Cerco altre forme di vita, la ferita,
oltre il momento presente un guanto.
Ardo e vago in alto con ardore salto
cadendo nel vuoto, remo ed amo
nell’infimo spazio ritagliato
morso dall’infernale orco mi traino
con ardore in un arcobaleno di mani.
Sfavillano cerchi a comporre tele,
quel senso di stupore traboccante
per invadere cellule pronte
ad assorbire tiepidi sorsi di gioia,
penzolanti domande, come torce,
a frazionare carni fragili ammassate.
La vita reale, fluendo, è finzione.
Si fugge per raggiungere, tra spari,
quel quid impossibile con gli occhi
stanchi dentro assente avido corpo.
Ho chiuso le pupille, alzato il pugno,
spento il cervello scendendo sempre,
più in profondità, là dove la forma
appare aldilà dell’essere energia.
Non amo il flusso del vino, le bugie,
intingere sguardi-baci, se piaci,
effimeri e ladri su pelli-dinamite
mentre stanno dipinte ed ardono
a una certa distanza le sagome
evanescenti di orgasmi repressi.
A furia di nascondere e rimandare
tutto trova misteriose vie di fuga.
Gemono negli occhi riflessi di lago.
Cado nell’urto a fondo nel precipizio.
Rubo al mondo rubicondi aghi, spago
per tessere i vestiti dell’illusione.
Frantumo la visione di reami caini.
Esplodo e credo nell’immaginazione.
Inizio a sorvolare parole e gesti
tuffandomi coi delfini in tele e fogli
con affilate penne e pennelli di fuoco.