Giorgio Manganelli, “Un uomo pieno di morte” (Graphe.it Edizioni, 2022) – Nota di Federico Migliorati

A cura di Federico Migliorati

 

A 100 anni dalla nascita, in questo 2022 così fitto di ricorrenze nel mondo letterario, Giorgio Manganelli spariglia nuovamente le carte per interposta persona grazie alla casa editrice Graphe.it Edizioni che proprio in occasione del compleanno del “Manga”, il 15 novembre scorso, ha dato alle stampe “Un uomo pieno di morte”. Se la prosa è ormai nota, se ormai l’autore è assurto a canone del Novecento con le inevitabili osservazioni puntute che questo o quel critico letterario ha facoltà di sollevare, la poesia rimane d’altro canto ancora in ombra, socchiusa dentro a una stanza che pure pullula di vivacità e tragicità, di retorica e di realtà, di visione e di sconvolgenti interpretazioni. L’agile librino accoglie una selezione ridotta di composizioni, poco meno di trenta, prodotte in più periodi, sufficientemente esemplificative di un lavoro che risente di un certo neosperimentalismo e delle neoavanguardie. Manganelli utilizza con abilità i giochi di parole, le manipola con un gusto barocco immediatamente visibile, soffoca dietro a dissimulazioni letterarie un’angoscia perenne. I miti greci prima e alcune immagini bibliche poi aprono la serie di poesie con transiti sovente gnomici, in un ritmo elegiaco e per i quali l’uso della seconda persona singolare amplifica il senso della scrittura, infarcita di ossimori, chiasmi, sinestesie, anàfore, iperbati. C’è eleganza e solennità, ma anche un’atmosfera di ineluttabilità, di dolore latente a coinvolgere il lettore nella sequela di immagini, personaggi, situazioni: è tuttavia nelle “Liebesgedichte/poesie d’amore” che troviamo il Manga più esuberante e debordante, che ricorre al sesso come paradigma ed elemento ontologico (Eros e Thanatos), depotenziante l’angosciante esistenza, quasi schermo apotropaico. Come in una betoniera che tutto fagocita, così nelle varie composizioni che popolano la seconda parte di “Un uomo pieno di morte” assistiamo a un tonitruante profluvio di metafore e di dissimulazioni, tra taglienti rivelazioni (“igiene dell’anima è il coito”, “la carne è atea”), blasfemie in salsa poetica e scatologie. Irriverente, controcorrente, fustigatore di costumi, Manganelli si rivela spesso demistificatore della realtà, maestro della sprezzatura, incasellabile protagonista di larga parte del secolo più nichilista di tutti, lui che pure ha reso il nichilismo una delle cifre dei suoi versi in fuga dalla morte, consapevole che “un uomo che è pieno di morte/ha una sua grandezza di gesti”.

 

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INFERI

 

Sottili noi siamo
come i fori nelle tue mani; esclude
l’assenza d’aria
lo spazio senz’angeli, da te
la nostra esilità innocente: deserta
vertigine dell’aria
vanamente aperta.
Sottili come i fori
nelle tue mani uccise
la nostra eternità non ci consuma.

 

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LIEBESGEDICHTE SECHS

 

Io, lo pterodattilo Giovanni,
abito il sangue
di una madonna irritata: mi
pulisco i denti in questo souple
di mortella e costole di cane;
è difficile trovare una vagina portante
per un membro grosso, goffo,
una bandoliera di membro
(quando si scioglie ci casco,
dico sagrati estremisti).

 

Io, lo pterodattilo Giovanni,
passo le ore in ozio: non scrivo a casa;
gli pterodattili muoiono,
non possono entrare nei treni,
vestono di vestiti ricuciti assieme,
sbadigliano, eh sì sbadigliano
e digrignano i denti,
ma quella donna.

 

Ma quella donna scatta i polpastrelli
e frusta a sangue i testicoli

Come viluppi di unghie; anima,
legge Rilke, Beethoven, Kinsey,
non mangia i verdi pterodattili.

Oh no: sono le sei e duemila; sono le centosette
mi pulisco il deretano
su una guglia gotica – è sangue, questo?
Vale come inchiostro?
È sangue, è sommamente sangue.

 

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Giorgio Manganelli (Milano 1922 – Roma 1990) è stato uno scrittore, saggista e poeta italiano. Fece parte del Gruppo 63. Collaborò al “Corriere della sera” e ad altri quotidiani raccogliendo poi gli articoli pubblicati nel volume “Improvvisi per macchina da scrivere” (1989). Autore di saggi come “La letteratura come menzogna” (1967), “Angosce di stile” (1981), “Laboriose inezie” (1986), ha scritto anche reportages come “La Cina e altri orienti” (1974). Nelle sue opere narrative, caratterizzate da una scrittura barocca, è rimasto fedele a un’immagine manieristica della letteratura, come costruzione artificiosa di un mondo surreale. Tra i titoli: “Hilarotragoedia” (1964), “Agli dei ulteriori” (1972),

 

Federico Migliorati è laureato in Giurisprudenza e responsabile dell’attività informativa presso la società Montichiari Multiservizi; giornalista pubblicista, collabora con testate dell’area bresciana e mantovana nonché con l’Indice dei Libri del Mese, il Quotidiano del Sud e i lit-blog Laboratori Poesia e Avamposto-Rivista di poesia. Membro dell’Accademia Pascoliana, ha curato e dato alle stampe  volumi dedicati ad alcuni protagonisti della letteratura del Novecento. Di lui ha parlato, tra gli altri, Maurizio Cucchi.

 

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