Isabella Bignozzi, Le stelle sopra Rabbah

Isabella Bignozzi

Le stelle sopra Rabbah

Transeuropa, 2021

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Una poesia d’esordio fatta di paesaggi e pensieri, attenta a restituirne i fremiti. Una voce lucida, dall’andamento stilisticamente cangiante, che si muove dall’epigramma al verso lungo e quasi narrativo. Bignozzi non usa la realtà per sostenervi faccende biografiche, dice Elio Grasso nella postfazione, ma per definire rapporti tra le persone e le cose, sa insomma che, oggi più che mai, c’è bisogno della funzione vitale della poesia. Nella prima sezione, forse la più visionaria, incontriamo una Roma deludente, l’uccello del tempo che stride imperscrutabile, una liturgia ortodossa, sepolcri abbandonati, angeli mesti, l’auspicio di un mondo degli uomini prima dell’oro, di un’età anteriore, culla del mito.

Nella seconda sezione, eponima della raccolta, si registra l’avvento dell’uomo nuovo – padrone/ feroce/ vuoto – e riappare l’uccello del tempo, che ancora stride ma questa volta pretende anche di parlare; il verso prima si sgrana poi vira verso la prosa e da conto di mode e ritualità pretenziose (il meeting di crescita personale/ l’abbuffata di cibo orientale). La poesia non può davvero far altro che innalzare equivoci/ teorie mistiche/ raschiare sensi/ dal crittogramma./…/ quanta danza di arcobaleni e uragani ancora. Ma tra le ultime poesie serpeggia la speranza e in due di esse – dedicate a Massimiliano e a Federico – si cesellano, con grazia e intensità, due ritratti umanissimi.

Antonio Fiori

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Luce

Chiarore di sassi

e polvere acerba.

Il bianco trafigge

lo sfarzo caduco

dei fiori

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La luna sulla pietra di notte

Spoglie disciolte a respirare la fossa
il tepore fertile di zolle franate

la luna d’edera sulla pietra di notte
i cumuli di fiori bianchi sepolti.

Ci governa un dio barbarico.

L’ardore del cielo
i carillons di trine
dormono infine
nelle nostre ceneri.

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Margine

 

Considera l’attimo
l’aria che intaglia le cose
il profilo in ombra di una madre

considera l’acqua
le sue vie calcaree
le sue furie di sale

somiglia alla grazia
questo suo scavare gelido
molle di luce

dici
non c’è scampo allo splendore
ai feroci richiami del giorno

il dolore è margine di bellezza
e noi qui
nell’eterno nitore di settembre.

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Supernova

.                                                                                   .a Massimiliano

Non è andata smarrita neanche una goccia di te

di quel tuo midollo sfrontato e candido

della tua luminosa scura allegria

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la tua vorace risata d’avorio bianco,

lo scherzo verde di finto bastardo

sono incubate come insetti in un silenzio di cera

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le tue frequenze sono ancora qui

nel rumore di ciglia assorte, nel rosso che bagna i battiti

non saranno mai perdute, mai.

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Ti vedo scalciare bizze lucenti

fare spavaldi programmi azzurri

con una gioia furiosa d’artista

il tuo stelo piegato che vince la falce

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E alla fine hai vinto tu

sei divenuto mancanza quieta

ma premi a ogni alba nella rugiada

ti fai maestrale la sera tra le colonne del patio

la rosa che hai piantato cerca luce a ponente

fiorisce come una supernova

ma ricorda la tua acqua ancora.

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Isabella Bignozzi (Bologna, 1971) è medico odontoiatra, autore di numerose pubblicazioni scientifiche internazionali. Ha pubblicato racconti e contributi critici su varie riviste letterarie, e il libro Il segreto di Ippocrate, romanzo storico a memoriale, uscito per La Lepre edizioni nel febbraio 2020. Alcune sue liriche sono apparse su «Inverso – Giornale di poesia». È finalista per la prosa inedita alla 35^ edizione del Premio Lorenzo Montano. Questa è la sua prima silloge.