«Non c’è poesia che non adibisca una lingua mai prima messa in moto in quel modo lì». Intervista ad Alberto Bertoni

Alberto Bertoni in dialogo con Gisella Blanco. L’intervista proseguirà su uno dei prossimi numeri di Atelier (cartaceo).

L’ultima pubblicazione di Alberto Bertoni, uscita a settembre per la collana Gialla Oro di Pordenonelegge – Samuele editore 2022, è una raccolta di poesie edite e inedite che, nella loro varietà di suggestioni e di immagini, ha come “unità tematica” un vasto repertorio animale che la rende un “auto-bestiario” contemporaneo.

L’autore, nella nota conclusiva, racconta di aver composto l’antologia attraverso una “quasi maniacale ricombinazione musiva” e la “riattivazione di certi circuiti che percorrevano sotterraneamente” i testi selezionati.

Se alcune poesie sono tratte dalla silloge precedente, “L’isola dei topi” (Einaudi 2021), il passaggio dalla copertina bianca a quella gialla è sancito da un titolo mordace e irriverente, “Culo di tua mamma”, con un esplicito tributo a Charles Bukowski e a una sua poesia in cui la circostanza di una corsa di cavalli risulta essere un efficace “metodo d’interpretazione del reale”.

1) GB Nella nota finale dell’antologia “Culo di tua mamma (Autobestiario 2013-2022)”, specifichi che alcuni testi sono tratti da precedenti pubblicazioni e altri sono inediti. Sono anche presenti delle traduzioni. Qual è il fil rouge che unisce testi del passato e poesie degli ultimi anni, nonché traduzioni di altri poeti e poesie in dialetto, all’interno di una raccolta antologica caratterizzata dalla ricorrenza della presenza animale?

AB Non da oggi, considero il mio corpus poetico un sistema abbastanza unitario, anche se innervato da stili, lingue, modalità comunicative, temi, esperienze di vita nel tempo anche molto differenti e talvolta tutt’altro che uniformi. In ogni caso, ciò che in versi ho composto negli ultimi quarant’anni è per me un work in progress. Le prime tracce materiali di questa attività poetica, che ho intrapreso nel 1967, dodicenne sulla spiaggia di Marina di Carrara, risalgono al 1980. Nel marzo del ’77, infatti, il giorno dopo la morte per mano poliziotta in via Mascarella, a Bologna, del mio collega studente Francesco Lorusso, ho buttato in un cassonetto dei rifiuti tutti i miei manoscritti e nei tre anni successivi – complice una cocente delusione d’amore – ho scritto pochissimo, forse nulla. Ho ripreso nel 1980 perché costretto – dopo la laurea – a un anno di assurdo servizio militare, nel corso del quale ho conosciuto Enrico Trebbi, un bravo poeta come me modenese, e lo scrittore ferrarese Stefano Tassinari, allora anche piccolo editore sotto il vessillo glorioso di una Cooperativa Charlie Chaplin, che nel maggio 1981 stampò a Trebbi e a me il libretto d’esordio, L’esatto tempo: non un’opera a quattro mani, ma composta di due parti affiancate e scandita da pronunce decisamente sperimentali, secondo lo stile dell’epoca.
Quanto alla presenza animale dell’ultima antologia è una conseguenza diretta della poetica che mi ispirava al tempo del mio apprendistato, quella del cosiddetto correlativo oggettivo, fra Eliot e Montale, in virtù della quale a una condizione interiore non istantanea ma distesa in una sequenza temporale (in una storia?) corrisponde una sequenza allegorica che si presenta (quasi sempre a sorpresa, producendo effetti di straniamento) nella realtà esperienziale del soggetto. È una poetica che molti oggi giudicano sorpassata, ma che continua a nutrire il mio immaginario e che negli ultimi anni – da quando, al principio del XXI secolo, ho avuto la mia prima gatta domestica, Musetta – ha nutrito con frequenza sempre maggiore il mio spirito di osservazione del reale e il mio modo di abitarlo. Si tenga poi conto che da quando avevo quindici anni mi piace molto scommettere sulle corse dei cavalli, frequentando in prima persona gli ippodromi, fino al punto che attribuisco al meccanismo della corsa in sé e alla modalità della scommessa una funzione interpretativa e conoscitiva dell’intera realtà umana.

 

2) GB Nel saggio “Poesia italiana dal Novecento a oggi”, tratti dell’importanza della “disponibilità a leggere gli altri (…), a confrontarsi onestamente su poetiche anche completamente diverse o addirittura opposte rispetto alla propria”. Che pensi dell’accesa querelle contemporanea tra poesia lirica e poesia sperimentale?

