Anteprima Atelier e Laboratori Poesia: Camera sul vuoto, Bruno Galluccio, Einaudi. Con un’intervista di Giovanna Rosadini

G.R.: Il tuo ingresso nel mondo della poesia italiana contemporanea con Verticali (Einaudi 2009), che non a caso fu un esordio nella prestigiosa Collana bianca, ne ha arricchito e svecchiato il panorama, introducendo il sapere e la conoscenza scientifici nell’ambito di una tradizione per lo più lirico-petrarchesca. Concetti come spazio, tempo, materia, luce, particelle elementari sono entrati a far parte del repertorio poetico, con le loro sostanziali implicazioni per la vita dell’uomo e la visione e comprensione del mondo. Poetica coerentemente ripresa e sviluppata nel tuo secondo libro, La misura dello zero (Einaudi 2015), in cui allarghi il discorso alle rivoluzionarie scoperte scientifiche dell’ultimo secolo e mezzo, quelle che hanno sovvertito e stravolto la nostra nozione e idea del mondo fisico, e quindi il nostro modo di pensare e di sentire. A breve (il 30 agosto) sarà in libreria la tua terza raccolta, Camera sul vuoto, che conferma una fedeltà editoriale (ancora una volta a pubblicarlo sarà Einaudi, per i tipi della “Bianca”) e tematica, con quel termine, “vuoto”, nel titolo che sembra richiamare lo “zero” del libro precedente… Ce ne vuoi parlare?

B.G.: Il libro presenta la caratteristica globale di svilupparsi lungo diverse direttrici che interagiscono, entrano in contrapposizione, si sovrappongono o rimangono problematicamente separate.

Vorrebbe essere una veduta di insieme sulla storia dell’universo come la possiamo percepire noi umani dal nostro minuscolo punto di osservazione e come la immaginiamo proiettata nel futuro. Si inizia quindi con le controverse ipotesi sulla sua nascita e la connessa problematica del concetto di tempo, poi la progressiva formazione di aggregazioni fisiche complesse e il loro disperdersi, fino a che l’attenzione va a focalizzarsi sulla dimensione storica della specie umana. Dimensione che a sua volta si frantuma in elementi collettivi e individuali distribuiti su scale temporali di ampiezza molto differente. Nello scenario ampissimo si inseriscono quindi elementi che fanno da contraltare all’immenso contesto: la storia di come abbiamo acquisito la conoscenza, lo smarrimento al quale essa ci pone di fronte, i decisivi mutamenti di prospettiva della fisica contemporanea che sovverte i concetti intuitivi di spazio e tempo e le modalità con cui interagiamo con la materia e con cui le particelle di materia interagiscono tra loro. Fino al livello più elementare: le storie individuali minimali che amplificano la potenza dello spettro che intendevo delineare.

Nel libro la scienza non rimane al livello di associazioni metaforiche, ma è tema continuo e ricorrente. Essa viene osservata nel suo processo di acquisizione, come prodotto umano tra i più sorprendenti, appaiono le tappe di accumulo di questo enorme bagaglio, le controversie ricorrenti, e per contro il mistero di interrogativi addirittura crescenti, a cominciare dalle dimensioni e dalla forma del contesto spazio-temporale in cui ci troviamo. E, punto fondamentale, come la specie umana, nelle evoluzioni storiche e nei minimi vissuti individuali, attraversa i cambi di paradigma che si sono succeduti.

Si potrebbe quasi dire che il titolo del libro può anche tramutarsi in un interrogativo: cos’è la tua camera e qual è il tuo vuoto?

 

G.R.: Tu sei fisico di formazione, e ti sei occupato per lavoro di telecomunicazioni e sistemi spaziali. Come ti sei avvicinato al linguaggio poetico? È un ambito che ti appassiona da sempre, e hai sempre coltivato, o ci sei arrivato col tempo, magari attraverso la lettura di autori particolarmente stimolanti?

B.G.: Durante il percorso degli studi di fisica le mie energie intellettuali erano in massima parte coinvolte nell’apprendimento delle impegnative materie di esame. L’avvicinamento alla poesia, che pure già avevo amato durante il liceo classico, è stato graduale ma fortemente desiderato, e ha acquisito col tempo crescente energia. L’avvio del processo fu tra i più naturali: ebbi occasione di leggere a distanza di poco tempo due antologie di poeti italiani e stranieri del “900 dei quali negli studi liceali avevo saputo ben poco. È noto che la lettura, anzi l’incontro ad ampio spettro, di autori particolarmente stimolanti e fino a quel momento ignoti, costituisca il seme di curiosità per altra lettura in una catena di collegamenti che ha il solo limite di essere non sistematico; e in questo modo il mio bagaglio di poeti noti si allargò. Senza fare graduatoria dei poeti che amo di più oggi, mi piace ricordare che in particolare la lettura di Paul Celan ebbe per me un effetto dirompente.

