Davide Morelli legge ‘7 poemetti’ di Franca Alaimo

Franca Alaimo

7 poemetti

Prefazione di Giovanna Rosadini

Interno Libri, 2022

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Recensione di Davide Morelli

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Franca Alaimo è una poetessa conosciuta, molto stimata. È considerata e quotata dalla critica. Eppure non c’è nessun elitarismo, nessun snobismo in lei, così come non c’è traccia di conformismo culturale o di superficialità. In questi ultimi anni ha acquistato visibilità, pubblicando molto e raccogliendo un vasto consenso. È innanzitutto un’intellettuale che non predilige gli intellettualismi: questa è una cosa che si nota al primo colpo d’occhio nelle sue poesie, così come guardando il suo curriculum si intuisce subito la sua invidiabile facilità di scrittura. Non è visionaria, non è mistica, non cerca il montaliano anello che non tiene e neanche è votata all’autodistruzione, ma sa offrire uno sguardo partecipe e attento sul mondo, facendo della poesia una prassi di vita quotidiana. Di solito i poeti si dividono in due categorie: coloro che lottano contro l’afasia e coloro che combattono contro lo sproloquio. Ebbene avverto nettamente che lei è equidistante, misurata in questo senso. Si ha la sensazione che le sue parole siano contrassegnate da una notevole genuinità e si staglino fluenti e decise sulla pagina bianca senza ossessioni né tormento eccessivo. Piuttosto trovo che la sua poesia sia una difesa dal mondo, ma anche il rifugio in uno spazio extramondano, in cui esprimere la triade mente-corpo-relazione. La poesia di Franca Alaimo a mio avviso non si basa sulla dicotomia ordine e disordine. Non si basa sull’ipermetrismo da un lato né dall’altro sulle diffrazioni, sulla polisemia a tutti i costi. Mi sembra invece di poter rintracciare una auscultazione, quindi una sedimentazione, inoltre una versificazione di elevata qualità, infine dei codici espressivi al di fuori del main stream, mai logori, piuttosto rinnovati o originali. Leggendo i suoi testi, ho compreso che la poetessa spicca per l’autenticità, la versatilità, la completezza, trattando sia la sua sensualità che la sua religiosità. Molto probabilmente ciò significa che la plurivocità delle rappresentazioni della realtà sono i corrispettivi delle sfaccettature della ricca personalità dell’autrice. Franca Alaimo in questo periodo, in cui dall’interconnessione si passa spesso all’iperconnessione, è una presenza discreta e costante della comunità poetica online: ha modo di leggere e interagire con poeti e poetesse di ogni genere e di ogni età, alcuni più giovani, a cui sa indicare la strada maestra, seppur sapendo che talvolta l’arricchimento è reciproco; ha importanza secondaria che non tutti possano capire la sua rielaborazione del mondo, il suo ricrearlo, le sue illuminazioni, alcuni suoi slittamenti di senso, anche perché la sua poesia va presa nella sua globalità e la comprensione umana ed empatica deve avere la priorità sulla spiegazione razionale. Ci sono autori che si rivelano artificiosi, impostati, macchinosi, pretestuosi, pretenziosi. Invece in lei niente sembra costruito, forzato, pianificato, ma tutto sembra naturale e apparentemente semplice. Franca Alaimo non evoca né allude; sa parlare chiaro senza fronzoli e in modo sapiente essere lo stesso letteraria, dimostrando di mantenere grande dignità poetica. La sua poesia è comprensibile ai più (se si confronta a certe elucubrazioni in versi di alcuni poeti quasi illeggibili), il lessico non è mai troppo forbito, eppure è ricco; inoltre vengono trascritte fedelmente l’aspetto magmatico della vita e la complessità del reale: tutto questo è prerogativa di pochi poeti. Dirò di più la poetessa ha i meriti di non far diventare il complesso troppo complicato e di non tralasciarne mai la problematicità. Franca Alaimo per questa caratteristica mi ricorda molto il poeta Venerio Scarselli, che dichiarava nelle interviste che bisognasse scrivere “pane al pane e vino al vino”, quando invece molti pensano di impreziosire i loro componimenti con arcaismi. Intendiamoci: il libro è costituito da 7 poemetti comprensibili e 26 frammenti di natura “diaristico-aforistica”, in cui avverto degli echi di “Diario ottuso” della Rosselli, scritti anch’essi in modo impeccabile ma un poco più arcani (però questo è il segno che non si può semplificare sempre, non si può andare sempre incontro al lettore). Comunque per l’elevata dicibilità, l’intelligibilità dei suoi versi, la virtù di mostrarsi senza infingimenti penso che potrebbe essere accostata parzialmente con il celebre Roberto Pazzi, anche se in Franco Alaimo non c’è una vistosa compenetrazione tra animo e paesaggio, come nel poeta ferrarese che addirittura scrive “io sono il paesaggio”, però questa non è una nota di demerito né di merito: è soltanto una differenza che a mio avviso salta all’occhio. Alcuni potrebbero obiettare riguardo alla dicotomia chiarezza/oscurità che ha ragione Alfonso Berardinelli a scrivere che questa distinzione è relativa. Io invece al contrario ritengo che sia individuabile ai più quando un testo ha chiarezza espositiva. D’altronde riguardo alla possibilità di farsi capire dai più o meno esistono due scuole di pensiero a riguardo, entrambe legittime: chi pensa che non tutto possa essere trasformato in poesia e che la poesia non possa essere per tutti, chi invece è più democratico e più aperto a riguardo. A mio avviso è un pregio essere onnicomprensivi e inclusivi come Franca Alaimo. Non analizzerò in questa sede la struttura sintattico-semantica, i costrutti metaforici, i dati biografici di Franca Alaimo perché mi sembrano più importanti nella sua poesia l’affinità tra emittente e ricevente, la congruenza tra contenuti profondi e parole comprensibili, il salto qualitativo del descrivere in modo ottimale l’accadere psichico. Questa poesia ha davvero la sua ragion d’essere non solo da un punto di vista formale, stilistico, ma anche sotto l’aspetto contenutistico. Franca Alaimo non trascura nessuna tematica, eppure forse per lei sono poche le cose che contano e che restano. È da immagini mentali ed espressioni verbali felici che emerge quella che lo psicologo cognitivista Neisser chiamava “molteplicità del pensiero”. Da una parte abbiamo la complessità del linguaggio, però dall’altra abbiamo la pragmatica della comunicazione, ovvero come questa influenzi il comportamento e le emozioni del ricevente: la partita di Franca Alaimo si gioca soprattutto qui, ma a mio modesto avviso la vince pienamente perché vive la poesia come atto di fede nei confronti dell’altro. Queste sue liriche non rivelano soltanto la straordinarietà della vita e del mondo, ma cantano anche la sua terribilità (“Una ragazza, dopo la violenza,/ fu finita dalla canna di un M16/ infilata nella vagina/ e così andò in frantumi la stanza fertile/ che cullava le prime settimane di un bambino./ Cosa c’è di più sacro di un corpo offeso?”). Comprendono quindi la totalità dell’esistente, lo assimilano, lo fanno proprio. Ci vuole coraggio e intraprendenza per descrivere anche il dolore, la sofferenza. C’è chi sostiene che un’opera letteraria per essere tale debba contenere sia tradizione che originalità. Questa raccolta possiede entrambe le caratteristiche. Chi in fondo aveva mai pensato come la poetessa oggi in Italia a celebrare l’esistente senza giustificarlo con una visione edulcorata del mondo come fanno invece in molti? Al contempo essendoci dignità poetica e umana non rintraccio brutalità né crudezza nel riportare il mondo e il creato per quel che veramente sono. Franca Alaimo non ha la pretesa di darci la parola definitiva. Però è un’autentica cercatrice di sé e del mondo. Scandaglia, collega, mette in relazione, coglie tutti i nessi; va fino in fondo, nella sua ricerca. L’io poetico, mai ipocritamente occultato, è solo il punto di partenza: il punto di arrivo è trovare gli universali, ciò che è atemporale e astorico, senza scordarsi mai che non siamo propriamente animali né divini, che siamo carnali e mortali. Questa raccolta è un’indagine della realtà riuscita. Non si può non amare la verità presente nei versi di Franca Alaimo. È una lettura stimolante, vibrante, edificante. Sono poesie caratterizzate da una spinta insopprimibile di dire e di incorporare tutto senza negare il male di vivere, con ogni implicazione inevitabile. Ciò è meritevole in tempi di poesia a buon mercato in tutti i luoghi virtuali e non, che poi è un modo molto efficace per bandire dal mondo il lirismo incarnato e autentico, come quello dell’autrice. Così come è meritevole andare oltre il Leviatano, andare oltre la cultura di massa e i condizionamenti dei mass media, facendosi guidare da intuito e da intelligenza.

