Kaveh Akbar – inediti (Traduzione a cura di Alessandro Brusa)

KAVEHKaveh Akbar è un poeta e studioso iraniano-americano nato a Teheran, in Iran, nel 1989. Suoi testi compaiono su numerose riviste tra le quali The New Yorker, Poetry, The New York Times, Paris Review, The Nation, Best American Poetry, The New Republic, The Guardian, American Poetry Review, The Poetry Review, PBS NewsHour. Ha esordito con la plaquette Portrait of the Alcoholic (Sibling Rivalry Press 2016) seguito da Calling a Wolf a Wolf (Alice James 2017 – Penguin 2017). In uscita nel 2021 Pilgrim Bell per i tipi di Graywolf. Insieme a Ocean Wong ha scritto i testi poetici per il film The Kindergarten Teacher del 2018.
Vincitore di numerosi premi tra i quali vari Premi Pushcart, Levis Reading ed il Lucille Medwick Memorial dalla Poetry Society of America e la borsa di studio Ruth Lilly and Dorothy Sargent Rosenberg della Poetry Foundation.
Ha fondato e dirige DivideAppear e tiene una rubrica settimanale per la Paris Review.

Sta attualmente curando un’antologia di poesia dello spirito per Penguin Classic.

Kaveh Akbar
Inediti

Traduzione a cura di Alessandro Brusa 

*

God

I am ready for you to come back. Where in a train full of dying
          criminals or on the gleaming saddle of a locust, you are needed again.

The earth is a giant chessboard where the dark squares get all the rain.
          On this one the wet is driving people mad – the bankers all baying

in the woods while their markets fail, a florist chewing up flowers
         to spit mouthfuls here and there as his daughter’s lungs seize shut

from the pollen. There is a flat logic to neglect. Sweet nothing sour
        in the air while the ocean hoots itself to sleep. I live on the skull

of a giant burning brain, that earth’s core. Sometimes I can feel it pulsing
       through the dirt, though even this you ignore. The mind wants what it wants:

daily newspaper, snapping turtles, a pound of flesh. The work I’ve been doing
       is a kind of erasing. I dump my ashtray into a bucket of paint and coat myself

in the gray slick, rolling around on the carpets of rich strangers
       while they applaude and sip they scotch. A body can cause almost anything

to happen. Remember when you breathed through my mouth, your breath
      becoming mine? Remember when you sang for me and I fell to the floor,

turning into a thousand mice? Whatever it was we were practicing
      cannot happen without you. I though I saw you last year, ball wrapped

around your thighs, lurching towards the shore at dawn. It was nobly mist
      and dumb want. They say even longing has its limits: in a bucket, an eel

will simply stop swimming non g before it starves. Wounded wolves will pad
      away from their pack to die lonely and cold. Do you not know how scary

it can get here? The talons that dropped me left long scars around
     my neck that still burn in the wind. I was promised epiphany, earth-

 

honey, and a flood of milk, but I will settle for anything that brings you now,
      you still-hungry mongrel, you glut of bone, you scentless as gold.

Dio

Sono pronto al tuo ritorno. Che sia con un treno pieno di criminali
     moribondi o sulla lucente sella di una locusta, abbiamo ancora bisogno di te.

La Terra è una gigantesca scacchiera dove i quadrati scuri si prendono tutta la pioggia.
     Su questo il bagnato sta facendo impazzire la gente – i banchieri tutti a ululare

nei boschi mentre i loro mercati crollano, un fioraio a masticare fiori
    per sputacchiarne poi a destra e a manca mentre i polmoni di sua figlia

si intasano di polline. Una logica lineare da dimenticare. Dolci banalità inacidiscono
    nell’aria mentre l’oceano urla fino ad addormentarsi. Io vivo sul teschio

di un gigantesco cervello in fiamme, il cuore della terra. A volte lo sento battere
    attraverso lo schifo, ma tu anche questo ignori. La mente vuole ciò che vuole:

notizie di continuo, tartarughe che mordono, una libbra di carne. Il lavoro che sto facendo
    è una specie di rimozione. Rovescio il mio portacenere in una latta di vernice e

mi ricopro della grigia poltiglia, rigirandomi sui tappeti di ricchi sconosciuti
    mentre loro applaudono sorseggiando scotch. Un corpo è in grado di fare

accadere quasi tutto. Ricordi quando respirasti dalla mia bocca, il tuo respiro
    che si faceva mio? Ricordi quando cantasti per me ed io crollai al suolo,

trasformandomi in mille topi? Qualunque cosa stessimo sperimentando
    non può accadere senza di te. Credevo di averti visto l’anno scorso,

le tue gambe cinte d’urla, barcollando verso il mare all’alba. Era solo nebbia
    e stupido bisogno. S dice che anche il desiderio abbia un limite: in un secchio

un’anguilla smetterà di nuotare molto prima di morire di fame. I lupi feriti lasceranno
    il branco prima di morire al freddo e soli. Sai quanto spaventoso

può diventare qui? Gli artigli che mi lasciarono qui hanno lasciato lunghe cicatrici intorno
    al mio collo che ancora fanno male al vento. Mi fu promessa un’epifania un

mondo meraviglioso e fiumi di latte, ma mi accontenterò di qualunque cosa ti porti qui
    ora, tu bastardo affamato, tu scorpacciata d’ossa, tu senza profumo come l’oro