 

G.R.: Linguaggio scientifico e linguaggio poetico hanno dei punti di tangenza, a tuo avviso? Cosa può imparare la letteratura dalla scienza?

B.G.: Da una riflessione di primo livello appare che il linguaggio scientifico e quello poetico hanno caratteristiche espressive e strutturali lontanissime l’uno dall’altro, addirittura agli antipodi. Il linguaggio scientifico deve essere preciso, non dare adito ad ambiguità, coprire tutti i casi osservabili dell’ambito cui fa riferimento; se qualcuno di questi requisiti viene meno a seguito di ulteriori osservazioni, bisognerà modificare di conseguenza la formula descrittiva. La forza del linguaggio poetico, pur partendo da osservazioni consapevoli e da elaborazioni di ciò che emerge nel mondo naturale e sociale o in quello interiore, esprime quanto osservato con un margine di ambiguità, di indeterminatezza, di sfocatura o addirittura operando un capovolgimento. Tutto ciò per ottenere un quadro complessivo più incisivo e per dare più forza all’assunto sottostante.

Ma se spostiamo di poco il punto di vista e ci avviciniamo al territorio dell’effetto estetico, allora le considerazioni cambiano segno e si aggiunge una dimensione in più.  Si sente quindi affermare giustamente che una formula matematica o di fisica può avere una sua intrinseca bellezza. Con ciò si intende che gli elementi del linguaggio matematico possano presentare qualità in grado diverso: ad esempio che siano concise, che abbiano una loro simmetria interna, oppure simmetria rispetto ad altre formule della stessa branca di quella scienza e infine, punto fondamentale, che coprano in maniera essenziale il maggior numero di casi possibili.  Questi requisisti si applicano alle formule della matematica pura che continuamente espande i propri confini, ma in maniera ancora più tangibile alla fisica dove, ad esempio, le ricerche variamente attinenti “la unificazione di teorie” derivano da una spinta fondamentale che tenta di includere in una stessa cornice generale i risultati di svariate teorie. In queste considerazioni non ovvie vedo attinenza con l’ambito letterario, forse meno alieno, che aspira a includere moltissimi elementi e amalgamarli senza risultare ridondante.

 

G.R.: Scrivendo si fa esperienza del mondo, se ne indaga il funzionamento in cerca di una verità che non può che essere soggettiva e legata all’interiorità emotiva di chi scrive. Ma, ha scritto il neuroscienziato Giorgio Vallortigara in un mirabile articolo su Atlante occidentale di Daniele Del Giudice, romanzo che parla dell’amicizia fra un anziano e affermato scrittore e un giovane fisico, “sul tema della natura delle esperienze sono destinati prima o poi incontrarsi lo scienziato e l’artista…”. Laddove anche il primo può definirsi “uomo di passioni”, come Mark, un altro dei personaggi del romanzo, capace di calcolare integrali di parecchie cifre senza scriverli, a memoria, perché “i numeri danno i numeri, bisogna sentirli”. Posto che scienziato e artista paiono coincidere nella tua personalità autoriale, immagino tu sia d’accordo con l’affermazione di cui sopra… Quanto a queste due anime, a parere di chi ti legge paiono in grande armonia fra di loro, tant’è vero che i tuoi testi sono accessibili anche a chi ha solo un’infarinatura generica di fisica. Questo corrisponde alla tua percezione? O ti senti più definito in un modo o nell’altro?

B.G.: Sono pienamente d’accordo sul fatto che lo scienziato e il poeta siano accomunati da una identica sete di sapere, e contemporaneamente da una spinta a creare il nuovo: inventare storie significa osare percorsi inesplorati così come il germe di una nuova ipotesi scientifica nasce dall’osare mettere in discussione teorie consolidate. Una curiosità inesauribile che li porta non soltanto a porsi domande inusuali, ma anche a dare spazio senza preconcetti alla propria creatività. Tuttavia lo scienziato ha l’ulteriore compito di mettere alla prova le proprie intuizioni con analisi trasversali e ideando ulteriori esperimenti, per verificare i limiti o la compatibilità con altre teorie. Quindi alla passione e alla creatività bisogna aggiungere l’apertura mentale di mettere in discussione quanto ipotizzato, di non considerare nulla come una conoscenza che rimarrà valida per sempre in quella forma. Perfino in matematica pura c’è una gara a trovare dimostrazioni di teoremi che siano più “eleganti” nel senso di più lineari, meglio generalizzabili e con maggiori legami ad altre teorie. Ma anche questo processo mi sembra non troppo distante da quello analogo della creazione letteraria che fa evolvere in continuazione stili e tematiche già sperimentate, pur se in questo ambito gli strumenti di “verifica” sono di tutt’altro genere.

