Beatrice Zerbini, tre inediti

Non mi tolga tutto il lutto, dottoressa,
me ne lasci la metà;

io non voglio che il mio cuore
sia sgombro per intero,
mi lasci la mancanza:

faccia male di notte,
se non dormo, ma se dormo,
se possibile, vorrei
non svegliarmi nel buio,
come se
non potessi respirare.

Mi tolga
l’impossibile che è che non si possa
più ascoltare la sua voce
e lo squillo del telefono mai suo
quando compio un altro anno
e non vorrei.


Mi lasci continuare
a guardare fissamente


se qualcuno beve
il caffè nel vetro


e faccia che io pianga
sulla torta di riso;
mi tolga il grido, se può,
la testa che sbatte,
il nero che fa
la fine.

Non mi resta che
la mancanza che è:
e se è il dolore che riempie
come un corpo
il mio corpo,
me lo lasci per metà.

Non voglio perdere
che ferisca
la lama che non taglia dei suoi occhi;
Tolga il lutto che inginocchia,
che non crede, che mi chiude
in casa.

Mi lasci che mi facciano
male i fiori
ma non tutti,
solo quelli arancioni.

****

A Nicoletta Bidoia

Sono preghiere che sono
capriole a srotolarti il prato dei polsi
a rifiorirti da dentro, fino al miele che placa
la tosse dei giorni, degli accidenti;

sono momenti, figurini in bianco e nero e soli
da ritagliare, panchine verdi
per rifiatare e poi un ballare
e ballare e sono
polpacci soprattutto
e sono abbracci;

sono tutto un aprirsi
di cancellini con dietro
il sorriso di tua madre e che tuo padre
stia bene ed è –
nei fiumi delle braccia,
con i sassi addormentati –
l’azzurro dei pesci e sono
piccole occasioni
a risalire la corrente
quando non speri più
in niente e una rima è,
da raggiungere con il treno la domenica,
Venezia che venga
lei da te qualche volta e sono
venerdì tutti i giorni della settimana
e cinema pomeridiani e viaggi programmati
per tempo, come ti piace
ed è la pace, semplicemente.

Sono
le corse, un salto, i gomiti lievi

e le dita che si piegano e si alzano,
la sbocciatura delle nocche
un inginocchiarsi solo ai miracoli quotidiani
e la festa che fanno i cani;
ma ora basta,
fai presto,
apri!

****

Potrei scriverti una lunga
lettera,
per spiegarti con parole
– se lo vuoi –
di che cosa tu mi spogli,
come tu abbia fatto piccolo
questo corpo amato male.

Ma rimanevo nel cortile,
seduta sui gradini,
nei primi pomeriggi
digeriti dagli anziani
nei letti di sopra
delle case popolari:
e da lì ti scriverei
con la mano più grande,
con l’identico cuore:

io sono una che piange
una cornacchia che sguazza
nel parcheggio soleggiato
sullo svincolo.

Nel becco,
con la mia identica gioia
divora un grande pezzo
di carta stagnola.

Beatrice Zerbini è nata il 17 gennaio 1983 a Bologna, città che le ha permesso, già̀ dal 1987, di dedicarsi allo studio del ritmo e della parola, grazie al celebre coro, diretto da Mariele Ventre, di cui ha fatto parte. A otto anni, ha iniziato ad avvicinarsi alla lettura e alla scrittura di poesie.

Nel 2006, ha aperto la pagina online di racconti tragicomici, e di poesie “In comode rate”, ma solo nel 2019, incoraggiata dai riconoscimenti da parte di alcuni critici, ha cercato e ottenuto la pubblicazione. In comode rate. Poesie d’amore (edito da Interno Poesia) è la sua opera prima in versi, ad oggi alla V ristampa.

Testi e recensioni della raccolta sono comparsi in importanti riviste poetiche e in trasmissioni radiofoniche e televisive (Tv7 – Rai Uno, il Sabbatico – Rai News 24, Fahrenheit – Rai Radio 3). È stata ospite di diversi Festival e rassegne. 

A giugno 2021 è uscito il libro Mezze Stagioni, una piccola raccolta di prose e suggestioni poetiche (per la collana Piccole Gigantesche Cose della casa editrice AnimaMundiOtranto). Dall’inizio del 2020, sta inoltre dedicandosi ad un progetto a sostegno delle famiglie dei malati e delle malate di Alzheimer, diventato, nella primavera 2021, anche uno spettacolo teatrale di musica e poesia, portato in diverse piazze del territorio emiliano-romagnolo.