June Scialpi, “Il Golem – L’interruzione” (Fallone Editore, 2022)

Nota a cura di Luca Cenacchi

La Mostruosità del segno: rivoluzione mostra di June Scialpi

 

I. Trans Monstrosity: dentro e oltre la letteratura

Il Golem. L’interruzione (Fallone Editore, 2022) è un libro complesso che prosegue, tra le varie tematiche, la rappresentazione del corpo mostruoso di Carne Incognita (Ensemble, 2019). Come premessa all’analisi vera e propria si ritiene utile tracciare sinteticamente le linee generali della relazione tra mostro ed esperienza trans: uno degli elementi distintivi della poetica di Scialpi. Infatti l’autrice porta in campo una precisa consapevolezza teorico-antropologica mutuata principalmente dagli esiti della critica femminista sulla dicotomia genere/sesso, i cui assunti sono raccolti e ampliati da Butler in Gender Trouble mediante l’analisi delle posizioni di Beauvoir («il genere è la costruzione culturale variabile del sesso, la miriade di possibilità aperte del significato culturale a partire da un corpo sessuato»[1]) e quelle di Wittig («la categoria del sesso non è né invariabile né naturale, ma è un uso specificamente politico della categoria di natura ai fini della sessualità riproduttiva.[…] non c’è distinzione tra sesso e genere; la stessa categoria di sesso è una categoria connotata dal punto di vista del genere, pienamente investita dal punto di vista politico, naturalizzata, ma non naturale»[2]).

Questi sintetici rimandi bibliografici, tuttavia, non spiegano con sufficiente precisione ogni sfumatura del Golem di Scialpi. Infatti, il sodalizio tra transessualità e mostruosità si potrebbe far risalire all’interpretazione che Susan Stryker dà del mostro di Frankenstein nel discorso del ’93 presso l’Università Statale della California, in cui afferma: «Voglio rivendicare il potere oscuro della mia identità mostruosa senza usarlo come arma contro altr* o esserne io stessa ferita. Lo dirò senza mezzi termini, come ne sono capace: io sono una transessuale e, quindi, un mostro. Esattamente come gli epiteti “lesbica”, “frocio”, “queer”, “troia” e “puttana” sono stati rivendicati rispettivamente da lesbiche e omosessuali maschi, dalle minoranze sessuali anti-assimilazioniste, dalle donne che ricercano il proprio piacere erotico e da coloro che lavorano nell’industria del sesso, parole come “creatura”, “mostro” e “innaturale” devono essere rivendicate dalle persone transgender. La loro adozione ed accettazione, la loro somma addirittura, potranno dissiparne la capacità di danneggiarci. Dopo tutto, nella tradizione dominante della cultura europea occidentale, una creatura non è altro che un essere creato, una cosa fatta. L’affronto che voi umani percepite nell’essere definiti “creatura” è il risultato della minaccia che questo termine rappresenta per il vostro status di “signori della creazione”, di esseri elevatisi al di sopra della mera esistenza materiale. Come nel caso dell’epiteto “esso/a” [it], essere definito/a “creatura” suggerisce la mancanza o la perdita della superiorità dell’essere persona. Non mi vergogno, comunque, di riconoscere il mio rapporto egualitario con l’Essere materiale non umano; tutto emerge dalla stessa matrice di possibilità. […] Ascoltatemi, creature compagne. Io, che ho abitato una forma inadatta al mio desiderio, la cui carne è diventata un assemblaggio di parti anatomiche incongrue, io che posso assumere le sembianze di un corpo naturale solo attraverso un processo innaturale, vi faccio dono di questo avvertimento: la Natura con la quale mi tormentate non è che una menzogna. Non illudetevi che essa possa proteggervi da quello che rappresento, non è che un’invenzione che nasconde l’infondatezza del privilegio che, a mie spese, cercate di tenervi stretto. Siete costruite quanto me; il medesimo Ventre anarchico ha dato i natali ad entrambe. Vi esorto a interrogare la vostra natura, come io sono stata costretta a fare con la mia. Vi sfido a rischiare l’abiezione e a fiorire, come è successo a me. Ascoltate le mie parole, e potrete facilmente individuare le vostre cicatrici e suture.»[3]