*
Forfeiting my mystique

It is pretty to be sweet
and full of pardon like
a flower perfuming the
hands that shred it, but
all piety leads to a single
point: the same paradise
where dead lab rats go.

If you live small you’ll
be resurrected with the
small, a whole planet
of minor gods simpering
in the weeds. I don’t know
anyone who would kill
anyone for me. As boys

my brother and I
would play love, me
drawing stars on
the soles of his feet,
him tickling my back.
Then we’d play harm,
him cataloging my sins

to the air, me throwing
him into furniture.
The algorithms for living
have always been
delicious and hollow,
like a beetle husk in a
spider’s paw. Hafez said

fear is the cheapest room
in a house, that we ought
to live in better
conditions. I would
happily trade all my
knowing for plusher
carpet, higher ceilings.

Some nights I force
my brain to dream me
Persian by listening
to old home movies
as I fall asleep. In the
mornings I open my eyes
and spoil the séance. Am I

forfeiting my mystique?
All bodies become sicker
bodies. This is a kind of object
permanence, a curse bent
around our scalps resembling
grace only at the tattered
edges. It’s so unsettling

to feel anything but good.
I wish I was only as cruel as
the first time I noticed
I was cruel, waving my tiny
shadow over a pond to scare
the copper minnows.
Rockabye, now I lay me

down, et cetera. The world
is what accumulates —
the mouth full of meat,
the earth full of meat.
My grandfather
taught his parrot
the ninety-nine holy

names of God. Al-Muzil:
The Humiliator. Al-Waarith:
The Heir. Once, after
my grandfather had been
dead for a year, I woke
from a dream (I was a
sultan guzzling flies

from a crystal boot) with
his walking cane deep
in my mouth. I kept sucking
until I fell back asleep.
There are only two bones
in the throat, and that’s if you
count the clavicle. This

seems unsafe, overdelicate,
like I ought to ask for
a third. As if anyone
living would offer.
Corporeal friends are
spiritual enemies, said
Blake, probably gardening

in the nude. Today I’m trying
to scowl more, mismatch
my lingerie. Nobody
seems bothered enough.
Some saints spent their
whole childhoods biting
their teachers’ hands and

sprinkling salt into spider-
webs, only to be redeemed
by a fluke shock
of grace just before
death. May I feather
into such a swan soon.
The Book of Things

Not to Touch gets longer
every day: on one
page, the handsome puppy
bred only for service. On
the next, my mother’s
face. It’s not even enough
to keep my hands to myself —

there’s a whole chapter
about the parts of me
that could get me
into trouble. In Farsi,
we say jaya shomah khallee
when a beloved is absent
from our table — literally:

your place is empty.
I don’t know why I waste
my time with the imprecision
of saying anything else,
like using a hacksaw
to slice a strawberry when
I have a razor in my

pocket. To the extent I am
necessary at all, I am
necessary like a roadside deer —
a thing to drive past, to catch
the white of, something
to make a person pause,
say, look, a deer.

Rinunciando alla mia Aura Mistica

È bello essere dolci
e misericordiosi come un
fiore che dona profumo alle
mani di chi l’ha colto, ma
ogni credo porta ad un solo
punto: lo stesso paradiso dove
finiscono i topi di laboratorio.

Se vivrai come piccolo
resusciterai tra i piccoli,
un intero pianeta di
divinità minori a sorridere
nei prati. Non conosco
nessuno che ucciderebbe
qualcuno per me. Da bambini

mio fratello ed io
giocavamo all’amore, io
che disegnavo stelle sulle
piante dei suoi piedi, lui
che mi accarezzava la schiena.
Poi facevamo i giudici,
lui elencava i miei peccati

al vento, io che lo buttavo
contro i mobili.
Le formule per vivere
sono sempre state
piacevoli e vuote,
come la carcassa di un insetto tra le
zampe di un ragno. Hafez disse

che la paura è la stanza più
economica della casa, che
dovremmo vivere in condizioni
migliori. Io, che baratterei
volentieri tutto il mio sapere
per tappeti più soffici
e soffitti più alti.

