Atelier n. 103 – Una comunità che si interroga – settembre 2021

Atelier n. 103 – Una comunità che si interroga – settembre 2021


Editoriale

5        Una comunità che si interroga

Giuliano Ladolfi

7        In questo numero

Giulio Greco

Saggi

8        «Nei sogni ciascuno è poeta». Il serbatoio onirico di Durs Grünbein

Chiara Conterno

20      L’oro del desiderio e i fiori della morte. La poesia di Vivian Lamarque

Paolo Lagazzi

27      Post tenebras spero lucem

Giancarlo Baroni

34      «Ero partito molto prima del disastro»: Solstizio di Roberto Deidier

Carlangelo Mauro

Dibattito

49      Il linguaggio abusato e la resistenza della poesia

Alessandro Moscè

Intervista

53      Paolo Fabrizio Iacuzzi: lo sdoppiamento come apertura verso il mondo

a cura di Michele Bordoni

Voci

63      Alessandro Anil Biswas – L’acqua della nostra sete presentazione di Mario Famularo

65      Testi

75      Maria Borio – inediti Dal deserto rosso presentazione di Giovanna Rosadini

77      Testi

82      Alessandra Corbetta – Il lato migliore del sole presentazione di Luca Ariano

84      Testi

90      Samir Galal Mohamed – Convincere a rimanere presentazione di Mario Famularo

92      Testi

96      Gli autori


In questo numero

Nell’Editoriale Giuliano Ladolfi individua nella svolta sociale causata dalla pandemia il tempo opportuno per interrogarci sulle motivazioni dell’insignificanza della produzione poetica contemporanea nella cultura italiana. Nutrita di suggestivi testi è la sezione Saggi, aperta dal lavoro di Chiara Conterno sul poeta tedesco Durs Grünbein: scopo dell’articolo è riflettere sulla sua teoria onirico-poetica attraverso le scorribande letterarie e scientifiche presenti nel Serbatoio dei sogni. Segue una ricognizione del percorso poetico “semplice e terso” di Vivian Lamarque, in cui Paolo Lagazzi rintraccia il tentativo di superare lo strappo infantile dell’abbandono per approdare all’immensità e alla varietà delle cose e per prospettare un orizzonte di speranza. Giancarlo Baroni affronta tramite il ricorso alla letteratura, alla filosofia, alla psicologia, ai film, all’arte uno dei problemi esistenziali più coinvolgenti: la morte, ponendo in luce l’insoddisfazione di ogni sforzo compiuto per prospettare una soluzione; è la consapevolezza più tragica del limite umano… ma post mortem spero lucem. Della raccolta Solstizio di Roberto Deidier Carlangelo Mauro segue una traccia ben precisa: la poesia come ricerca della “forma” attraverso il recupero della metrica tradizionale che, all’interno dell’ossimoro luce/ombra, ritrova tutta una serie di implicazioni tra luoghi, storia e mito. Il Dibattito è suscitato da Alessandro Moscè che individua nella poesia, considerata un capolavoro di umanità, di esperienza e testimonianza, il mezzo per uscire da un presente, sovraesposto a una comunicazione che limita l’uso del linguaggio e quindi della comprensione. Paolo Fabrizio Iacuzzi, nell’Intervista di Michele Bordoni, chiarisce che all’interno della dimensione epica e lirica delle sue raccolte va individuato lo sdoppiamento dell’io lirico, quale manifestazione della disintegrazione del soggetto proprio della fine della Postmodernità. Assai interessante la rubrica Voci, nella quale vengono pubblicati testi di quattro giovani poeti, selezionati da Giovanna Rosadini. Mario Famularo di Alessandro Anil Biswas pone in luce una particolare sensibilità filtrata attraverso l’assimilazione di diverse culture che contribuiscono, nonostante l’apparente forma narrativa, a un dettato poetico sostanziato di saggezza e di ricerca umana. Maria Borio, secondo Giovanna Rosadini, presenta nella silloge uno «spostamento verso una dimensione del dire anche in prima persona, e a una lingua più ancorata a riferimenti concreti e reali, sia pure in un impianto dove dominano la visionarietà e […] lo straniamento». In Alessandra Corbetta Luca Ariano nota un tipo di lirica indirizzata a cogliere la cultura e la mentalità giovanile della fine degli Anni Dieci del nostro secolo, rivissuta attraverso i ricordi personali. Samir Galal Mohamed, secondo Mario Famularo, indaga il rapporto tra linguaggio e memoria, evidenziando la distanza tra il mondo enunciato e il mondo in se stesso.