Un poeta si mette sempre a nudo quando scrive. In questo caso il fatto che sia comprensibile (per coloro che non sono analfabeti di ritorno) va inteso in un solo modo, ovvero che non mette a nudo il suo animo a pochi, ma ai più. È un grande atto di sincerità oltre che di fiducia nei confronti del prossimo. A tal proposito riecheggiano nella mente questi suoi versi: “Io sono un vaso di vetro./ Un vaso che traspare come l’acqua”. Così forse vuole essere Franco Alaimo. Ogni posizione è rispettabile: ci sono artisti che hanno buoni motivi per essere esoterici e altri essoterici. La poetessa dimostra la sua validità perché riesce allo stesso tempo ad avere una grande forza espressiva e ad avere una comunicatività non indifferente, se pensiamo che la raccolta rientra a pieno diritto nei canoni della letterarietà. C’è poco di velato, di occulto nei suoi 7 poemetti, che si caratterizzano per l’essere cristallini: la poetessa si occupa magistralmente dei misteri della vita e del mistero di essere umani (“uno sciame di impulsi elettrici/ che diventano visioni/ – ci sono nel cervello miliardi di neuroni/ tanti quante le stelle di una galassia”). Franca Alaimo si dimostra in questo senso poetessa di rango e forse ci vuole dire che non bisogna aggiungere altri veli né offuscare la vista. È una poesia onesta, per dirla alla Saba, che funge da strumento ottico per vedere in modo più nitido; non è mai puro esercizio di stile e allo stesso tempo è una poesia generata da un talento puro, prolifico e permeata da una cultura solida. Si percepisce subito che l’autrice ha saputo aspettare i momenti propizi per scrivere. Al contempo il suo linguaggio è puro, lontano dalla convenzionalità e dall’omologazione della lingua standard. Riesce in questo modo a preservare un grande nucleo inalterato di umanità. Questa raccolta è la dimostrazione che la poesia autentica può disintossicarci da questo mondo fatto di disinformazione, scarso senso di comunità, cambiamenti climatici e impatti ambientali devastanti, diritti civili non rispettati e disuguaglianze. Siamo sull’orlo dell’abisso, in una “vera precarious situation”; gli inglesi dicono che il futuro è già qui, ma non sappiamo ancora cosa ci aspetta tra vantaggi e svantaggi, tra algoritmi che determinano la nostra vita, biotecnologia, intelligenza artificiale che diagnostica i tumori e bambini che muoiono di fame in Africa. Non è retorica né ingenua euforia se affermo che libri come questo servono a sensibilizzare l’animo, a risvegliarci interiormente, se penso alla pietà e alla umanità dimostrata nel terzo poemetto, quello dedicato agli amici suicidi: insomma la prima rivoluzione, quella che conta, deve sempre avvenire nelle coscienze; questo forse è il senso implicito di Franca Alaimo. Qualsiasi lettore non può che trarre piacere, provare empatia e rispecchiamento, leggendo le emozioni, le associazioni mentali della poetessa, sapendo cosa pensa, cosa sente e come vede il mondo, anche se ciò non si può riassumere in semplici formule. Non può che trarre giovamento da questo modo di fare poesia esplicito, dichiarato senza bisogno di note esplicative, da questa autrice che inizia in perfetto understatement e che poi sale in cattedra, dando lezioni di stile e di vita.

