Ilaria Vassallo – “Una muta vitalità” (lettura di Pasquale Gerardo Santella)

VASSALLO

 
Ilaria Vassallo, Una muta vitalitàMilano, La Vita Felice, 2017; prefazione di Rita Pacilio, postfazione di Maurizio Cucchi
Lettura di Pasquale Gerardo Santella

Una stanza della mente

Nei testi si alternano interferiscono sovrappongono con-fondono realtà, sogno, pensiero: ci sono immagini che si riferiscono ad una realtà materiale, fatta di oggetti ed elementi naturali e umani, situazioni quotidiane; c’è un universo onirico di ossessioni solitudini traumi incubi, che si apre oltre quel sottile confine che divide sogno e realtà o affiora dal mistero dell’inconscio, come in una storia di Dylan Dog, in cui si può finire nel sogno di un altro o si vive solo perché si è sognati da un altro e svegliarsi significa finire di vivere; ma l’io può costruire anche uno spazio dell’immaginazione, come nella poesia che apre la sezione “ Una ruga universale”:una stanza/ della mente, viva e polverosa in cui rintanato da contorsionista su una poltrona … ride avvolgendosi in uno spazio sinestetico di percezioni visive (pezze viola, colla nera, intonaco verde, rosa gialla, vassoio arancione), uditive (frastornato dai miei suoni,), olfattive (intonaco ammuffito… sento l’odore…sento il profumo), tattili (la punta del mio anulare è unta… l’olio mi sporca) e un oggetto può apparire e scomparire (vedo / un asciugamano che ora non c’è); i pensieri sono raggrumati, spessi, di una sintetica densità, talora tendenti all’oscurità per il loro rapido farsi e dileguarsi (il viaggio del pensiero … non voleva semafori), che lasciano interstizi vuoti di parole, che richiedono al lettore di essere colmati.

Oggetti

Federa del cuscino, lampada, poltrona, teiera, vassoio di plastica, sedia, tavolino, asciugamano, specchio, chiodi, carta vetrata, chiavi, plaid, cinturino di orologio, maglione, cristalliera, scarpe slacciate, carte di caramelle, aspirapolvere, scatole di latta, elastico di gomma, attaccapanni, placca dell’interruttore, penna rossa, penna nera, matita, squadretta.
Il contenitore libro si riempie soprattutto di oggetti: oggetti che si possono ritrovare in una stanza da letto, studio, soggiorno, bagno, cucina e hanno un loro specifico uso. Servono a guardarsi, asciugarsi, sedersi, accendere la luce, scrivere, disegnare, camminare…Ma qui, in un testo poetico che ci fanno? Ebbene nella poesia non ci sono solo immagini, sentimenti, azioni, ma anche le cose. “Una poesia – scriveva Giorgio Caproni – dove non si nota nemmeno un bicchiere o una stringa mi ha sempre messo in sospetto”. E si riferiva alla presenza di cose comuni, vecchie, rotte, superate, messe da parte, grandi o piccole, che rappresentano l’ordinarietà concreta dell’esistenza umana.Ma poniamoci due domande: come è da intendere l’oggetto nella (in questa) poesia.  E che rapporto ha con l’oggetto con l’io lirico? L’oggetto in letteratura spesso è un simbolo, un qualcosa che va al di là del suo semplice uso estrinseco, rinvia ad un sovrasenso allusivo: uno stato d’animo, un sentimento, una condizione esistenziale. In tal senso può essere smaterializzato della sua fisicità perché sta solo per indicare “altro”; oppure può conservare la sua consistenza corporea e contemporaneamente farsi allegoria di una realtà meta-fisica. Come nell’arte figurativa di Giorgio Morandi dove le sue nature morte, le bottiglie vuote soprattutto, che da semplici oggetti “funzionali”utili ad essere riempite di un qualsiasi liquido si trasformano in contenitori da riempire ogni volta con nuovi significati, indotti dagli stati d’animo dell’osservatore. Allo stesso modo, in poesia un oggetto solo può dire, per esempio, della fragilità umana, come il guscio d’uovo, in una poesia di Giovanni Raboni o i piccoli aeroplani di carta che si perdono e non tornano più, in una poesia di Attilio Bertolucci. E di alcuni oggetti, noi ci prendiamo cura, altri li trascuriamo, altri non li teniamo più in conto, altri li guardiamo senza riconoscerli. Quale il nostro rapporto con gli oggetti: quale sguardo poniamo su di essi? essi attivano il nostro occhio quando li guardiamo, la nostra mano quando li tocchiamo, il nostro pensiero quando attraverso di essi richiamiamo un ricordo nostalgico. Ma essi sanno anche restituirci ogni cosa, registrano e conservano parti di noi, della nostra intimità, sono rivelatori di noi stessi, come se su di esse depositassimo le nostre tracce nel nostro passaggio nel tempo. L’oggetto è portatore di senso, può dare una risposta alle nostre domande e può sollecitare, attraverso corrispondenze analogiche, una emozione.Fino ad una sorta di scambio / proiezione tra oggetto e soggetto come nel testo “l’angolino della stanza”, dove in un millesimo / quadro di pavimento nel vertice rimane un granello di plastica impastato nello stucco, che neppure un aspirapolvere rimuove, dove con effetto straniante l’io soggetto alla fine si identifica con l’io oggetto assumendone il punto di vista e dandogli sensibilità e sentimento: ma il vertice di casa mia. troppo oscurato . / non lo vedevo. / lì, / permanentemente soffocato, /ancora chissà per quanto.E se leggiamo: “sette foglie di ulivo./ sette (…) per farne una collana,/ sette non perché ne servivano sette”, dall’incipit fiabesco con l’iterazione di sette e che termina con la cupa immagine di astute nuvole nere, e ci chiediamo che ci stanno a fare foglie, dei fili d’erba, dei pezzi di tessuto, pezzi di sughero, carta, troviamo la risposta: “per ricostruire le storie / delle loro vite / con altre vite”.

