Guido Cupani, inediti

Guinzagliarsi, ecco,
non il contrario, senza la esse
e farsi tirare per la collottola
a spasso, obbediente
– niente più telecon,
treni da prendere, rate di Netflix,
tiremmolla per le carotine nel piatto,
le serate scrollate dal sonno –
in cambio di molto più pelo,
la prospettiva del tappeto
una volta a casa, la vescica vuota
e una mano che gratta,

amputato il tumore del domani,
stupirsi di ogni guizzo al bordo
del campo visivo, stupirsi di essere vivo

*

E pensare che il buon vecchio Bach ne aveva
venti, non tutti piccoli assieme, natürlich,
e spesso malati, rami monchi dell’albero
genealogico, negati tanto all’archetto
che alla riproduzione, eppure anche a turno
casinisti (immagino) come solo i bimbi
prima della difterite, su e giù per quelle
scalette di legno inseguendosi in fuga,
e tra loro e gli altri scaldabanchi
della Thomasschule il Director Musices
riusciva a comporre, a diventare sé stesso
e sé stesso in noi (invenzione a tre voci
di cui l’ultima è Dio) e a fumare la pipa,
rifilare scapaccioni alla bisogna e fare
l’amore con Anna Magdalena, tutto in sedici
battute per il tema più altre otto di sonno,
non scritte, da ripetere ad libitum, da capo
al fine, senza note – pardon – parole per
chiedersi prima dell’epoca dell’insoddisfazione

se era questa la sua vita
se la stava vivendo bene
se qualcun altro (Telemann
o il lattaio all’angolo) l’avrebbe composta
meglio di lui

*

Contro ogni regola di storytelling,
accumulato assieme alle sue poche cose
in sacchi per la spesa sotto un tabellone
pubblicitario di stazione prima dei tornelli,

immobile mattina e sera per due giorni
di seguito, un solo piede sgusciato dalla scarpa
senza chiedere, senza odore, solo una palpebra
accesa spenta al ritmo delle andate e dei ritorni:

dovrei dirlo in endecasillabi? farne un simbolo?
dargli una voce che non ho udito? – Neanche quando
ti sei avvicinata e gli hai offerto un panino

che non sapeva non avvelenato, ottenendo
di farlo scomparire al turno successivo:
con che diritto? e i versi che sto macchinando?

*

La piccola Chiyono
salendo dal pozzo sotto
la mano bianca della luna piegata
sotto la stanga del secchio sente a un tratto
che l’illuminazione tanto cercata sta arrivando

e vorrebbe stringere le gambe
non adesso, non adesso
lasciami arrivare al cancelletto, alla mia stanza
arrotolare la stuoia
riporre le cose abituate al mio tocco
ripetere un’ultima volta il mio nome

ma il suo piede non sa ancora
superare a volo
la radice che sporge dal sentiero

ora
che c’è acqua nel secchio
ora
che c’è luna nell’acqua

*

Hazrat Makhdum Abdul Ghafur
Shah Road Etah Uttar Pradesh
Neeraj Rolling Shutter Ph
scaffali arrugginiti pezzi
di ricambio cavi sedie
di plastica scatole tubi
bobine una motocicletta
ghirlande appese al soffitto
telecamerina di sorveglianza
e dietro il banco a guardare
la strada dietro il riflesso
degli occhiali eccolo
il dono umano

cinquantenne, sovrappeso
segnato ma stabile:
contemplatelo
imperscrutabile alla macchina
fotografica

fallimento della statistica
ore dieci del mattino inquadratura
a trecentosessanta gradi celsius
rotazione planetaria della testa

e tutti quei miliardi di dèi

 

Guido Cupani, quarantenne, mancino, papà, astrofisico, poeta. Lavora per l’Osservatorio astronomico di Trieste. Ha scritto Le felicità (Samuele 2011), Qualcosa di semplice sulla neve (Culturaglobale 2013) e Meno universo (Dot.com 2018). È tradotto in inglese da Patrick Williamson (Sonata for Gaza, Routledge 2018), sloveno e rumeno. Collabora con il Porto dei Benandanti di Portogruaro e con la rivista online Perígeion. Ha in cantiere una raccolta di haiku e un romanzo. Il suo ultimo progetto è 2milaventi2 (https://www.2milaventi2.net).