Giovanni Nuscis, Il grande tempo è ora

Giovanni Nuscis

Il grande tempo è ora

Arcipelago Itaca, 2021

pgg 175, euro 17,00

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Nota di Gisella Blanco

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Ci sono opere i cui versi sembrano prendere respiro tra l’espressività del linguaggio e la creatività visiva della suggestione all’immagine. “Il grande tempo è ora” è il titolo della raccolta poetica di Giovanni Nuscis, edita da Arcipelago Itaca, in cui si riuniscono le poesie dell’autore dal 2011 al 2018: questo preciso arco temporale di stesura dei componimenti lirici è il primo indizio che sembra suggerire, già dall’organizzazione sistematica del libro, l’impatto trasversale di un singolo lasso di tempo a tutta la vita e a tutte le vite. Così Nuscis scrive: Che sereno sarà il passaggio/ amorevole l’abbraccio/ nel salto/ di vita in vita in una delle molte poesie dedicate a persone a lui care che, all’improvviso, suggeriscono la possibilità della partecipazione inconsapevole a un’empatia creaturale antica e imparcellizzabile.

La raccolta appare come una polifonia invocativa di tematiche largamente condivisibili: memoriali, riflessioni intimistiche, rielaborazioni di fatti storici, dediche accorate, suggestioni metafisiche, considerazioni sulle religioni e spassionati spunti di riflessione e metabolizzazione della realtà così come l’autore la percepisce e la struttura nel verso. La minimalità originale e originativa dell’esistenza si espande a una massimalità universalistica attraverso una reciproca compenetrazione delle dimensioni che ineriscono all’ontologia umana: Serene siano le cellule,/ coese nel resistere/ al molto che si spegne./ Sia tenue l’inerzia o l’attrito./ E se come un cerino s’accendono,/ possa la fiamma vedersi/ anche dopo secoli./ Punto lontano/ nella notte siderale. Affiora un insondabile e sfuggente ottimismo che esonda dalla brevitas imposta sapientemente al verso per instillarsi alla percezione etica che segue alla lettura di ogni poesia: Ogni ora/ ha un seme nascosto./ Lasci le gambe libere a oscillare/ da muri e parapetti, nel vuoto./ Il tempo dell’azzardo/ non è perso. Ed è proprio il tempo che sembra scandire, nella sua irrevocabilità sottratta alla paura, il verso e la versatilità della poesia di Nuscis. Un linguaggio quotidiano che coniuga la semplicità semantica a una istintiva armonia fonica, lambisce i misteri più atavici della vita e li comunica con la gravità di una solida saggezza: Sotto l’ala ognuno ha il suo cortile,/ pane dolce di stanchezza/ quando il giorno va a finire.

Il rispetto dell’esattezza grammaticale, l’accoglimento della punteggiatura che accompagna l’intonazione (anche solo mentale) del verso e la linearità dei costrutti logici sono dettagli testuali (non sempre presenti nella poesia contemporanea) che sembrano inerire fortemente alla scelta ideologica di unire elementi del passato e del presente all’interno di una riflessione civica (e civizzante) dal tono pacato ma sempre severa nell’analisi e integerrima nelle soluzioni antropologiche. Se può essere corretto andare in cerca di una metodica preordinazione di elementi di retorica in una poesia che sembra proprio fuggire da qualsiasi retorica, l’ipotesi di un uso appassionato del correlativo oggettivo è verosimile ma soltanto se si considera la massiva presenza di elementi naturistici e toponomastici nell’opera di Nuncis, come se si volesse ancorare il ricordo al dettaglio, la realtà all’emozione della visione: Aprendo la finestra sul giardino/ c’era il grande mandorlo, al centro;/ accanto, un fico e un pero./ In fondo, stava il muro di confine,/ coperto da edera e bounganville./ Da lì avvertivi il mare,/senza vederlo, nei giorni di maestrale, e ancora Quel luogo da tempo scomparso/ è l’arto amputato che duole/ che manca. Proprio dall’ispirazione memoriale si snoda un pensiero, non più solo intimistico, sulla trasfigurazione dell’esistenza nel possibilismo etico ed ontologico che, probabilmente, accoglie la percezione di varie filosofie religiose ma non si fossilizza in nessuna di esse: Le tue radici sono in volo/ ma ogni tanto si posano/ sul cuscino di terra e acqua/ da cui si sono staccate./ Affondi di nuovo nell’humus/ di altre vite. Si attua un dialogo con un interlocutore indefinibile a cui ogni lettore potrà sostituirsi, se vorrà, senza timore di ritrovarsi in un discorso estremizzato dal tempo dei tempi: una profonda conoscenza della contemporaneità emerge dal verso in modo disinibito, naturale e pienamente consapevole: Con l’ansia e la paura/ non vedi che cresce la platea,/ che c’è un video/in diretta su un social,/ e tutto il pianeta ti segue.

