Non ho più occhi
solo quelli di mia madre
ostinati a inventare ancora
il mio futuro,
cercarlo tra macerie
troppo ingombranti
e brandelli di normale mostruosità,
strapparlo a mani avide
come artigli di avvoltoi.
I sogni a Kabul
odorano di sangue e di polvere,
sono stipati dentro pagine strette,
vestiti a lutto, senza cielo né sole.
Ma io li sfilo
da dietro le grate fitte
di questo presente,
uno a uno li ripongo
nel baule della mia anima,
serrati con oro e sospiri
a difendere quel bene prezioso
di cui la mia pelle
non può più inebriarsi,
imprigionata tra ali di notte.
Solo le madri
tengono alta la testa
per le loro bambine,
fagotti abbandonati dalla storia,
reclinati su braccia di pietra.
Urla di gelo e silenzio
lanciano da questa terra di morte,
sorelle uniscono preghiere
in un ponte disperato,
irrorano di lacrime gentili il dolore,
perché non appassisca il nostro cuore.