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Claudio Damiani – Inediti

DAMIANI CLAUDIOClaudio Damiani è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo. Vive a Rignano Flaminio nei pressi di Roma. Ha pubblicato varie raccolte poetiche tra cui Fraturno (Abete,1987), La miniera (Fazi, 1997), Eroi (Fazi, 2000), Attorno al fuoco (Avagliano, 2006), Poesie, a cura di Marco Lodoli (Fazi, 2010), Il fico sulla fortezza (Fazi, 2012), Ode al monte Soratte, con nove disegni di Giuseppe Salvatori (Fuorilinea, 2015), Cieli celesti (Fazi, 2016) e il saggio La difficile facilità. Appunti per un laboratorio di poesia (Lantana, 2016). Ha pubblicato di teatro: Il Rapimento di Proserpina (Prato Pagano, nn. 4-5, Il Melograno, 1987) e Ninfale (Lepisma, 2013).  Ha curato i volumi: Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei (Fazi, 1995), Le più belle poesie di Trilussa (Mondadori, 2000) e, con Andrea Gareffi, Pascoli e i poeti di oggi (LiberAria, 2017). E’ stato tra i fondatori della rivista letteraria Braci (1980-84) e, nel 2013, di Viva, una rivista in carne e ossa. 

Claudio Damiani
Inediti

Da Prima di nascere

*

Cari amici, mi chiedo questo: è possibile che nel ‘300
io non sono vissuto?
Davvero quest’eventualità
mi pare quanto meno incredibile.
E’ possibile poi che non sia vissuto
nell’’800, nel ‘700, nel ‘600?
E’ possibile che ciò che è stato
è stato senza di noi?
che le cose succedevano
e noi non sapevamo niente
nessuno ci diceva niente
neanche ci avvertiva?

*

Se tutto il mondo fosse mio
e io ne fossi il re
non lo considererei mio.
Così uscendo, camminando in piazza
sento che la piazza è mia
ma mi fa piacere pensare
che le persone la attraversino
e vadano dove gli pare.

*

Così ad esempio capisco
che la piazza sia di quella persona
che sta spesso qui
seduta su una panchina,
pur tuttavia sono contento
che lei mi lasci libero di passeggiare,
di andare dove mi pare.

*

Trovo non giusto che si debba morire
lo dico sinceramente
(qualcuno si vergogna, io no),
la trovo una carognata,
una cosa che poteva essere evitata,
e se proprio si doveva morire
(per il meccanismo dell’evoluzione)
qualcuno almeno ci dicesse
dove andiamo a finire.
Fra non molto si vivrà di più
e poi ancora più, e ancora più
finché non si morirà più
(è il terminal dell’evoluzione,
sembra, il traguardo con medaglie e coppe)
e noi invece dobbiamo morire
come i topi che attraversano un fiume,
come i generali sovietici a battaglia persa
dovevano spararsi in bocca,
noi quale battaglia abbiamo perso?
Questa cosa la trovo ingiusta,
una carognata, ecco,
proprio una carognata.

*

Ero uscito sul terrazzo
convinto dell’assurdità dell’esistere,
il cielo era nuvolo, un po’ freddino anche,
una giornata qualsiasi, e guardavo il monte
Soratte, il paese su lui adagiato
e le nuvole e il cielo
e andavo oltre, al resto del mondo, e ai mondi,
a questo nostro universo misterioso
ma indubbiamente reale
e ho sentito la sua verità, la sua grandezza,
così immenso, e pieno di cose
vere, e nonostante l’assurdità
della nostra precarietà, ho sentito che partecipare
a questa grandezza quasi ci salvava,
quasi giustificava il nostro sacrificio.


Fotografia di proprietà dell’autore.