Diego Riccobene, “Ballate nere” (italic, 2021)

Nota di Ianus Pravo

L’angelo dalle gambe storte. Il sorriso e il ghigno nelle Ballate nere di Diego Riccobene

Del despota accuso il disordine, / l’asfittica prosa sacrale, / l’accento che inquina i primordi / del lessico e annusa il pudore. / Del mentore ossequio la tregua / tra ingenua speranza e ripulsa, / ma temo che l’ombra mi segua, / mi freddi una stretta convulsa.

Gli angeli chiamano i demoni. Sono seduto a un tavolo del Bar Prize, nel quartiere di Sant Antoni di Barcellona. Rileggo le Ballate nere di Diego Riccobene, quasi mi scrollo dal viso la polvere scossa dalle sue palandrane simboliche (che poi il volere è un dimenio, sbaglio?),  il teatro vaporizzato dei suoi ori lessicali e dei suoi feretri di peltro: poi nel País, nelle pagine sportive, trovo un articolo su Garrincha, il calciatore brasiliano, l‘angelo dalle gambe storte. Ecco, questa imperfezione nell’angelicità, questa deformità dell’angelicità. Questa compenetrazione tra bellezza e vulnerazione. Garrincha è il termine con il quale nel Nordest del Brasile si identifica un piccolo uccello marrone con il dorso striato di nero. Un uccello velocissimo e goffo, un uccello di selva, libero e debole, facile da catturare. L’etereo vuoto, il volo, Donnervogel, / il nunzio che congiunge genio e carne,  uccello e tuono  e piume che si staccano e invocano l’Azazello o un altro abietto, buffo come un garrincha, in volo, o proteso all’intenzione di un volo, sopra una superficie di lupanari saturi, glabre forme, sanbenitos arroccati, patere d’argento, dileggiatori e reprobi, fangose rade dei crepuscoli. Un angelo di ali storte, un fallimento di Samotracia che erra, che si allontana da sé verso il cielo di sé. Perché un angelo, uno qualsiasi, è terribile, mi avvisa Rilke, e la sua ascesa, la sua intenzionalità, è solo un impulso per precipitarsi, sempre errando, sulla terra della rivelazione, dello stupore, della violenza dello stupro. Scendesse adesso l’Arcangelo, il pericoloso, dietro le stelle, di un solo passo verso di noi, Rilke dixit, e ancora certo è strano non abitare più la terra.

Vi è una leggerezza, una magrezza materiale nel segno barocco disperso sulla pagina di Diego Riccobene. È l’angelo terribile che mi sorride, il garrincha fulmineo ma goffo, il fulmine goffo del garrincha, il tremendo ci sorride. Il sorriso è un dolore consegnato all’oblio: si badi, non dimenticato, ma affidato alla custodia dell’oblio. Il sorriso è una temerarietà angelica. È una forma, cioè una maschera che strappa la faccia. Francis Bacon non dipinse mai un sorriso, dipinse il ghigno. Del resto, lo scriveva Baudelaire, riferendosi all’opera di Maturin, ‘Melmoth’, in ‘De l’essence du rire’: Il riso di Melmoth, che è l’espressione più alta dell’orgoglio, compie perpetuamente la sua funzione lacerando e bruciando le labbra di colui che ride irremissibilmente ( e di qui, nell’Héautontimoroumenos: Io sono il Vampiro del mio cuore, / Uno dei grandi abbandonati / Al riso eterno condannati, / E che non possono più sorridere ). Riccobene: e il ghigno sempre pronto a barattare / se stesso o qualcun altro.

Il sorriso-angelo dalle gambe storte, criptato nel riso e nel ghigno, nel demoniaco, percorre dal primo all’ultimo verso l’opera di Riccobene, ci sbircia spudorato dal forame. In Leopoldo María Panero: Così lo schiocco di mandibola del cosiddetto schizofrenico e il suo riso inspiegabile sono un atto cannibalistico come la poesia vorrebbe essere: un atto cannibalistico, un intervallo nella disperazione. Un anatema contro la cronica piattezza del sociale e del culturale contemporaneo, contro la miseria linguistica ed etica dell’attuale. Come scrive Riccobene:  Sia fatta immondezzaio quest’altura, / sia imbratto per carogne, scellerati, / fondachi miserabili, mercanti.

 Ho dichiarato il falso? Quello, certo, nella chiusura di Ballate nere. Garrincha fu un giocatore meraviglioso, un mago del gesto: la leggenda racconta che chiamasse ognuno dei suoi marcatori con il nome di Joao, tutti con lo stesso nome, tutti allo stesso modo beffati dalle sue finte. Le finte di un angelo.

 

Barcellona, 14 gennaio 2023
                                                                     Ianus Pravo

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Diego Riccobene (Alba, 1981) vive in provincia di Cuneo. Laureato in Filologia Moderna presso l’Università degli Studi di Torino, è poeta, docente, musicista. Suoi scritti e interventi sono apparsi su antologie, webzine e riviste quali Atelier, Menabò, Poesia del Nostro Tempo, Critica Impura, Inverso, Versante Ripido, Laboratori Poesia, Pannunzio magazine, Neutopia, l’Estroverso. Alcuni suoi componimenti sono stati tradotti in lingua spagnola dal Centro Cultural Tina Modotti. Collabora con la redazione di Menabò online. Ha pubblicato Ballate nere (Italic Pequod, 2021), silloge segnalata in occasione del Premio Lorenzo Montano 2022 – sezione opere edite; e la plaquette Synagoga (Fallone Editore, 2023).

 

Ianus Pravo è nato a Treviso, e vive a Barcellona, in Spagna. Ha pubblicato, tra gli altri, i volumi di poesia, in lingua spagnola: “Mudrà”, El Caracol Nocturno Ediciones, Zaragoza, 2003. “N. S. A.”, El Caracol Nocturno Ediciones, Zaragoza, 2004. In lingua italiana: “Senz’arma che dia carne all’imperium”, con Leopoldo María Panero, pref. di Andrea Ponso, SEF edizioni, Firenze, 2011 –  (versione spagnola: El Ángel Caído Ediciones, Las Palmas de Gran Canaria, 2015). Figura tra gli autori inclusi in “Poeti della lontananza”, a cura di Sonia Caporossi e Antonella Pierangeli, Marco Saya Editore, Milano, 2014). Ha tradotto in italiano, di Leopoldo María Panero: “Narciso nell’accordo estremo dei flauti”, Azimut Editore, Roma, 2005. “Dal Manicomio di Mondragón”, Azimut Editore, Roma, 2007. “Peter Pan non è che un nome”, (con Sebastiano Gatto), Poesie 1970-2009, Il Ponte del Sale Editore, Rovigo, 2011. “Il cervo applaudito”, EDB Edizioni, Milano, 2013. Ha avuto il Premio speciale del Presidente delle giurie a “Bologna in lettere 2021”, per la silloge “Segno e ventre”. In pubblicazione con Anterem Edizioni “Il cervo giudicato” (postfazione di Maria Grazia Insinga), finalista al Premio Montano 2021. Ha partecipato come autore e attore ai mediometraggi “Banned” (2013) e “Estantigua” (2014), con la regia di Irada Pallanca, NOoN films.