Poste queste indispensabili premesse teoriche possiamo concludere questo discorso preliminare osservando che Carne incognita e Il Golem traspongono con profitto in poesia questa prospettiva mostruosa autorizzata da magisteri come quello di Susan Stryker. Il topos della mostruosità del corpo trans – e dell’esperienza trans in generale – diviene dispositivo letterario potente di rappresentazione di identità di genere non conformi, quindi di critica per veicolare un’istanza di auto-affermazione e far emergere le contraddizioni e i limiti di una prospettiva binaria.
All’interno della ‘letteratura mostra’, rispetto ad architetture stilistiche miste, come può essere quella di La mostruositrans di Filomena Filo Sottile (Eris Edizioni, 2020), Il Golem si distingue per l’espunzione del gallerismo e l’attenuazione dei tratti pamphlettistici: infatti questi ultimi vengono rifunzionalizzati dall’autrice all’interno del romanzo in versi,  il quale le permette di drammatizzare gli slanci di denuncia garantendovi maggiore incisività.

II. In principio era L’io e il Golem

Se in Carne Incognita il corpo era anatemica poltiglia di carne, unghie e capelli, il Golem si caratterizza più precisamente come costrutto: mito e semiosi segnica sono polisemicamente implicati. Infatti Scialpi descrive la natura semiotica del corpo/Golem: inizialmente è un’impostura in costante mutamento, mossa da volontà separata e contrapposta all’Io/interiorità.

«(la sua esercitata forma a rimanere incastrato)

Da un giorno all’altro
così: l’ho trovato rientrando
lì nell’angolo impostato
appostato nel suo spazio così
monumentale;

(lo sta facendo ancora: si
costruisce mentre si pensa
da solo, ne ha bisogno
perché si aggiorna perché
ha bisogno di farsi nuovo)

Mai mosso mai creato
fingersi di me opera è il suo scopo
fingersi scopo e significato

ecco il colosso»[4]

Questa dicotomia si rivelerà forzata sintesi operata da un principio esterno: Il Padrone. Nella strofa finale della poesia successiva, rielaborando i versetti di Genesi 2,7 ( «allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente»[5]), June rilegge in chiave queer parte del mito della creazione. Attraverso la sostituzione di Dio con Padrone viene messo quindi in evidenza il chiaro sovrasenso politico (padrone/patriarcato):  quindi simboli  come il Padrone,  il sole e per estensione la luce si riveleranno nel corso del libro simboli polisemici – a un tempo religiosi e laici – di ogni forma di alterità escludente e normalizzante, i quali impongono il proprio diktat e i cui effetti sono rappresentati dall’autrice con la formula di un coprifuoco dittatoriale nella sezione finale del libro.

«[ci guardavamo di sbieco: l’ambra degli occhi
che alla luce brilla; lui e le sue troppe pupille
sgraziate]

ci hai chiamati, a noi –lo ricordiamo
eravamo sovrapposti prima, una
confusione eravamo sbattevamo
l’un l’altro a ridosso, voltati aspettando

noi siamo quel Golem con la parola
morte in fronte. fatti dalla pasta
del respiro di un Padrone. un dio
minore, pur sempre un dio»[6]

Nello stesso testo merita particolare attenzione l’associazione, ripresa più volte nell’arco della raccolta, tra colosso e morte.  Questo particolare non è mero espediente stilistico, ma si inscrive come atto di risemantizzazione simile a quello operato da Susan Stryker nel monologo già citato, il quale è divenuto successivamente una potente metafora identitaria e dispositivo di critica. Nella parte finale del primo capoverso, infatti, Stryker denuncia il modo in cui Mary Daly paragonò le donne transessuali come agenti di un’invasione necrofila del femminile: «Non sono la prima a collegare il mostro di Frankenstein al corpo transessuale. Mary Daly ha esplicitato tale connessione ragionando sulla transessualità in Boundary Violation and the Frankenstein Phenomenon, in cui caratterizza le transessuali quali agenti di un’“invasione necrofila” dello spazio femminile»[7]. Attraverso tale operazione ‘letteraria’ si denuncia l’intrinseca tendenza dei sistemi binari ed eteronormati a disumanizzazione ed escludere le persone transgender: «Dal momento che la maggior parte della gente riscontra grandi difficoltà nel legittimare l’umanità di un’altra persona quando di quest’ultima non ne riesce a riconoscere il genere, l’incontro con persone che cambiano il proprio genere o che lo sfidano può essere visto come qualcosa di orrorifico, come un incontro con una creatura non solo disumana ma mostruosa. La reazione di pancia a tale incontro potrebbe essere di panico, disgusto, disprezzo, odio o indignazione e, di conseguenza, potrebbe trasformarsi in una reazione violenta, a livello verbale o fisico, diretta alla persona che viene percepita come non umana, che può includere anche l’assassinio»[8]. L’identità mostruosa, quindi, è istanza di affermazione, esercizio di memoria, lotta e liberazione. Per queste ragioni Il Golem – debitore certamente all’opera di Sottile – insiste ripetutamente su un ‘noi’ polisemico: esso identificherà tanto la somma dell’interiorità e della figura del colosso, quanto l’esperienza della comunità transgender.

