Fael Marescotti – Inediti

Fael Marescotti, nato il 13/06/2000. Studente di filosofia e letteratura italiana a Parigi, presso Sorbonne Université. Alcuni suoi testi sono apparsi su Inverso Giornale di Poesia, Poeti Oggi, La Repubblica di Milano, Scritture di Marco Ercolani (sulla medesima compare una sua traduzione dal francese del poeta Jean-Paul Michel, che indaga la poetica di Hölderlin).

 

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Il fiume coagulato
nel luogo delle pietre,
il piagnisteo dell’arpia tra i cipressi –
un’aria di crimine
è il sonno che ti incrina le vertebre,
O poeta distrutto
sotto il manto del sangue,
sotto l’astro pallido del tuo cranio.

Funesta come un vuoto
ti attraversa l’impudica coscienza
e agganciati ai tuoi nervi
dondolano i bozzoli delle fate –
un’isteria divina
è il terrore che senti sotto le unghie
mentre gratti la malta,
la placenta smisurata del sogno.

 

*

 

Falce di luna rossa
nel bosco nero, nella notte nera,
defilata al limite di ogni mondo –
l’odore della pietra,
silenzio o razzmatazz di voci antiche,
arie indecifrabili –
sulle mie labbra trema
l’ipotesi di Dio.

Ho nel sangue il fiore caldo del sonno,
e bambini morti su asini morti,
che ci danzano intorno –
hanno gli occhi dell’ansia,
c’è un sibilo lì in fondo
di una cosa che somiglia alla luce –
nelle pupille insiste
il totem tenebroso.

 

*

 

Deambulano i morti di là – di là
dalla cerulea notte
sono trasparenti sull’altro stagno
qualche arpia latra tra i rami dei pioppi
è come se un dio stesse evaporando
dei bambini pregano
nessun santo gli aureola le teste.

Qui è la negazione dei sensi e senti
il vuoto e il suo silenzio
sono la stessa immagine del mondo
tra le rocce inesiste
Diana la cacciatrice
dei lemuri vogliono risvegliarla
ma il sogno è blu e tu sei troppo lontano.

 

*

 

Si consuma quale grido tribale
in quelle bocche morte
che ingiuriano nella foresta nera?
Le conifere ferme
tra i muschi delle pietre – e la tua notte
O Dio conciliatore
è questa sulle foglie o è lì nascosta,
oltre al rimando di queste parole?

In decomposizione
guardo variare le stelle lucenti
nell’universo molle –
Non devo più chiedermi niente, niente.
Questo è il crollo del caos
e la mia fronte è una terra che accoglie
il suo bacio violento –
come mille dèi si agitano i gufi.

 

*

 

Tra le nubi s’impone la Figura,
non darle voce, essa ti ucciderà.
Sotto il Cristo Nero hai gli occhi a rovescio:
la pece, la larghezza della mente.
– Dov’è, dov’è il mio cranio? Preghi, esausto,
sulla cima dei nervi.
Nessuna folgore sbriciola il buio,
nessun palmo ti porge
la timida balsamina del tempo.

Sei soverchiato, la non-immagine.
Desolazione scura,
del vento diresti: desolazione.
Una febbre selvaggia
ti frana nelle tempie, nelle vene.
Cerchi ancora, ma sono ombre sonore
nei timpani le angosce
che latrano il ritornello del trauma.
– O dio della demenza, basta, basta.