Jonathan Rizzo – Inediti

Jonathan Rizzo (Fiesole, 1981) di radici elbane, studi storici fiorentini, rinascita parigina. Ha pubblicato L’Illusione parigina (Porto Seguro 2016); Eternamente Errando Errando (LaSignoria 2017); La Giovinezza e altre rose sfiorite. Ritratto del poeta che fu (Ensemble 2018); Le scarpe del Flâneur (Ensemble 2020) ed è stato pubblicato in varie antologie poetiche. Gode d’esperienza di regia e speaker radiofonico per la trasmissione “Al bar della poesia” in onda sulla web radio Garage radio nel 2020, ed ha curato il programma di arte e cultura alternativa “JHONNYSBAR altre forme d’arte” sulla web tv del portale STYLISE.IT, inoltre collaboratore/curatore per la programmazione culturale di diversi caffè letterari in Toscana ed organizzatore di happening artistici e reading poetici in tutta Italia ed in Francia. In fine poeta performer, marinaio e nomade.

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TRAMONTANA

Fa parte del contratto con Dio la pioggia,
ne è la clausola rescissoria.

Del quadro perfetto di luce e pace,
nel furore guerriero data tempesta
come dama in amore
il mare si pone
in mostra per farsi ammirare,
immortalare nell’abbracciare intimo
lontano umano
facile al distrarre, scarno nell’afferrare
tale immaginifico Dio danzare.

Sento il profumo, ma non vedo le onde.

Il fragore della carcassa
alla deriva
mi acceca e frusta
orgoglio ed anima,
ottenebra fiammella
evapora lacrima.

Accarezza l’onda nell’ombra.

Cieca schiaffeggia questa mia faccia spiaggia
solleticata fra le dita dalla sventaglia
che tratteggia graffi e semina messi
di piccoli passi a strofe e versi.

Come se impetuosi marosi
prosciugassero secoli di scogli e massi
dai ricordi stagioni nei muschi a nord di noi stessi
ombreggiando loschi farsi frasi,
oggi la stasi.

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UNA MORTE INTERESSANTE

Guardò la linea distante della riva pensando, “chi preferisce la terra al mare se non quelli uomini pieni di paure”.
Aggiunse senza muovere labbra e respiri, “rinunciare alle memorie, accogliere l’orizzonte”.
Navigava come un’isola alla deriva sullo sconfinato Oceano mare.
Fuggiva agli approdi, fratello libero di quei venti favorevoli porsi ali agili allontanarsi dagli inganni facili dei porti degli uomini.
Cercava senza cercare bonacce al sole o il niente ripetuto dell’orizzonte, immobile nel galleggiare.
Preferiva il niente che aveva da dargli il mare.
Un giorno di noia tra le onde bambine dispettose, bruciò le vecchie mappe dei capitani di lungo corso che teneva gelosamente sotto il berretto infeltrito di lanugine spelacchiata.
Rideva e cantava ubriaco di quel tipo di vita speciale che brilla folle nel rhum sotto al sole.
“Non ci sono più isole segrete di pirati e tesori da scavare”.
Il fumo dell’oblio.
Fiori di loto in fiamme.
Il marinaio che arde nell’inferno acquitrino,
folgore di Paradiso eluso
elisir di bestemmia e canzonacce
in cui affogare felice.
Un puntino dal cielo, fumo sull’acqua ad evaporare
tra le stelle spente per migliaia di notti ripetute perfette e gli aborigeni di qualche isola fuori dal tempo immersa nei racconti degli ubriachi legni marci da bettola ciancianti nel loro ultimo sorso offerto, biascichio confuso e stanco a trascinarsi di quei figli neri della terra nera senza origine né domani d’aggiungere o raggiungere.
Pensò l’ultimo pensiero
prima che il mare lo lasciasse andare,
“Fedeli a loro stessi, ed io immobile trottola che affoga”.