Giulio Greco


Editoriale

Una comunità che si interroga

Diverse volte sia negli editoriali sia negli studi ci siamo serviti della categoria sociologica della “liquidità” individuata da Zygmunt Bauman per interpretare la situazione fenomenologica contemporanea e, nel nostro caso, della poesia. Dopo la fine delle “grandi narrazioni” (J-F. Lyotard) che hanno contraddistinto il periodo che va dalla Rivoluzione Francese agli Anni Settanta del secolo scorso, la società occidentale ha vissuto rapporti all’insegna della “fluidità” (l’Età Globalizzata): nessun confine, adattabilità, flessibilità, identità elastiche all’interno di vicende prive di direzione e di orientamento, in presenza del trionfo del neocapitalismo nella sua forma neoliberista, inneggiante alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Una simile situazione ha generato la convinzione di essere immersi in un mondo postmoderno, postcapitalista, postideologico, postdemocratico. L’argomento delle definizioni è già stato affrontato nel n. 79 (settembre del 2015) della rivista nell’editoriale dal titolo “Post” o “pre”?, ma l’inaspettata vicenda della pandemia ha impresso una decisa svolta nella situazione che non potrà non riflettersi anche nel settore della cultura. Tutte le “fini” annunciate, secondo il sociologo Ambrogio Santambrogio, hanno prodotto il risultato di fomentare una propensione rinunciataria, un’indolenza, un livellamento, come si può costatare nella scrittura in versi. Se non esiste più prospettiva e tutto si “liquefà” in mancanza di princìpi critici, di capacità di selezione e di valorizzazione di autori meritevoli, come pure in disinteresse per le raccolte di poeti contemporanei; viene meno anche la responsabilità dell’università, delle case editrici, dei mass media, degli intellettuali e non si corre neppure più il pericolo di sbagliare nei giudizi. Tutto è ridotto a spettacolo, a intrattenimento, a divertissement. Pare che la poesia si aggiri esclusivamente nell’àmbito di individui senza società letteraria. Potrebbe l’eccezionalità dell’attuale momento storico provocare una vera e propria “svolta”? Ogni previsione è azzardata: da un lato, constatiamo che la necessità è ampiamente condivisa da parte degli operatori del settore, dall’altra notiamo che si fatica a calare una tale esigenza all’interno della realtà. Creare una struttura “solida” è senza dubbio un’esigenza “vitale”, però individuarne la strada non è affatto semplice, perché ricercare nel passato, nell’epoca moderna in particolare, le soluzioni comporta la certezza del fallimento. Dal momento che ultimamente la cultura italiana è rimasta priva di concezioni ideali condivise, chi lavora in questo settore non può non avvertire l’urgenza di costruire un modello per ridonare alla poesia quella dignità che ha rivestito nella nostra tradizione da Omero fino al secolo scorso. Ma, finché lo sforzo e la responsabilità saranno delegati alla buona volontà del singolo, non si troverà la soluzione: la liquidità non sarà superata. «Possedere un luogo, in cui ci si sente in qualche modo legati, avere delle relazioni significative attraverso le quali ci riconosciamo, collocate nel tempo e nello spazio» (Ambrogio Santambrogio) rappresenta l’obiettivo primario. «Non ci si salva da soli» si continua a ripetere di fronte alla pandemia; non si esce dall’insignificanza sociale della poesia se non mediante una vigorosa generale assunzione di consapevolezza che tale settore letterario rappresenta uno degli strumenti più efficaci per la formazione personale e sociale a tutte le età. E la duplicità sinergica di un simile orizzonte prospettico