Certe notti obbligo
la mia mente a sognarmi
persiano ascoltando
vecchi filmini di famiglia
mentre mi addormento . Al
mattino poi apro gli occhi e guasto
la magia. Sto forse

rinunciando alla mia aura mistica?
Tutti i corpi diventano corpi malati. È una
forma di permanenza dell’oggetto
una maledizione che ci circonda il cranio
rassomigliando la Grazia solo per i margini
strappati. È così destabilizzante

sentire tutto tranne il bene.
Vorrei solo essere cinico come
la prima volta che mi accorsi
di essere cinico, mentre mi agitavo
su di uno stagno per spaventare
i pesciolini-esca di rame.
Fai la nanna, ora mi stendo,

e bla bla. Il mondo
è ciò che raccoglie –
la bocca piena di carne,
il pianeta pieno di carne.
Mio nonno
insegnò al suo pappagallo
i novantanove nomi sacri

di Dio. Al-Muzil:
L’Umiliatore. Al-Waarith:
L’Erede. Una volta, e
mio nonno era morto già
da un anno, mi svegliai
da un sogno (ero un
sultano che tracannava insetti

da uno stivale lucido) con
il suo bastone da passeggio ficcato
in bocca. Cominciai a succhiarlo
fino a che mi riaddormentai.
Ci sono due sole ossa
nella gola, è così se
conti la clavicola. Questo

sembra pericoloso, troppo fragile,
come se dovessi pretenderne un
altro. Come se qualcuno
fosse disposto a offrirlo.
Gli amici nella vita sono
nemici nello spirito, diceva
Blake probabilmente facendo giardinaggio

nudo. Oggi sto cercando di
apparire minaccioso, di non abbinare
la lingerie. A nessuno
sembrava importare abbastanza.
Alcuni santi hanno passato
tutta l’infanzia a mordere
le mani dei loro maestri e

spargendo sale nelle tele di
ragno, per essere poi redenti
un attimo prima di morire
da una fortuita grazia
improvvisa. Possa impiumarmi
in un tale cigno al più presto.
Il Libro delle Cose

da Non Toccare si fa più grosso
giorno dopo giorno: su una
pagina, il cucciolo grazioso
nutrito solo per dovere. Sulla
successiva, la faccia di
mia madre. Non è sufficiente
per tenere le mani a posto –

c’è un intero capitolo
riguardante le parti di me
che mi potrebbero mettere
nei pasticci. In Farsi,
diciamo jaya shomah khallee
quando un caro non è
al nostro tavolo – letteralmente:

il tuo posto è vuoto.
Non so perché perdo
tempo con l’imprecisione
di usare parole altre,
tipo usare una sega
per affettare una fragola quando
ho un coltello in

tasca. Nella misura in cui io
sono davvero necessario, lo sono
come un cerbiatto al lato della strada –
una cosa oltre cui passare, lo
spirito guida da trovare, qualcosa
che faccia fermare una persona
e dire, guarda, un cerbiatto.


Alessandro Brusa, classe 1972, esordisce con il romanzo Il Cobra e la Farfalla (Pendragon – Bologna 2004), cui sono suguite due raccolte di poesia La Raccolta del Sale (Perrone – Roma 2013, premio Orlando) e In Tagli Ripidi (nel corpo che abitiamo in punta) (Perrone – Roma 2017). Nel 2015 insieme a Martina Campi e Valerio Grutt si è fatto promotore di un progetto sulla scena poetica bolognese che ha portato alla pubblicazione di Centrale di Transito (ceci n’est pas une anthologie) (Perrone – Roma 2016). Il suo ultimo lavoro è il romanzo L’Essenza Stessa (L’Erudita – Roma 2019). Suoi testi poetici ed in prosa sono apparsi su antologie e riviste, cartacee ed online, sia in Italia sia, in traduzione, negli Stati Uniti, Francia, Belgio, Romania, Spagna ed America Latina.
Accompagna il lavoro di scrittura a quello di traduzione dall’inglese con testi pubblicati su riviste online e cartacee (Testo a Fronte e Le Voci della Luna). Con rare eccezioni gli autori scelti sono giovani poeti rintracciati non attraverso le linee ufficiali dell’accademia, ma attraverso un lavoro di ricerca soprattutto nelle librerie del territorio tra Stati Uniti, Gran Bretagna ed India. Tra gli autori tradotti: Brian Borland, Kayo Chingonyi, Kamala Das, Jemima Foxtrot, Colin Herd, William Letford, Stephen Mills, Seth Pennington.
Fin dalla prima edizione del 2013 fa parte del comitato organizzatore del Festival Letterario a prevalenza poetica Bologna In Lettere.

Fotografia di proprietà dell’autore.