In filigrana a questo fil rouge si lega il tentativo più generale del libro: creare una eversione semantica al fine di sottolineare i limiti di un linguaggio fondamentalmente imperfetto, etero-normato quindi violento ed escludente. Tale obbiettivo è chiarito sin dalla citazione in epigrafe tratta da Bedtime Story di Madonna: «today is the last day that i’m using words/ they’ve gone out, lost their meaning/ dont function anymore».

«sentiamo quel tonfo, un limine al rintraccio
l’oggetto da scompendio; il Golem illustra col
rumore il suo pensiero:

(si è graffiato la guancia cadendo facciatterra:
più accarezzo e più si squaglia (ci disfai
con questo gesto)»[9]

*

«per non dare agli altri da capire
sulla soglia ci scambiamo questo gesto:
il mignolo sulla guancia che striscia piano
un saluto fatto a gomiti, le labbra che
boccheggiano e non dicono nulla;
pieghiamo la testa all’indietro: così
ci accogliamo, al riparo da tutto ciò che
è conosciuto, dal simbolo coniato

[nell’aria fissi la polvere
i granelli in ritorno
si posano a terra: compongono
forme, questo è ciò che sembra]»[10]

Continuando ad addentrarsi nei meandri del Golem, progressivamente affiorano costellazioni di tematiche connesse all’esperienza trans configurantesi come stato alieno assoluto fuori dal rito del significato. Questa la coscienza di vivere e rappresentare un mondo possibile: una cesura fuori dal «topos degli umani». Per queste ragioni, essendo escluso dal giorno, l’ambiente autoctono dell’interiorità e del Golem non potrà che essere la notte, nella quale si ritroverà la propria voce dopo un periodo di forzato silenzio diurno. La notte descritta da Scialpi potrebbe essere comparata, quindi, alla formula del luogo/non luogo trans di Porpora Marcasciano[11]: essa, però, non dovrà intendersi unicamente come un capovolgimento della vita diurna, ma una cupola in cui cercare se stess* al riparo da dinamiche violente poiché «tutto tende alla negazione/ se ne va per la rinuncia» a causa di un linguaggio che «ci dà la caccia/ che ci piega a farci forzature.»

III. Patti notturni, il sogno e la rivolta

In un luogo ostile, prendere le redini del corpo è possibile unicamente col favore dell’ombra: solo di notte può consumarsi un altro rito, che è scelto, poiché ha come sorgente l’interiorità. Al paradigma del patto diabolico, come può essere quello del Malleus Maleficarum, il quale prevede un asservimento ad una forza speculare e contraria, viene sovrascritto quello del patto col mostro: ovvero formula iniziatica funzionale alla presa di coscienza di sé. Questa consapevolezza comporta la comprensione della potenzialità dell’esperienza trans di auto-costruzione del corpo, quindi un tempo di liberazione, difesa e critica.