La poetessa dimostra tutta la sua spiritualità. Leggendo queste poesie mi viene in mente che Dio può essere nella natura, come nelle persone e nelle occasioni. Ma Dio è in tutto, anche nei giorni sbagliati, nel male e nella cattiva sorte; leggendo Franca Alaimo traggo l’insegnamento che tutto questo va capito e accettato, nostro malgrado. Franca Alaimo è quindi una profonda conoscitrice della vita umana. Non a caso scrive “Nulla ha riparo/ se non nella vita stessa” e anche “vivere è come una mano che afferra./ Un’acqua che affiora dal fondo della terra/ ed ha bisogno di zampillare furiosa./ Che tutto il resto è solo sonno vuoto”. Chi vuole tirare le somme sulla poesia contemporanea italiana non può fare a meno di leggere anche Franca Alaimo, che a ragion veduta è sempre più antologizzata dagli italianisti.

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Con la bocca piena di luce

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Il mio corpo adolescente

era una casa di clausura

con un caldo tropicale

e sogni vaneggianti.

L’anima vi abitava

come un cardellino fiammeggiante

che abbiano accecato perché canti

più disperatamente

ma anche così dolcemente

che sentirlo è come immaginare

un aldilà magnifico.

Una casa con molti muri e stanze

e il giardino dei fiori d’oro dell’infanzia.

Pestavo un’erba magica nel frantoio

per risvegliare i giorni della gioia.

Il mare era incastonato

nel mezzo della carne

come un lapislazzulo blu,

la mente delirante,

la sabbia morbida, ardente.

Il mio castello è quello più alto

con bandiere di carta e ponti levatoi

fatti con stecche di ghiaccioli.

E il mare non è quello reale,

il tempo non è quello reale,

ma un altro dove volare arditamente

come un uccello misterioso

che non si ferma mai.

