Giacomo Leronni, Inni transitori sulla bellezza (inediti)

Inni transitori sulla bellezza

INNO I (Noi passeggiamo)

In quali mondi
siamo stati eletti dalla bellezza
poi dimenticati
da qualcuno che s’assesta in alto

sole di miseria
ventre gravido di corvi

noi passeggiamo
prendiamo forma, la perdiamo

intorno agli occhi
s’interra la vela del sonno

gli ulivi, qualche sera prigioniera

in quali mondi
ci sarà restituito tutto questo

questo andare per i prati
a raccogliere il silenzio

le mura tutto intorno
compatta nebbia d’oro

le foglie che s’illuminano
come quando nasciamo

diteci se siamo forti
se regge la voce
per ossidare il vuoto

la bellezza presenta sempre il conto

e talvolta, inaspettatamente
procede dalla nostra notte.

 

INNO II (Il padrone dei nati)

I nati, gli orti
recintati dal buio

le tele del pittore in pausa
a cui nessuno parla

gli sfridi del creato
a cui si passa il cibo
dalle feritoie
sperando che l’inverno
faccia il suo corso. Qualcuno

giace inavvertito, forse tutti
transitano da una forma all’altra

implodono
a capofitto nel silenzio
senza che la bellezza se ne accorga.

Tu che passi con i tuoi nomi
bene in chiaro
tu che scorri

aquila che pondera la notte

devi fidarti di noi
togliere il cappotto
scendere nella pioggia

ogni inflessione della luce
qui si riposa, trancia un’arteria

affiora dalle parole
che rincorrono il senso, l’assurdo

svanito da tempo ogni dubbio
su chi sia il padrone.

 

INNO III (La domanda)

Prensili vie, vie tortili
dell’inospitale bellezza

che sia un giardino, un lago
di grida e foglie feroci

cortecce scanalate
con vista sul fuoco

ovunque la premura del silenzio

se guardo
ecco le reni del tempo
l’ombra mutata in altra ombra
i fossili di qualche corruccio
che vaga per l’aria

tutto a poco a poco
si fa sottile, minimo

minuzie assaltano il cielo

quasi una lingua nuova
che agogna di essere percepita

finché improvvisa, da un buio
luminoso, da un osservatorio
accanto alle radici

prorompe la domanda

dove si è rintanata
per quali mute tappe procede

l’oscena deflagrazione umana?

 

INNO IV (Tutto si fa chiaro)

Forse ti confondo con i platani
che invitano il vento nel giardino:

la linfa comune
che dispone della sera.

Ogni foglia
s’addossa alla successiva
l’invitato le scompone
e forse è quello il loro amore

l’impeto malato
prima di addolcirsi.

Tutto sembra bastare.
Nessuno viene qui a fingere
la sua fanfara d’aria
che smotta sui corpi

e poi s’appesta
trafiggendo i gerani.

L’orma umana
la scalfittura della luce
che ci ha alienati.

È un tempo di vene
che indulgono in altre vene
di solitudini ampie
come campi di battaglia:

tutto si fa estremamente chiaro
quando nulla è possibile chiarire.

INNO V (Profughi)

Quanta campagna
profughi della bellezza

arenati sul belvedere
che replica il verde

i volti che virano
incocciata la sponda

quante piante luminose
nella mente, proprio dove
con cura alberghiamo i nomi

si va in salita, si precipita
nella valle dove ardono i gesti
si cerca di elevare qualcosa

di costruire un forte
per ciò che resiste

ma le mani s’incagliano
gli occhi cedono all’astore

e il buio così raccoglie
soltanto fame
solo aborti, digiuni

una lingua per annotare
la morte, per trascendere

da corrotti nella luce.

 

*La fotografia è stata fornita dall’autore ed è di sua proprietà