età. Qui, il bambino messo da parte ha la stessa funzione che aveva il coro nella tragedia greca. Esterno all’azione, la commenta. È lui ad incarnare la possibilità della parola poetica, esposta, ma che resiste alla minaccia. Per riprendere una distinzione di H. Meschonnic nella traduzione di « comme ou les Lamentations », Astrolabio incarna una poesia che è la sofferenza, ma non esprime la sofferenza. Sembra allora pertinente un titolo che si auguri la fine di un arte del lamento (poesia)/ del pianto (voce), tipica della cultura occidentale dagli inizi della cristianità ed ambisca nondimeno a (ri)trovare il « termine », espressione della sofferenza in atto attraverso una poesia rinnovata, denudata, spogliata del mantello sociale per esprimere la sofferenza subita come dal tempo del « cantico dei cantici », che rimane prima di tutto un’opera poetica. La voce di Astrolabio salta oltre l’abisso, oltre il margine, da destra a sinistra della pagina ma anche, come in ebraico, da sinistra a destra.

(L. Gauthier)


Fotografia di proprietà dell’autore.