Giuseppe D’Abramo – Inediti

DABRAMOGiuseppe D’Abramo (1988), laureato in Lettere Moderne, vive a Milano. Ha pubblicato poesie e racconti sulle riviste Gradiva, Inchiostro, Sagarana, Grado Zero, A4 e su la Repubblica di Roma e Milano per Bottega di poesia.

Giuseppe D’Abramo
Inediti

CANTO DELLA CADUTA

in questo giorno che arranca sonnambulo
sotto un lenzuolo di nebbia con due buchi per gli occhi,
che scivola giù per la botola del mio cervello sospeso a mezz’aria
tra le scorie del pensiero: là fuori uomini e motori,
donne che se ne vanno al cinguettio lontano
di una campana d’inferno
in uno sciame di chiacchiere prossimo alle nuvole;
in questo giorno che sanguina fino a scaricarsi
da qualche parte oltre la feccia del patibolo,
agli sgoccioli dell’estate, 
io canterò come la faccia di Cristo ubriaco annegata 
nella schiuma in lode di quelli
che videro il sole smaciullarsi dall’abisso dei loro letti-bozzolo 
e sbandati a capofitto come matti 
si lanciarono attraverso la cruna dell’alba che sbiadiva,
sfilando insonni con fame da spettri fra gli incubi più neri
verso una luce in fondo al tunnel 
che risplendeva e girava mentre un’unghia nel suo cerchio 
creava tutta la musica – ecco, un intero mare
è insorto per ripiombare in catene,
dove la ragione è definitivamente crollata 
le sue radici continuano a scavare
e noi non conosceremo mai la portata di quella lotta.

*

RESTA CON ME

resta con me, catrame e polvere, 
il cuore come una fornace;
strade che portano chissà dove,
facce nel traffico 
che sembrano caricature di una faccia 
appena scatta il verde.
resta con me, pazzi spinti dentro teste 
avvitate su corpi che camminano 
grondando amore e finzioni,
pesci che sono pesci e uomini
da acquario destinati
ad invecchiare
nel modo più osceno e prevedibile.

resta con me, luci accese in stanze senza porte,
cervelli sull’incudine spaccati a metà;
notti di schiamazzi e risate e bottiglie rotte
attraversate da un’umanità miserabile
a caccia di futili prove della propria grandezza.  
resta con me, vicoli e cantine pieni di ombre,
quartieri che ansimano dentro un’incerata,
tieni in alto la salvezza
mentre allargo le mie braccia
come un crocifisso sotto la cenere
di un sigaro e il ricordo andato
di amori da lungo tempo andati, 
lo sguardo al cielo come quello di una statua
che non vede niente, 

mentre il fuoco che tengo in una mano
così eroico e triste
si consuma 
con me.

*

ALLA DERIVA NELLO SPAZIO DELLA MIA STANZA

alla deriva nello spazio della mia stanza 
i giorni passano come il sogno di qualcun altro:
le meningi mitragliate dai postumi 
scatarrano un grumo d’ansia sul soffitto
attraverso un gioco d’ombre senza preamboli 
di luce – anche tu l’hai visto, slitta di sghembo
come un granchio, rasente ai muri
di questa scatola di nervi pronta a deflagrare
in un fungiforme delirio claustrofobico;
alla deriva come un insetto nell’ambra
stravolto dal frastuono alieno di una mina a diodi:
braccia e gambe decrepite come foglie di sale
in attesa di sciogliersi sotto un astro
di birra e benzodiazepine, le umide calotte
inceppate nelle loro cavità dalla ruggine 
di un déjà-vu psicotico – la sensazione di essere
la proiezione di un’isola agganciata 
a un busto qualunque per mezzo di tendini e vertebre
e fibre: la controfigura di me stesso.