 

G.R.: La tua è una poesia che, partendo dalla scienza, e metaforizzandola, arriva all’uomo, con le sue fragilità legate all’impossibilità di pervenire a una comprensione e definizione certa e univoca del mondo, ma anche, come abbiamo visto nelle raccolte precedenti, al tema della mancanza e della perdita. Così come riuscire a pensare lo zero, stando a quanto sembrano suggerire i tuoi libri precedenti, è la misura del nostro esserci, e diventa una possibile risposta, la poesia dà forma alla nostra vita, esorcizzando quel “vuoto” sul quale ci sporgiamo?

B.G.: Questa domanda merita una piccola premessa scientifica. Il concetto di zero ha avuto ad ha una rilevanza e implicazioni concettuali del tutto particolari sia in matematica che in fisica. Basti pensare che lo zero fu introdotto nella numerazione molto tardi e nella matematica europea addirittura all’inizio del “200. A parte le resistenze teologiche, anche molti matematici non lo consideravano un numero a tutti gli effetti. Del resto tutto il percorso della matematica è andato avanti per estensioni più astratte e coraggiose a partire da elementi intuitivi.

Problemi ancora più complessi si pongono in fisica, dove lo zero dovrebbe corrispondere al minimo di una quantità fisica o all’istante iniziale (o finale) di un processo. Il problema è se questo minimo esiste e se è raggiungibile. Con una espressione che direi poetica quando il problema si pose in termodinamica si coniò per la prima volta il termine suggestivo di “zero assoluto”. Il problema di una quantità tanto piccola da “tendere” allo zero si pone in molti ambiti della fisica: dal big-bang ai buchi neri, all’ipotetico vuoto tra i corpi celesti, al crearsi e all’annichilirsi di particelle elementari. Tutti questi problemi di “vicinanza” allo zero presentano complessità di ordine matematico e di verifica sperimentale che appaiono spesso irresolubili. Una prateria di problemi da esplorare, ma anche un insieme di quesiti che ci trasmettono un senso di smarrimento, di inconcepibile, che si estende fino a coinvolgere l’ambito della riflessione esistenziale come disorientamento e quasi abbandono. Quindi certamente con le teorie tendiamo di esorcizzare il vuoto (o lo zero), ma entriamo anche in contatto con concetti che aumentano quel senso di inquietudine e smarrimento. Nel libro ho toccato questo tema sia in relazione alla riflessione intuitiva da profani, sia agli studi degli scienziati, sia a quello sfiorare casuale di tali temi nelle nostre esistenze individuali: per esempio quando ci raffiguriamo gli abissi di vuoto dello spazio e gli abissi di vuoto del tempo passato e futuro.

Per quanto concerne la parte della domanda che riguarda nello specifico la mia scrittura, effettivamente ho prestato attenzione a mantenermi in equilibrio, come su di una corda sospesa, nell’uso di espressioni scientifiche: per i termini che sono entrati nel linguaggio comune non mi sono preoccupato, per altri ho cercato di inserire nei versi stessi elementi che aiutassero a identificarne il significato (ad esempio quando tratto dell’entropia), e per altri ancora credo che , considerato il contesto in cui sono inseriti, non sia tanto importante per il lettore conoscerne il significato preciso: non è fondamentale ad esempio sapere con esattezza come si caratterizza un quasar o cosa sia un esotico termine matematico che sta lì per esemplificare un ambito problematico della disciplina. Importante è che la sua presenza renda più netto il quadro di insieme. Meglio ancora se poi il lettore incuriosito è spinto a fare indagini in merito.

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all’inizio non fu la luce

quell’ammasso di particelle non ancora atomi
era disgregato rovinoso opaco
radiazione che rimbalzava a caso
polvere delle polveri

dovettero passare trecentomila anni
prima che venisse espulsa la luce

da quel momento in poi emersero le tracce
che noi possiamo cogliere dell’universo bambino

*

luce che si sporge sulle lacrime nere
l’ombra del treno sugli alberi
per un sole cosí basso al tramonto
da proiettare le ombre verso l’alto

cosí si capovolge il mondo

il discorso del corpo si va interrompendo
in un fango bruno
siamo fatti per il buio
per l’estate che finisce
per i vetri che ci separano dalle cose

nell’inverso dei tempi in quella zona scura
in cui a volte si aprono sorrisi e confessione
e si tenta una vertigine del mondo

il sovvertimento delle statue
i marmi che rimangono marmi
e di speranze il corpo immobile

*

nel riflettersi della luna sul lago
la luce bianca si traduce nell’acqua

non siamo sempre stati qui ma pensiamo
che ci staremo sempre

la luce tradotta ci dice di altre alterazioni
di paesaggi in bilico tra opposte trazioni

di civiltà cadute sul fondo
di singole vite cadute

si cerca qualcosa che ci agganci
al giorno successivo alla meta minimale

alle grandi ali dell’universo
ali che non possiamo sperimentare

ma l’inseguirle ci impegna la mente

© 2022 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

© Fotografia di Dino Ignani