Di quando Majakovskij in sogno ha letto una mia poesia

Considera questo: nulla di diverso

Solo una nota vagamente asprigna sull’amara radice.

La voce più tremenda della sua apparizione;

Le parole, scheletri di luce.

E lui seduto, terastico impassibile

Frusta l’aria dentro l’ugola russa.

Majakovskij non mi era mai venuto a trovare in precedenza;

L’ho considerato un gesto delicato

Compiuto senza troppi complimenti,

Alla sua maniera.

Ha raccolto i miei versi in grappoli metallici

Il succo lo premeva fuori

Schiacciando tra le mandorle

Dei denti, chicco dopo chicco

Il latte di un qualche arcaico sacrificio.

Ma poi com’era carico di senso il suo idioma

Una sorta di terra vergine tra il russo e il sogno;

Io dipingevo i suoni a doppia lama

Che non raggiungevano niente e nessuno

Ma che s’ incatenavano all’aria vibrante santità.

Il Dio ebbro della poesia non cercava più la sua morte,

E lui pareva contemplato dai cieli

Splendido, inarrivabile.

Il brusio della vita calato in quel fosco paradigma

Dentro l’ingranaggio dell’uditorio

Nel perfetto silenzio divaricato tra le parole.