Cristina Micelli – “A chi scorre” (lettura di Maurizio Mattiuzza)

micelli cristinaCristina Micelli, A chi scorre, Bologna, Qudulibri, 2017
lettura di Maurizio Mattiuzza

È vero, scorriamo, anche noi . Come attimi e anni o un’acqua viva che scende a cercarsi una foce scivoliamo via. Con le nostre radici che non reggono, le scarpe mai bastate, andiamo, passiamo. Scorriamo negli sguardi, nei ricordi di chi c’era o avremmo voluto ci fosse. Assimilati ai tratti di un paesaggio intravisto da un treno ci stacchiamo, diveniamo un frammento tutte le volte che questo verbo cambia accezione e ci fa oggetto dello sguardo altrui.
Mitgefühl. Forse è questa la parola femmina che Cristina Micelli ci nasconde e svela dentro a queste sue poesie. Lo si intuisce dal titolo, dall’occhio con cui è scritto. Un occhio che ha scelto una nuova e diversa velocità, perché per veder scorrere un altro a noi non resta che andare di fretta o star fermi a guardare.

Due azioni opposte certo, eppure spesso figlie delle stesse necessità. Gli altri, il loro fluire, il nostro, è questa la relazione con il mondo che noi chiamiamo vita. Un rapporto che prende senso e ci fa umani quando ci concede la magia di un sentimento ripagato, di un linguaggio capace di parlarci anche dal silenzio. In questo libro c’è un tempo denso. Un coniugarsi di immagini che non ha presente o passato e prova a darsi per ciò conta davvero. E quanto conta qui, nelle poesie di Cristina Micelli, è anche una sorta di narrazione multipla capace di stare oggi sta nelle ferite di una lettera da un campo di prigionia e domani in una quotidianità contemporanea che non dimentica la storia della propria terra. In questa raccolta c’è molto Friuli. Un Friuli paradigmatico. Misterioso. Luoghi precisi, fiumi amati e chiamati per nome, ma anche tutto un emergere di voci,di “sassi frantumati dalle suole delle All-Star”.
Presenze, come ci dice la seconda sezione della raccolta. Figure vive, attuali e storie di gente scorsa via, tramutata in ombre che chiamano, tornano per amarci dal ricordo, per ammonire. La cifra della fatica, di quel lavoro incessante che fu l’ossatura della civiltà contadina. Cristina Micelli sa farcela percepire nella differenza e poi in una sorta di nuova vicinanza. Forse è per questo apre il libro con Performance, parola icona del nostro vivere aziendalizzato, reso appendice di fabbriche e uffici usciti fuori dalle proprie mura. Ritmi e tempi turbocompressi che nell’arco di un paio do generazioni mettono i figli degli emigranti italiani degli anni ’60 a confronto con chi migra oggi e nel fuggire prova a dirsi che anche qui, come a Kabul “casa è dove ci sono le montagne” 
Ed è proprio nella sezione chiamata “Profughi, Primavera 2015” che questo libro forse ci rivela tutto intero il proprio canto matrilineare. Un canto che ha voce e gesti di donne che “vedono da lontano” e proprio per questo agiscono, soccorrono, salvano il senso più profondo del pane quotidiano. Anche se “niente rimane”, anche se c’è “da stare rarefatti”.
“Mi hanno detto fai l’elenco/ delle cose che ti fanno stare bene” scrive a un certo punto l’autrice in una delle poesie più riuscite della raccolta. Una lista forse lunga, di certo non semplice da stilare. Una sequenza di oggetti e ricordi, di slanci, che Cristina Micelli ha sparso tra i suoi versi come una rugiada buona, affidandosi per larghissima parte a un linguaggio poetico misurato, a volte anche elegantemente essenziale. Una poesia liscia, coerente e sempre aperta al quotidiano, capace di regalare a questo libro il pregio di una lettura che non si dimentica.

 

Maurizio Mattiuzza (1965)  è nato alle porte di Zurigo e vive nei pressi di Udine. Voce attiva del movimento culturale friulano già dalla seconda metà degli anni ’80, ha pubblicato le raccolte di poesia La cjase su l’ôr (1997) e L’inutile necessitâ(t) (KV, 2004) con note critiche di Luciano Morandini e postfazione del cantautore Claudio Lolli, nonché il volume Gli alberi di argan (La Vita Felice, 2011). Lavora da anni come spoken poet e paroliere accanto a Lino Straulino, col quale ha realizzato l’album Tiere nere e diverse altre canzoni. Assieme al cantautore Renzo Stefanutti ha scritto una delle canzoni finaliste della sezione musica d’autore del Festival di Poesia di Genova. Conta traduzioni in inglese, sloveno, greco e altre lingue europee. Nunerose inoltre le importanti onorificenze assegnate alla sua produzione poetica, ultima tra le quali è l’essere vincitore della sezione Poesia al premio «InediTO – Premio Colline di Torino» nel 2014 con le liriche poi incluse nella raccolta La donna del chiosco sul Po per i tipi de La Vita Felice (2017).