si basa sulla concezione che l’essere umano non è mai dato in se stesso, ma solo nella determinazione della concretezza relazionale di chi condivide origini, storia, linguaggio, pensiero, ambiente e fisicità. Da ciò si deduce che senza un impegno collettivo ogni sforzo è destinato a naufragare nel cerchio della sterile individualità. Contro l’«estetica dell’effimero» (A. Berardinelli) è necessario il lavoro di un’intera comunità, una «comunità recettiva» si diceva nell’editoriale di «Atelier» n. 83 (settembre 2016), che concordemente, per mezzo del reciproco arricchimento di posizioni diverse, contribuisca a rifondare il percorso culturale attuale. Una via per edificare questa comunità potrebbe essere racchiusa nell’esigenza di non partire dal prospettare soluzioni, ma dalle domande. «Noi siamo una domanda. Siamo abitati nel tempo, nelle diverse stagioni della nostra storia per tante domande. Il primo passo è che una persona possa ascoltare le domande fondamentali» (José Tolentino Mendonça). Oggi più che mai la poesia costituisce una domanda radicale – radicale e, pertanto, invisibile, sotterranea, ma essenzialmente vitale –, alla quale ci accorgiamo, per quanti sforzi si siano messi in atto, di non aver trovato risposta: quali le cause della mancanza dell’odierna considerazione per la scrittura in versi in Italia, la patria di Dante, di Petrarca, di Foscolo, di Leopardi, di Montale, di Luzi? Perché la quasi totalità degli insegnanti, degli studenti in Lettere e delle Scuole Superiori non conoscono il nome, non dico un’opera, di un nostro poeta vivente? Perché i mass media nei programmi culturali trascurano questo settore? Perché le proposte che vengono avanzate non trovano il terreno fertile per un dibattito collettivo? A questo punto non resta che porsi un interrogativo ancor più basilare: sono queste le domande che oggi dobbiamo porci? Una rivista militante come la nostra vive intimamente la responsabilità, assunta nel momento stesso della fondazione, di affrontare questo nodo: si tratta di una responsabilità che va oltre il nostro interesse e le nostre stesse posizioni e che coinvolge non soltanto la storia della letteratura, ma la vita stessa nella sua vulnerabilità. E questa responsabilità oggi si configura come impegno per trovare una nuova esperienza nell’individuazione di una nuova dinamica creativa al di fuori di ogni ricetta e nel porsi in un ascolto ancora più profondo della realtà. Non siamo all’oscuro del fatto che ci troviamo di fronte a un compito interminabile: lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle nella tensione di rinnovarci continuamente durante tutti e tre i decenni di attività, e non per sottometterci alla “liquidità” contemporanea, ma per proiettarci oltre la situazione contingente, senza temere di lasciarci sorprendere dai cambiamenti sociali e senza smettere di porci interrogativi. Consapevolezza e impegno: questi gli obiettivi soprattutto nell’epoca pandemica e postpandemica, che per noi non costituisce un limite, ma un’opportunità che condividiamo con l’intera umanità senza rincorrere il passato, se non per trarre insegnamenti privi di intenti di riproduzione, perché oggi più che mai si presenta la necessità di “costruire” dalle fondamenta un vero e proprio spazio di stima per la poesia, per una poesia capace di parlare all’essere umano dei suoi grandi problemi. Non possiamo prevedere se, quando e come il seme lanciato sul terreno culturale germoglierà. Avremo però la fiducia di aver profuso responsabilmente il nostro impegno a favore di una causa di fondamentale importanza per la nostra comunità.

Giuliano Ladolfi