E non so che profumo di gelsomini

vi penetra certe sere

con una voce troppo leggera

di bambino:

andiamo, laggiù ce ne sono tanti.

Dammi la mano. Senti?

Ancora ci muoviamo nella luce lunare

che ci schiara le dita

e si specchia tranquilla

nell’acqua di un boccale

lasciato sopra il tavolo, all’aperto.

E il canto dei grilli fa un’onda così lunga

da attraversare il tempo.

C’era una volta. C’era una bambina

con una corona di latta sopra il capo

che giocava con il mondo

e lo ammirava stupita.

Che spoliazione infinita!

Quanto barbari sono i maestri.

Come grida il cuore:

Non devo dire questo,

non devo fare questo,

Sono una donna,

sono un animale muto.

Sono una menzogna.

Una gola di cera molle

dove tutti imprimono i pollici

per cacciare indietro la mia voce.

Sogno tutte le notti

un uomo che m’insegue con un coltello

affilato e lucente,

ed io ho paura che mi prenda.

Madre delle vergini, aiutami!

Io sono un vaso di vetro.

Un vaso che traspare come l’acqua.

E poi viene quella cosa rovente

che fa chiudere gli occhi

che fa ancora paura ma così struggente

che riempie di sospiri la bocca.

Inginocchiati, Amore, trema, fammi tua,

dimmi a voce bassa chi sei,

che loro non sentano più,

che non sentano.

La mia casa di carne è un fiore.

Io non voglio appassire.

Tu, madre, sei soltanto un’ombra.

Tu, padre, una corda intrecciata.

La luna galleggia come una barca bianca

nel cielo nero.

Colei che sta al timone è del tutto ubriaca.

Ha bevuto il vino senza fine della notte.

E, dopo, è come se piangessimo.

Ma è che mi ha svestita poco a poco

e le pupille bruciano.

Qualcosa sanguina.

Facciamo, il mio corpo accanto al suo corpo,

uno stendardo di seta

più grande dell’ombra blu delle montagne

e lo cuciamo con i baci e le parole

come fosse il solo tra i sacri riti

da offrire all’altare della vita.

Adesso so che il corpo non può avere riposo,

che vivere è come una mano che afferra.

Un’acqua che affiora dal fondo della terra

ed ha bisogno di zampillare, furiosa.

Che tutto il resto è solo sonno vuoto.

Che di ogni cosa bisogna scrivere.

Perché la realtà si ricordi,

perché si sappia rispondere.

Che scrivere significa essere donne

assolutamente libere,

con la bocca piena di luce,

con tanti fiori che bucano l’oscurità

coprendo la ferita.

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La notte

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C’è qualcosa di accogliente nel buio. Una cuna nera. Un

utero. Tutto ciò che ne ripete la forma mi attrae. C’era nella

vecchia casa dell’infanzia un focolare scuro di fuliggine,

dove si arrostivano le pigne. Dal suo ventre, allora si

sprigionava un felice profumo di resina, di vita selvatica.

Sentivo nello scoppiettio della brace il suono del vento tra i pini.

La fiamma rossa mi scaldava il rosso del sangue. Oh madre!

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Franca Alaimo (1947) Vive a Palermo. Esordisce come poeta nel 1989 con mpossibile Luna a cui sono seguite altre diciassette sillogi, quattro e-book editi con La Recherche, e una pubblicazione con PulcinoElefante. Ha scritto saggi sugli autori contemporanei: D. Cara, T. Romano, L. Luisi, F. Loi, G. Rescigno. È presente in numerosi volumi di Storia della Letteratura italiana, e in InsulariI. Romanzo della letteratura siciliana di Stefano Lanuzza; in diverse antologie (tra cui: Newton Compton, Aragno, LietoColle, Laboratorio delle Arti; Giuliano Ladolfi Editore) e in riviste quali Poesia (dove è stata presentata da M. Bettarini e da M. G. Calandrone), Anterem, Italian Poetry Review, Bomba carta e molte altre. Ha tradotto dall’inglese due brevi sillogi del poeta irlandese Peter Russell. È presente sul sito Italian Poetry e in quello internazionale di Sabido Sanchez. Alcuni suoi testi sono stati tradotti in spagnolo, inglese e tedesco. Fa parte del team redazionale della rivista on-line La Recherche. Si occupa anche di critica letteraria, recensendo opere di autori contemporanei. Le sue più recenti pubblicazioni (2018), edite da Giuliano Ladolfi, sono: la raccolta poetica Elogi e l’antologia Il corpo, l’eros, che riunisce i testi di oltre sessantotto poete italiane e straniere,alla quale ha partecipato in veste di curatrice e di autrice.