AB Ti confesso che sarà anche accesa, questa querelle contemporanea, ma non mi scalda il cuore. Me la cavo girandole attorno e affermando che la lirica “pura” non mi ha mai coinvolto più di tanto così come lo sperimentalismo fine a se stesso. Preferisco pensare che gli ingredienti di una buona poesia siano molteplici e mai definibili a priori: certo, dal mio punto di vista, non esiste una buona poesia che non adibisca una lingua poetica “mai prima messa in moto e in gioco in quel modo lì”; e non esiste una buona poesia che sia radicalmente asemantica, linguisticamente intransitiva. La metafora è usurata, ma è anche questione di alchimie o di ricette riuscite o no.

3) GB Nell’Oscar Mondadori dedicato a Pier Luigi Bacchini (Poesie 1954-2013, Mondadori 2013), fai cenno al concetto di “geo-critica” che hai lungamente affrontato in altre pubblicazioni. Nella consapevolezza che sia impossibile riassumere l’argomento in una trattazione breve, ci illustri le sue potenzialità e le sue criticità?

AB Ormai la geocritica è diventata quasi una disciplina a parte e – in quanto tale – non m’interessa granché. In me è scattato il germe della geocritica quando Einaudi mi ha affidato il capitolo sull’Emilia e la Romagna per la monumentale Letteratura italiana di Alberto Asor Rosa, tutta ordinata in chiave storico-geografica. È stata un’intrapresa che ho portato a termine con successo nel 1989 e che mi è valsa anche l’amicizia di un ottimo scrittore coetaneo come Pier Vittorio Tondelli. Sul piano della poesia, certo, le istanze della geocritica hanno prodotto, fra l’altro, una buona attenzione interpretativa e ricettiva verso i poeti neo-dialettali che, nell’ultimo cinquantennio, hanno prodotto un fenomeno vivissimo di scritture in versi, con autori di livello alto quali il santarcangiolese Raffaello Baldini, il milanese Franco Loi, il lericino Paolo Bertolani, l’anconetano Franco Scataglini e il sassolese Emilio Rentocchini.

JFK

Dal trenino per l’aeroporto Kennedy
intravedo i cavalli mentre sgabbiano
all’ippodromo accanto
e ne intercetto uno
nero col cappuccio marrone
freccia nel blu che ha speso
troppo presto lo slancio

Sparita la visione
costretto su un parcheggio lo sguardo
posso solo immaginarlo
ultimo e distante, passo
dopo passo barcollante,
girovago e migrante
sul traguardo

Chissà perché ti associo,
caro il mio brocco,
nella mia mente al mio disordine
attraccando come te fra un attimo
in mortale ritardo
al delirio di luci e di quadranti
pronti già a scattare
quasi all’unisono
uno dopo l’altro
fra le cancellature e i troppi
OK al volo

But if you die today
un predicatore sulla Settima ha intimato
are you so sure of Heaven?
– se muori oggi
di essere accolto in Cielo sei
proprio sicuro?

Sicuro lo sono sì e no
gli ho risposto in italiano
della volta che mi hanno lasciato
da solo sul balcone a sera tardi
davanti all’amore silenzioso
delle strade dei giochi d’ogni giorno
Circonvallazione Sud, via Salvioli, via Baraldi
perso nella sera sibilante
di zanzare e rane

E poi salvato in corner dall’alone
gialloarancio della notte
alla periferia di Modena,
verso le montagne

Animali nel momento della morte

… il problema è come
dopo la morte riascoltare
chi di una storia ci ha svelato
i dedali infiniti delle tane
intanto che i parchi
gli incroci i profili delle case
urlano implorano piangono
tutte le sagome più care

Come farfalle inchiodate
o come talpe quando vanno a cozzare
contro la roccia naturale,
dura e minerale
siamo animali da trapasso,
reliquie abbandonate
nelle scatole da scarpe
o resti indecifrabili di sogni,
sparute in genere ed assorte
sillabe roche

E alla fine le loro
ombre distorte

 

HORSE FLY

Il ragazzo coi brufoli e il berretto alla rovescio
mi è venuto vicino all’ippodromo
e “Chi ti piace?”, mi ha chiesto.
io gli ho risposto: “non sai che appena
lo nomini, un cavallo non conta più nulla?”
Lui ha fatto come se
non mi avesse sentito: “Chi ti piace
nell’accoppiata in ordine?”
“non scommetto sulle accoppiate in ordine”,
gli ho detto. “Perché?”, ha insistito.
“Perché prelevano il 20% del montepremi”,
gli ho risposto. Lui di nuovo ha fatto
finta di niente. Allora,
tentando di togliermelo
una volta per tutte di torno, ho aggiunto:
“io non scommetto
su doppi, multipli, quinté
e quartè.” tutto inutile. E alla fine:
“Chi ti piace in questa corsa?”

“Culo di tua Mamma”, l’ho informato
ma non appena si è messo
a cercarlo sul programma
me ne sono andato.
[da Charles Bukowski]