Il tempo

Scrive Ilaria: Il tempo passa / e cambia / e cambi. Attilio Bertolucci motivava la sua attenzione per le cose ordinarie, dicendo che l’argomento vero delle sue poesie non erano le cose in sé ma il tempo, il tempo che passa e le modifica e la morte che le distrugge. Il poeta vorrebbe preservarne la fragilità, ed egli stesso resistere per quanto è possibile, al pari di tutte quelle cose fragili che nonostante tutto continuano ad esistere in parti, resti, residui, perché di ogni cosa resta un poco. Il tempo che passa inesorabilmente: e spietata ti trascina / la scia quieta / del tempo è qui quello che viene definito il signor Risucchia Momenti trova davvero il suo correlativo oggettivo in un elastico di gomma che non ritorna alla forma iniziale.Come scrive Osvaldo Soriano: Siamo fatti di tempo. Siamo i suoi piedi e le sue labbra. I piedi del tempo camminano nei nostri piedi. Prima o poi, si sa, i venti del tempo cancelleranno le tracce. Traversata del nulla, passi di nessuno?Le labbra del tempo raccontano il viaggio.

Una vita allo scoperto

La realtà con la sua brutalità si impone prepotentemente nei testi finali, con quello dedicato a Vaclav Briza, massacrato dal branco, reso storpio e impossibilitato a lavorare. L’io si rivolge al tu, non sa che dire e che dirgli; il parlare, lo scrivere, le conoscenze scolastiche sono inadeguate ad esprimere una solidarietà, così come un atteggiamento di misera pietà. Voglio dimenticare Moravia, / Gli indifferenti del 1929, non posso / dimenticare te, la tua dimora / che non è casa, i miei pensieri, / che non sono parole.La vita invade l’arte. Di fronte all’irruzione del male, della violenza, di una gratuita logica di distruzione il soggetto smette di abbandonarsi ai sogni e alle fantasie. Il suo atteggiamento nei confronti dell’arido vero cambia. Così come dice nei versi che chiudono il libro: Non c’era una porta, non la trovavo, / non c’era un’uscita. / ma correvo e non mi fermavo, / dovevamo andare via. / Una vita allo scoperto. Che è una conclusione non rassicurante, non terapeutica, che definirei resistente: una versione aggiornata del montaliano seguitare lungo una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. Un percorso di vita senza fermarsi, senza rinchiudersi in se stessi, un vivere come ad – ventura, senza illusioni e autoinganni, ma anche senza fuga e senza resa.

 

Pasquale Gerardo Santella

Il testo è un estratto da un intervento più ampio in occasione della presentazione del volume tenutasi nel comune di Tufino, coordinata da Carlangelo Mauro, il 20 aprile 2017

Ilaria Vassallo (1998) è nata a Nola e vive a Tufino, in provincia di Napoli. Sin dai primi anni dell’adolescenza, nutre una passione intensa per la scrittura poetica accompagnata da letture e studi su poeti contemporanei. Diplomatasi al Liceo Scientifico “Enrico Medi” di Cicciano (NA), ha frequentato il “Laboratorio di poesia” del poeta e critico Carlangelo Mauro. Ha pubblicato sul n. 33, giugno 2017, di «Capoverso – rivista di scritture poetiche», un suo saggio sulla poesia di Maurizio Cucchi.

La posizione poi sghemba del corpo dell’io sulla poltrona (ginocchia piegate, schiena arcuata, testa appoggiata sbilenca sullo schienale) si riflette sugli oggetti (pezze infangate, vetri sporchi, lampada disincrostata, intonaco ammuffito, rosa sintetica, macchina da cucire non  funzionante), ma trova un equivalente a livello formale nella struttura metrica e nella musica dei versi sotto il segno della asimmetria e della variabilità: strofe che variano da sette a due versi; versi che variano da sedici a quattro sillabe. Il corpo della poesia è disarticolato, metamorfico come quello dell’io, si contrae e si distende, riverbera i suoi adattamenti sugli oggetti fino a farne sentire i rumori attraverso parole che producono suoni aspri, secchi che tendono alla frattura (fr, st, cr, rs, tr, br, sdr, sb, sch, gr, sp, rc, st, ch, sp), che si fanno musica dissonante, distonica, che solo alla fine si ricompone in un ritmo pacato in quella stanza della mente, viva e polverosa.