Franca Alaimo legge ‘Un altro tempo’ di Giovanna Rosadini

Giovanna Rosadini

Un altro tempo

Interno Poesia, 2021

pp.64, e.10,00

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«In questo librino – mi scrisse Giovanna Rosadini poco dopo l’uscita di Un altro tempo – l’approccio agli eventi di quindici anni fa è diverso, avendo scritto in stringhe prosastiche e “a freddo”, da una riconquistata dimensione esistenziale ed emozionale, oltre che cognitivo-intellettiva. Unità di risveglio è stato un ripartire dal grado zero della coscienza e del linguaggio, via via recuperando la mia cifra stilistica e la complessità di scrittura; qui c’è il condensato della memoria di quell’esperienza».

Ed è proprio sul ruolo della memoria in questo, come lo chiama lei, librino, che, secondo me, bisogna soffermarsi maggiormente, se è vero che il passato non è un tempo statico, fissato una volta per tutte, ma un tempo anch’esso in divenire nel divenire della persona nel tempo; insomma un materiale su cui ogni ritorno della memoria equivale ad una variazione dello sguardo, ad un sentire altro che muta priorità e significato degli eventi, recupera dettagli che sembravano inessenziali, legge la totalità dell’esperienza da un punto di vista via via più “universale”, in una sorta di dilatazione che comprende, come i cerchi sull’acqua o quelli nel corpo dell’albero, anche il suo futuro.

Il passato è, in altre parole, chiamato, in ogni autentico scrittore, a divenire un testo infinito, ubbidiente a un dinamismo linguistico, che, sottraendolo alla ripetitività, ne faccia quel nucleo privilegiato rappresentativo di una inimitabile postura del soggetto in relazione con sé stesso e il mondo.

E così, mentre in Unità di risveglio, al centro della scrittura si colloca un “io” teso, dopo il coma, alla ricostruzione della propria identità e delle proprie facoltà e capacità, in Un altro tempo prevale una più profonda consapevolezza della fragilità umana, che approda, nel segno della compassione e della condivisione, a un universale “noi” immerso in un più grande Mistero, «per potere finalmente dire – come si legge in un articolo di Ottavio Rossani pubblicato il 30 Giugno sul Corriere della Sera – che nel puro mistero comunque trapela la gioia per il fatto di essere sopravvissuta».

Lo slancio affettivo, che in Unità di risveglio era rivolto soprattutto ai familiari, qui si estende a tutti gli attori del tragico evento – medici, infermieri, personale ospedaliero – che si sono presi cura di un corpo debole e arreso, diventato, come lei scrive, per tante settimane un “luogo pubblico”, esposto e consegnato.

E dunque, l’intimo filo conduttore di Un altro tempo è quello di un viaggio extra-ordinario, tra terrore e stupore, che, muovendo da un luogo oscuro e inquietante, si volge lentamente, attraverso il superamento di numerosi ostacoli concreti e straniti paesaggi interiori, a una chiarità sempre più vasta e dell’intelletto e dell’emozione e dell’anima. Da un male intollerabile ad un bene sempre più coincidente con quello dell’esserci e di fare parte di un disegno imperscrutabile, che accresce il senso della gratitudine «per la seconda possibilità che mi è stata data, per la bellezza del mondo che posso attingere anche fra queste mura, la dolcezza delle sere estive in giardino, la luminosità del mare che mi accoglie ogni mattina oltre le finestre della palestra».

Così, come da un “aristocratico” distacco, la scrittrice approda al sentimento della solidarietà e dell’appartenenza ad una collettività, non più nel segno dell’utilità e della perfezione, ma della fragilità e dell’abbandono, nell’accettazione coraggiosa del limite.

Sembrerebbe forse esagerato paragonare questo viaggio dal buio verso la luce all’esperienza dantesca della Commedia, se non lo suggerisse l’espressione, a pag. 25 di Un altro tempo: «una voragine che mi si è spalancata sotto i piedi nel mezzo del cammino della vita»; medesimo è, comunque, l’avvertimento di un evento spartiacque fra il tempo che l’ha preceduto e quello che è seguito ad esso, un tempo altro, appunto, di rivoluzione totale, e che del dolore proprio e dell’umanità intera è riuscito a fare il punto di forza per una conversione, intesa nel senso più lato.

