Daniele Martino – Inediti

MARTINO

Daniele Martino è un insegnante che studia (lascuoladeisaperisemplici.org); ha pubblicato poesia con Einaudi (Minimale in Nuovi Poeti Italiani 4, 1995) e Marcos y Marcos (Zen session, 2012). Scrive i testi poetici musicati da Marco Robino per Peter Greenaway (Goltzius and The Pelikan Company è del 2012). Scrive regolarmente su doppiozero (doppiozero.com/users/dmartino)

Daniele Martino 
Inediti

*

selfish selfie

quando perdo il senso dell’orientamento
risalgo la genetica delle parole
vacanza è sentire il vuoto in una stanza
ascoltare il battito del tempo
alzarmi la mattina quando il mio cervello vuole
pulire bene lo scarico dell’acqua sul balcone
finire il libro che avevo cominciato
e mai finito per obbedire al ritmo del lavoro
scrivere a mano sul quaderno sul bancone
riprendere a sentire il corpo un po’ ingrossato
assottigliarlo con una disciplina con decoro

e penso che mi impegnerò di più
quando torneranno i figli e lei
perché ora piccoli e lontani in chat e selfie
li percepisco nitidi protetti dai momenti bui
in cui son aspro se mi sento giù

sì domani quasi quasi apro un altro libro
quello che barcolla sulla torre delle mie intenzioni
nel silenzio nel fresco mentre il mondo cuoce

?

*

pompa funebre

 

tra i santi e i morti in ricorrenze primordiali
il lutto poco tragico mi strappa a me mio caro
due diciottenni beffati e seminati:
il grigio ingenuo ed inesausto Pigmalione
e il roseo delicato cicisbeo
la Galatea di marmo la prendo a martellate
e brucio del galateo le pagine strappate

spaccando il melograno faccio di ogni grana
il succo della prossima infinita infine mia stagione
del me tranquillo sufficiente e differente 

senza inchino e senza omaggio
svanisco e nutro l’equilibrio 
ruminando un dionisiaco foraggio
senza piú drammi e dentro il mio orticello
sinergico biologico autarchico e selvatico
ricco di semi i più selezionati del mio seme
venendo come viene, e se non viene che per sé si tenga

*

la tragedia della sardina innamorata

è vero sì ero io a offrirmi ancora chiuso
cercando quella mano che impugnasse la chiavetta
che lentamente arrotolando su se stessa
piano senza versarsi addosso l’olio spesso
tirasse fuori la mia carne cotta, senza pelle
gustosa dopo tanto starmene blindato sotto vuoto

sono io – sì è vero – io che mi spingo
ogni volta verso un’altra bocca che abbia
un po’ di fame, poca poca, non convinta
a uno spuntino di me sfinito nella rete
di un eventuale amore, un altro pasto
che dia un senso un po’ più chiaro
al buio che mi acceca sotto la lamiera
della diffidenza: “lascia perdere che tanto…”

di volta in volta sempre un po’ più bio
più saporito, con lische morbidissime
ti ho vista che eri tu che aprivi
questa volta allegra
distratta per un assaggino

però ogni volta che mi mangi un po’ 
tu poi richiudi dopo un bocconcino
io con la mano da sdraiato, sotto
cerco di non tornare al buio e sulla latta
mi taglio e mi condisco al sangue la disfatta

e tu ogni volta scaverai più in tondo
io mi nasconderò sempre più in fondo
ti stuferai di far fatica
e a me non resterà
che la tragedia della sardina innamorata
senza voglia di darsi più perché avariata

*

per una amante lunatica

il vento caldo raffica
sposta panni nuvole larici
mi strappa le radici
e volo sopra monti e mare
tra le tue braccia, piccola lunatica
chiara fresca e dolce
come la cascata nella polla
del ruscello Arbouno
sgorgato dalle viscere del Tibert
erta di fallo (errore)
rituffata nella tua finzione coniugale


Fotografia di proprietà dell’autore.