Un bussare gentile di nocche
alla porta mi scuote.
Fingo di non udire,
perduto ad ascoltare
il fragore della mia inutilità.
Ora è il palmo aperto
battuto sull’uscio
e infine il pugno
a percuotere il legno del cuore.
Non sento, non voglio sentire,
nascondo il rumore
fra l’onde d’un illuso esistere,
volto il capo a quel bussare
e attendo che ogni cosa torni vana.
In questo giorno,
mentre il tempo s’invola
e la ninfa muta in farfalla,
esco sulla strada delle assenze
calpesto fiori di silenzio
e traccio il solco alla mia solitudine.