Intervista a Francesca Mazzotta

Francesca Mazzotta è nata a Firenze nel 1992. Si è laureata in Italianistica (2017) all’Università di Bologna, con una tesi comparativa sul poemetto novecentesco, ed è attualmente dottoranda in Scienze della persona e della formazione (curriculum Storia e letteratura dell’età moderna e contemporanea) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove si occupa della linea poetica lombarda nel secondo Novecento. Ha vinto il premio InediTO, mediante il quale ha pubblicato il suo primo libro di poesie, Reduci o redenti (CartaCanta editore, 2016), e il premio Solstizio per l’opera prima (2018). Nel 2018 ha pubblicato il prosimetro Umbratile (Origini Edizioni), scritto a quattro mani con Luca Saracino. Ha lavorato come editor presso la casa editrice fiorentina Mandragora, occupandosi di redazione, traduzioni dall’inglese e creazione di web contents.
Suoi testi poetici, recensioni e saggi sono comparsi su blog come Perigeion, MediumPoesia, formavera e riviste come «Poesia», «Atelier», «Poesia del Nostro Tempo», «Nazione Indiana», «Nuovi Argomenti», «L’Ulisse», «Paragone Letteratura». Gli eroi sono partiti, ultimo libro di poesie, è appena uscito per l’editore Passigli.

 

***

 

MB – Una delle più evidenti differenze tra il tuo ultimo libro edito da Passigli, Gli eroi sono partiti, e il tuo primo libro Reduci o redenti uscito per CartaCanta nel 2016, è l’uso massiccio e quasi ossessivo di una versificazione tradizionale; settenari, novenari e soprattutto endecasillabi la fanno da padrone. “È rito e ritmo […] misura che cadenza la paura” si legge in un testo. La versificazione tradizionale ha questa funziona rassicurante p invece è sintomo del tragico, della paura della notte che pervade questa tua raccolta? 

FM – Aut/Aut

1.1. La versificazione tradizionale funziona come un pendolo. Ricorrendo a essa vorrei vivificarne la potenza oscillatoria, la virtù di sapersi destreggiare tra due estremi precisi, a suon di accenti e formule sonore – ovvero di inciampi, extrasistoli: il verso è tradizionale perché risuona dentro il nostro cuore. Il verso tradizionale risuona nel nostro cuore perché è un corpo che, mentre torna a oscillare (in altri luoghi e tempi), varia senza variare.

1.2. La versificazione tradizionale funziona, in alternativa, come:

  1. Un nascondiglio.
  2. Un’ipnosi.
  3. Una formula apotropaica.
  4. Non ne ho idea.

 

MB – Questa idea del “tragico che mette a soqquadro il comico” di cui parli in apertura del libro sembra richiamare alcune atmosfere Anni ‘ 40, ovvero quelle di una certa lirica toscana e fiorentina che trova in Avvento notturno di Luzi una forma di sinossi e ossificazione tematico-stilistica. La seconda sezione, Criteri del sonno, sembra essere molto affine a quei “climi”. Sei d’accordo o c’è, come sicuramente credo, dell’altro?

FM – Di questa domanda mi colpisce una parola: ossificazione. Eppure mi chiedo: un’atmosfera che ossifica, non rischia forse di ristagnare? Speriamo di no. Luzi è di certo una presenza climatica importante, ma nella mia percezione più nordica che fiorentina, che si irradia cioè (soprattutto nella prima metà del libro) come luminosità fredda, come tonalità “sublime”. Il tragico che mette a soqquadro il comico ha, nella mia mente, quest’invincibile talento: raggelare.

 

MB – Parzialmente contraddicendomi rispetto alla prima domanda, la prosa apre e chiude questo libro. Di più, la prosa (e con prosa qui intendo, oltre all’aspetto formale, anche tutto il portato non strettamente lirico di quello che si chiama “narrazione”) sembra infiltrarsi sempre di più nei testi in versi. La prima parte della seconda sezione, Lava, assume la forma di un poema in lasse legate per coblas capfinidas, raccontando una storia. Come vedi questo rapporto fra versi e prosa?

FM – Poesia e prosa, senza che ne fossi del tutto consapevole nell’atto della scrittura, si sono contagiate in un crescendo. L’«infiltrazione» della seconda corrisponde nella mia percezione al disserrarsi della voce sincera che è, insieme, aumento della frequenza cardiaca, potenziamento del tono e dunque anche della temperatura corporea, terrena, della parola – che si arroventa, diventa magma. Fuoriesce. L’incatenamento a coblas capfinidas di Lava è, in effetti, messo in moto da un desiderio di narrrazione. Di più: da un desiderio di vincere la notte, la morte, “a forza di racconto”. Questo desiderio richiama il totem-matrioska che un po’ mi ossessiona, i mille e uno scrigno di Shahrazad.

 

MB – La prima sezione, Criteri del sonno, è la più onirica, quasi una messa per iscritto dei sogni fatti in una notte archetipica che ha la profondità dell’inconscio. Dimensione dell’inconscio che è molto presente anche nella seconda sezione, dal titolo molto eloquente di Crateri del senno, che si conclude con la prosa Gli alieni, il trionfo dell’Unheimlich di freudiana memoria, il Perturbante. “Andare a ritroso, ritornare” sono le parole che concludono il libro (prima di una citazione da un testo di Louise Glück) e pure qui sembra esserci un richiamo al lettino dello psicanalista, alla poesia come fissazione in versi di una inquietudine. Sei d’accordo o i termini psicanalitici non sono i  migliori per descrivere questa sensazione?

FM – Il perturbante è una chiave di lettura d’oro, ma nella sua forma meno psicanalitica e più misteriosa. L’unheimlich, ovvero “ciò che non è familiare”, quel che mette a soqquadro e scompagina il sistema ordinario e logico, lacera il velo e rivela… quella cosa lì (la visionarietà dell’eroe? La sua parola? Il suo variopinto mondo?) io ho tentato di mettere per iscritto, per poesia, per prosa. La tentazione del ritorno, una volta attinto a quel mistero, può diventare una sete ossessiva, può diventare magnetismo di cuore e sensi, attratti da quella unica sorgente, distogliendo pericolosamente da tutto il resto. Rompere l’incantesimo è ciò che, in questo caso sì, taumaturgicamente (o scaramanticamente?), cerca di fare il soggetto femminile protagonista del racconto finale Gli alieni.

 

MB – Achille, Ettore, Enea, Atteone, Penelope…“Alieni di gomma grandi come noci, variopinti”. Queste due dimensioni, il portato epico e quello ludico dell’infanzia (l’eroe è, vichianamente, una figura della giovinezza dell’umanità) sembrano coincidere incredibilmente nel tuo libro. Ma, chi sono alla fine questi eroi che partono?

 

FM –

  1. Non l’ho capito. È accaduto.
  2. AUSGANG: USCITA D’EMERGENZA.
  3. Sono io.