Ogni poesia è come un dipinto, con la sua cornice (visibile o invisibile), i colori definenti e definitivi, la trama dell’immagine, la coerenza delle forme: Immagina un quadro/dove sfondo e soggetto/mutano di continuo. E tu/che reperti in un libro/il solo fotogramma che hai visto. La strofa si mobilita sulla pagina in una scomposizione posizionale dei versi che, sfalsandosi tra di loro, anticipano visivamente il pathos dei ricorrenti climax presenti lungo tutta l’opera. Il tema della maternità affiora in molteplici sembianti della cui soggettività l’io autoriale non si appropria mai: è un’osservazione attenta alle stratificazioni relazionali e generazionali, sofisticata nell’approccio letterario e, talvolta, dura nella confidenziale allocuzione dal respiro generale: Col tuo bussare forte nelle case/ ci riavrai, certo/ madre spaventevole./ Grembo, culla, tomba/ di tutte le vite possibili. Come scrive Antonio Fiori nella sua sensibile postfazione all’opera “Nuscis oscilla tra compassione e intransigenza, tra attese quasi metafisiche e spietati esami di coscienza, con verso sempre libero, libero davvero”. Nella lettura di una poesia fervida, costantemente in bilico tra la denuncia e la meditazione, tra la preghiera laica e l’invocazione coscienziale, tra la politica del vivere e la vita della civiltà, ci si potrà domandare quale sia la postura del poeta in una attualità così divisiva e il poeta risponderà Ma invece resti, e l’ombra/ si allunga al tramonto,/ ti fa gigante per un poco. Nel brivido della transitorietà della grandezza, che è solo un’ombra al tramonto, insiste la microeternità dell’umano nell’uomo, dell’uomo nell’umanità.

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Tempo del volo infinito

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I fiori battezzano aurore.

L’erba è mare che si inerpica

fino al cielo.

Falciano l’afa le cavallette

più veloci del maestrale.

Avanzano i pensieri

a fianco a fianco.

Il vento è stormo di cristalli

tempo del volo infinito.

Sotto l’ala ognuno ha il suo cortile,

pane dolce di stanchezza

quando il giorno va a finire.

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Cellule

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Serene siano le cellule,

coese nel resistere

al molto che si spegne.

Sia tenue l’inerzia o l’attrito.

E se come un cerino s’accendono,

possa la fiamma vedersi

anche dopo secoli.

Punto lontano

nella notte siderale.

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Inverno

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D’inverno

il sole scava gli occhi

con algidi artigli.

Trasforma in oro le facciate

rugose delle case

i fianchi lussuriosi degli alberi

i fiori che resistono.

Ne senti il tepore sulle spalle

e hai voglia di andartene.

Ma invece resti, e l’ombra

si allunga al tramonto,

ti fa gigante per un poco.

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Giovanni Nuscis è nato ad Ancona nel 1958, vive dal 1973 a Sassari. Ha pubblicato i libri di poesia “Il tempo invisibile” (Book Editore, Castelmaggiore, 2003), Premio Nazionale di poesia “Alessandro Contini Bonacossi” ed. 2003, come opera prima, “In terza persona” (Manni, Lecce, 2006), “La parola data” (L’arcolaio di Gianfranco Fabbri, Forlì 2009), “Transiti” (Quaderni di Poiein a cura di Gianmario Lucini – Puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2010). Fa parte della redazione del blog collettivo “La Poesia e lo spirito”. Gestisce un blog, “Transito senza catene”, dedicato alla poesia, alla letteratura e all’attualità.