Certamente i punti di contatto fra la silloge poetica e questo “librino” sono moltissimi, a cominciare dal titolo che è lo stesso di un testo contenuto a pag. 51 di Unità di risveglio, in cui, dopo i versi di Auden, che cantano la precarietà, l’autrice imprime nel foglio “un segno rosso sulla gola” come “traccia del passaggio che non ci ha risparmiato”, della crudeltà del vivere, giovani e vecchi e chi come lei sta “nel mezzo”.

In entrambi i libri è rievocata la figura dell’infermiere Antonio che per la prima volta chiede a Giovanna se può lavarla: le varianti sono minime: in Unità di risveglio le battute del dialogo sono le seguenti: «Posso lavarti io, stamani?/ Come ogni giorno, certo, perché chiedi?/ Oggi è diverso, adesso sei cosciente», che in Un altro tempo ritornano con una piccola variazione: «“Come mai me lo domandi proprio ora?” l’ho apostrofato. “Oggi è diverso, adesso sei cosciente”»; mentre un episodio di eminegligenza appena accennato, anzi, per meglio dire, poeticamente simbolizzato in Unità di risveglio (“Il sole ha dimezzato i raggi”, pag. 56), trova in Un altro tempo un’esatta rievocazione: «Eminegligenza: questo il verdetto, dopo che ho disegnato in palestra un sole coi raggi solamente a destra.» (pag. 29).

E si potrebbe continuare, ma d’altra parte «non ci meraviglia – come scrive Mirella Vercelli sulle pagine della rivista Pelagos Letteratura – il ribattere del flusso dei pensieri contro le medesime sponde, consapevoli che un vento come quello dilagato nella vita della poetessa, divelte porte e finestre di casa, non ammetterà il ritorno a una calma perfetta»: parole che insistono sulla relazione, come prima si diceva, fra tempo, memoria e scrittura.

E tuttavia, l’impressione ultima che si riceve dalla lettura di Un altro tempo possiede quella qualità gioiosa propria di un’esperienza così profondamente elaborata da essere divenuta un’illuminazione conoscitiva.

La prosa conclusiva, che vede l’autrice seduta con quella che lei definisce una “sorella acquisita”, Cristina, volata da New York per starle vicino, “sugli scalini d’accesso della clinica”, ad ammirare “una stupefacente nuvola rosa pennellata nella vastità del cielo”, sembra evocare, anche per l’uso del lemma “pennellata”, un affresco del Tiepolo, celebre dipintore di nuvole generalmente rosa od ambra che suscitano sentimenti di serenità e di soave luminosità in chi le guarda.

Per Giovanna che è vissuta a lungo a Venezia, città natale di Tiepolo, non è un dettaglio insignificante: rappresenta non solo il recupero di un bagaglio iconico, culturale e, non ultimo, affettivo, ma anche una conferma di un gusto coltivatissimo della bellezza, che si tramuta, nell’atto della scrittura, in raffinatezza, elegante misura, attenzione all’esattezza della parola che marcano ogni singolo rigo, e che ricordano le qualità di un’altra grande tessitrice di preziosissimi, quasi miracolosi, testi in prosa e versi, quale Cristina Campo, tanto che ciascuno dei trenta testi o “quadri”, come qualcuno ha voluto definirli, assume, come scrive la già citata Mirella Vercelli, “la vena della poesia” che “regge ogni pagina, anche se manca la classica scansione metrica”

Anche Niccolò Nisivoccia, che firma la postfazione, non ha alcun dubbio nell’affermare che «Un altro tempo debba essere ascritto a pieno titolo alla poesia, pur nella sua assoluta unicità: perché solo un poeta poteva restituire in questo modo, in questa misura, i volti d’ombra e di luce della propria vita».

Franca Alaimo

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Giovanna Rosadini (Genova, 1963), poetessa genovese, ha pubblicato la raccolta Il sistema limbico (Atelier 2008) e altre poesie in riviste e antologie collettive. Per Einaudi ha pubblicato la raccolta Unità di risveglio (2010) e ha curato l’antologia Nuovi poeti italiani 6 (2012). Sempre per Einaudi, ha pubblicato la raccolta Fioriture capovolte (2018). Per Aragno ha pubblicato la raccolta Il numero completo dei giorni (2014).