Eugenio Griffoni – Inediti

Eugenio Griffoni, 30 anni, ha un lavoro da informatico e si tiene alto l’umore praticando la Speleologia e vaghe esplorazioni geografiche. A 25 anni si trasferisce a Cesena dove conosce il mondo del Poetry Slam a cui comincia ad interessarsi fino alle prime esperienze col microfono; partecipa attivamente nel collettivo VoceVersa e in vari tornei italiani. Nel 2020 ritorna in Ancona, sua città, cominciando ad organizzare spettacoli di poesia orale e performativa nel centro sociale Casa delle Culture Ancona. Nel Dicembre 2020 autoproduce la sua prima raccolta di poesie, Fuori dalla tana. Inediti compaiono su Poesia del nostro tempo, Crunched, L’Altrove, Inverso, Inutile, La Rivisteria. Nel 2022 alcune poesie presenti nella raccolta inedita Fernweh hanno vinto il primo premio sez. poesia inedita del Concorso Sinestetica, Pagine Marchigiane (Associazione Versante) e menzione al merito nel premio Paesaggio Interiore (Euterpe). La raccolta si è classificata ottava nel premio letterario Il Giardino di Babuk – Proust en Italie VIII edizione e quita nella seconda edizione del Premio Rilke (Associazione Poiéin).

 

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Dalla raccolta inedita “Fernweh”

 

La genesi dell’orizzonte

 

Plumbeo lo sguardo
si srotola di vigna
in vigna, intrecciate – le viti
scendono adagio nel grano:
ti ricopre il sonno dei padri.
Svariopinti filamenti
diramano, un residuo di luce
a capofitto nel fosso:

ti cerca.

Tu nascondi il respiro. Hai la mano
sul muro antico del casolare
e preghi (?). L’indice
ti spalanca traiettorie
lungo il confine del visibile,
lasci annegare le montagne,
sospiri una parola.

È la lacrima che ricami
la genesi dell’orizzonte.

 

*

 

Porte del Paradiso

 

È l’innesco a mancare.
Primordio celato – come all’ingresso in cattedrale
vagano pupille sui riflessi del rosone.

Ma non ci sarà alcun Sole.

Ad accendere l’abside
il fascio di una torcia – io l’incensiere,
e la preghiera – si farà goccia.

 

*

 

L’altare disabitato

 

Fosse linfa quest’acqua
d’un cielo dissanguato
e le nuvole – carne a brandelli –
dell’animale celeste
che urla lo squarcio

spalancherei le braccia chiedendo
perdono, pietà.

Ci stringiamo alla radice
il cielo come mano
col fiato esondato in terre
sfibrate. L’altare è disabitato.

 

*

Astro imperfetto

 

Intralcia
nel retro buio
la quiete – becero costrutto –
strazia
l’ignavo nel sonno
spalanca le pupille,
allagane la grava.
Aspergi
in scrosci immortali
di ignota lontananza
l’anima che sorge
come fiore – e si ricama.
Crollami nella gola
l’astro imperfetto,
la punta del gelo,
l’Arcano senza nome.

 

*

 

Fra poco non saranno più d’oro le vetrate.
Ormeggiata è la barca
che t’accolse le ossa nel buio delirante
– con reti del pescatore copristi lo spavento –
alghe maleodoranti
e carcasse di granchio nel groviglio.
Fra poco non saranno più d’oro le vetrate.

Guarda come cambia la marea:
non è che l’incubo di plasma e oblio
ad avvolgere le chiglie e ingoiare,
i gabbiani impazziti a capofitto
ad annegare, deformi nel trapasso
sprofondano inanimati ed ecco
non sono più d’oro le vetrate.

Sordo il suono che sconvolse il colore:
ai piedi d’immense vertigini
spalancammo la gola: isteriche sfumature
di nero e più nero fondevano
squame e boe natanti vernici:
e il bollire della vita forse sentimmo,
nella fornace di conchiglia
fra i cocci di rotaia.

Cadde su di noi l’ombra smisurata
ci vedemmo negli occhi.
Da secoli solitario dorme il palazzo:
“È un memoriale” ripetevi
fondendo le pupille nell’oro riflesso
che moriva nelle tue febbri:
“Accendo una candela per il tempo che verrà,
per la notte le miserie e le clessidre capovolte.
Ignori forse tu l’ombra che fruga mascherata?
Ricordi le parole che ti dissi quella notte?”

E fu per compassione che tornai a pregare.
Pregammo molte parole
– alcune sconosciute, altre proibite –
e con poche stelle solitarie infine ti calmai.
Aspettammo a piedi nudi l’arrivo del miracolo.
Scalò il mondo repentino prorompendo nel cuore.
Ancora per una volta insieme lo vedemmo,
che fosse l’ultima o la prima,
tramutato sulle vetrate – del cielo –
l’oro di Dio.