«qui la notte fa una cupola di vetro che lui
non vede oltre

(scegli una parola sola
serve solo a cominciare)

spegne le luci perché
il coprifuoco è arrivato
–gli dormiamo in un palmo;
stringe il pugno di pietra
per fare sazi i sogni di cui
il patto tra di noi è formato

(all’incontro è uno sfiorarsi senza tatto
lo sguardo che volgi al corpo
nel buio tagliato)»[12]

*

«le ore alte passano così come l’ombra
a volte una lama le taglia
perché nella stanza se entra luce
lui inorridisce; ma sono solo
le sirene in autostrada:

a singhiozzi i lampi intermittenti
ti illuminano la faccia: non gli sei
stato mai così riconoscibile come
ora che hai il volto mostruoso del
deforme»[13]

La monstrificazione viene descritta come doloroso iter in cui la poiesi tra interiorità e corpo deve confrontarsi con una contrattazione sociale, che non viene mai meno. Tale metamorfosi potrebbe dunque essere riassunta in due momenti separati: sogno e attualità sociale.  Nella sezione Primo Fottuto Carnera! – e in particolar modo nelle poesie a pagina 60 e 61 del libro (lui è tutto lì e quindi l’energumeno è arte) – per un istante vengono abbandonate le cupe tinte delle sezioni precedenti concentrandosi sull’aspetto di auto-costruzione. Analizzando le dinamiche tra interiorità e Golem finora descritte si comprende meglio il loro duplice carattere ontologico: sulla scia di Stryker, anche Scialpi pone in un piano egualitario la Persona e l’Essere materiale non umano. In questo contesto il sogno e l’arte diverranno meccanismi poietici attraverso cui l’interiorità prende le redini del corpo. Successivamente riemerge inevitabilmente la minaccia del sole e quindi del Padrone, da cui il Golem pare non potersi esimere: infatti quest’ultimo «va nonostante tutto a parlare col Padrone:/ sbrandellato non sa che fatto a pezzi/ è conteso da tutta la folla che lo vuole». Solo l’abiura della vita precedente alla mostrificazione potrà sottrarre il Golem e l’interiorità alla continua contrattazione, rendendo possibile la rinascita e la rivolta.

«(lascialo ora: che il sogno che hai sognato
uccida la vita che hai vissuto)

una ricorrenza sarà, sai, dirti: quando
piangi al contrario ti si asciugano gli
occhi e se per caso una mano ti affonda
la faccia nella pozzanghera d’acqua:
pupille di vetro per non tornare a galla:
sarai pronto alla rinascita[14]»

*

«(29 Giugno 1933)

sei nell’alba che ci sveglia presto
per esserci: solo per questo

nella nebbia è una vertigine
il pensiero dello scontro; il ring
che sbarra, coi guanti scandisci
il ritmo che incalza –fa caldo ma
non ci pensi; si sente lo sai come
come lo sai che si sente bloccato
nella fuga è lì che può sentirlo
può vederlo ci si allunga: col montante
destro in pieno volto conquista il titolo
del mondo

[chiunque è pregato di riprendere
il proprio posto]»[15]

Infine in questo continuo flusso di disfacimento e coesione – per riprendere un paradigma deleuziano- il corpo pare un’entità in divenire abitante uno spazio di variazione costante e – aggiungerebbe June sulla scorta di Filomena il Filo Sottile– in cui l’interiorità si manifesta. Di questo perpetuo moto l’atto poietico – quindi la poesia stessa- costituiscono l’analogia più pregnante, ovvero la possibilità di «potersi non pensare/ [in un finale]»

“Lascio pareti chiare
per le tue questioni
di preghiera. Mi tolgo
dal dettaglio di questi
ultimi versi; gira
e rigira tutto il barbàglio,
tutta la verità sta qua.”

Claudia Ruggeri

 

«ora che la poesia è questione di vita o di morte

lo abbracciamo
e nell’abbraccio siamo uno:
assorbiti dalla creta
palesàti (mai stati nati)
per sempre confortati
il Golem mi dice (e
quindi ci diciamo) lo vedi
scrivere poesia è
potersi non pensare
[in un finale]

smettiamo di chiedere.»[16]

IV. Per chiudere: interdisciplinarità in poesia

Come Carne Incognita, Il Golem è  importante per la poesia su un piano sia letterario che extra-letterario: anzi si potrebbe dire che questi due libri connettono letteratura, antropologia, folklore e cultura pop in maniera intima e complessa. Se sulla poesia italiana contemporanea degli anni 70 è sempre gravato l’anatema berardinelliano secondo il quale l’esperienza poetica delle generazioni giovani era costituita da un senso di tradizione interrotta[17] e se Ladolfi ha visto nell’esperienza poetica delle generazioni anni 80-90 una generale mancanza dei padri, uno smarrimento tragico della figura genitoriale[18], in questo panorama il libro di Scialpi acquista un valore altissimo. Questo perché, nell’ambito se vogliamo della sua generazione, ella mostra meglio le potenzialità letterarie di un insieme di fonti dal carattere inter-disciplinare, le quali permettono alla poesia di radicarsi nel territorio di un’esperienza comune, ma certamente non del tutto afferenti alla tradizione come è stata intesa dalla critica.

Scialpi in particolar modo rappresenta il corpo e la transness non tanto come un tipo di identità limitantesi unicamente ad offuscare il binarismo di genere, ma come una frattura la quale riesce a prescindere da esso attraverso la cancellazione della connotazione anatomica. Pertanto in questo romanzo in versi si  portano a compimento i principi alla base dei queer e transgender studies applicati alla letteratura, ovvero come nota Zigarovich: « Instead of looking at queer or trans as a blurring of the gender binary, perhaps we can envision trans as a space between the body and the body politic; as a space that allows for new ontologies[19]».

 

[1] Judith Butler, Questioni di un certo genere il femminismo e la sovversione dell’identità, La Terza Roma-Bari 2021 p. 158

[2] Ivi. p. 159

[3] Cfr. https://lesbitches.wordpress.com/2019/02/11/cio-che-dissi-a-victor-frankenstein-sopra-il-villaggio-di-chamonix-uninterpretazione-della-rabbia-transgender/

[4] June Scialpi, Il Golem. L’interruzione, Fallone Editore, Taranto 2022 p. 22

[5] La Bibbia di Gerusalemme, EDB edizioni, Bologna 2022 p. 25

[6]  Op. Cit. p. 23

[7] Cfr. https://lesbitches.wordpress.com/2019/02/11/cio-che-dissi-a-victor-frankenstein-sopra-il-villaggio-di-chamonix-uninterpretazione-della-rabbia-transgender/

[8] Susan Stryker, Gruppo Ippolita (a cura di), Storia Transgender, radici di una rivoluzione, Luiss university press, Roma 2023 p. 31

[9]  Op. Cit. p. 26

[10] Ivi p. 29

[11] Cfr. Porpora Marcasciano, L’aurora delle trans cattive, storie, sguardi e vissuti della mia generazione transgender, Alegre, Roma 2018 pp. 53-88

[12] Op. Cit p. 43

[13] Ivi. p. 47

[14] Ivi. p. 76

[15] Ivi p. 77

[16]  Ivi p. 92

[17] Alfonso Berardinelli, Tra il libro e la vita, Bollati-Boringhieri Torino 1990 p. 63

[18] Giuliano Ladolfi, la generazione mancante, in Eleonora rimolo, Giovanni Ibello (a cura di), Abitare la parola, poeti nati negli anni novanta, Ladolfi, Borgomanero 2019 pp. 144-156

[19] Jolene Zigarovic, TransGothic in Literature and Culture, Routledge Londra 2018 p. 7

 

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June Scialpi (1998) è laureata in Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione. Si interessa di studi queer e transfemminismo. Alcuni suoi testi sono apparsi sul numero 102 della rivista «Atelier». Inediti più recedenti sono stati inclusi nell’antologia I cieli della preistoria. Antologia della nuovissima poesia pugliese (Marco Saya edizioni 2022). Carne Incognita (Ensemble 2019), pubblicato sotto un precedente deadname, è il suo esordio in poesia.

 

Luca Cenacchi principalmente si occupa di critica letteraria  con particolare interesse verso la poesia queer italiana. ha collaborato con varie riviste online e cartacee tra  cui: Argoonline, Poetarum Silva, Atelier (cartaceo),Niederngasse, FaraPoesia e altri. Ha collaborato con diverse case editrici, per cui ha firmato prefazioni e interventi,tra cui: Oedipus, Atelier, Fara editore e Tempo al Libro. è stato giurato presso vari concorsi letterari tra cui Bologna in Lettere (Dislivelli 2018). Attualmente collabora con il collettivo forlivese Candischi  con cui organizza presentazioni di poesia.