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Atelier 95: L’editoriale – Per un’estetica personalista a cura di Giuliano Ladolfi

copertina Atelier 95

Atelier 95

L’editoriale

Per un’estetica personalista

 

 di Giuliano Ladolfi

(Un estratto)

Fin dai primi numeri di «Atelier», dalla metà cioè degli Anni Novanta, ci siamo lamentati dell’omertà della critica; per questo motivo dichiarammo i limiti dello Strutturalismo in un periodo in cui tale sistema regnava incontrastato nelle università e nei saggi; per questo Marco Merlin si accinse a rivalutare la poesia degli Anni Ottanta e Novanta, da molti dichiarata morta; per questo proponemmo una rilettura delle composizioni in versi dell’intero secolo, ponendo in adeguato risalto la tradizione.
Ma tutto questo lavoro avrebbe corso il pericolo di una “fluida” frammentazione, se non fosse stata supportata da un preciso pensiero estetico, in grado – almeno nelle intenzioni – di ovviare ai limiti descritti. Ne derivarono molteplici iniziative testimoniate dalla vicenda della rivista e delle pubblicazioni collegate.
L’analisi di una concezione così “fondativa”, così “impegnativa” non può essere limitata nel tempo; l’essenza stessa della “militanza” esige continue crisi, approfondimenti, revisioni, dialogo, dibattito, anche perché le idee, pur avendo trovato una sistemazione logica nel primo tomo della pubblicazione La poesia del Novecento: dalla fuga alla ricerca della realtà, vanno sottoposte a ulteriori experimenta crucis.
Ritorniamo su questo argomento non per autocompiacimento narcisistico, ma per la necessità suscitata dalla difficoltà che incontriamo nel promuovere una corretta visione della poesia italiana contemporanea. Oggi stiamo assistendo a una produzione di qualità, la quale viene sommersa da uno squallore desolante, reso più acuto dall’indifferenza massmediatica, dalla scuola e dai circuiti distributivi. Manca il gusto per la bellezza, per la profondità, manca quella saggezza che sappia rapportare il testo con la realtà, manca un supporto politico che sia in grado di superare le meschinità dei giri di conoscenze e delle clientele o degli interessi.
Ci siamo accorti che la nostra voce non “grida più nel deserto” perché le nostre posizioni sono ampiamente condivise, come pure condivisi sono anche i nostri principi estetici e questo rappresenta per noi un supporto morale di notevole importanza.
Dopo anni di pratica sul campo, siamo giunti alla definizione del nostro modo di condurre la critica letteraria mediante la formula “critica personalista”; ci siamo decisi ad assumere questa indicazione perché, se da una parte ogni formula “de-finisce”, cioè limita l’estensione di un concetto, dall’altro permette una comunicazione più semplice e più immediata.
Il termine stesso indica che esiste una precisa derivazione dalla filosofia di Emmanuel Mounier e di Jacques Maritain, cui va unito l’apporto filosofico ed ermeneutico di Martin Heidegger, Hans-George Gadamer, Paul Ricoeur, senza dimenticare lo straordinario magistero di Luigi Pareyson, la cui posizione si è attualizzata in una precisa metodologia che imprime valore, argomentazione e consapevolezza a ogni valutazione.
Una tale impostazione valorizza una poetica di carattere “realistico”, non nel senso che ricerca una rappresentazione paura e semplice della realtà, non nel senso puro e semplice che si attiene alla cronaca, ma chesi presenta come espressione di una persona, unica e uguale agli altri, che percepisce, vive e comunica la propria condizione a sé e agli altri attraverso uno strumento, il linguaggio poetico, che è unico e comune.
In secondo luogo, nel concetto di “personalismo” non ci si limita alla muta descrizione di un evento interno e esterno, ma va compresa l’apertura alla ricerca, all’interrogazione, al senso dell’esistere personale e universale. Pertanto, il reale “detto” significa se stesso e altro. Il valore della poesia consiste appunto nel trovare un modo di comunicazione che è contemporaneamente ciò che è e ciò che significa, cui di cui è segno.
Se il concetto di una persona, che nel suo essere è contemporaneamente individuo e società, è l’elemento che sorregge l’intero edificio concettuale, poetico e critico ne deriva che la poesia, come l’essere umano, è storia, tradizione, cultura, interpretazione del mondo, esistenza, e contemporaneamente innovazione, originalità, aspirazione, speranza, proiezione nel futuro.
“Dire” la persona comporta “dire” sinergicamente il suo duplice irriducibile, contraddittorio e incoerente aspetto, il quale soltanto dall’arte può essere rappresentato e non dalle scienze, dalla filosofia né da ogni sapere categorizzato. Il volto autentico di un’epoca va ricercato unicamente nell’arte, perché solo nell’arte l’uomo può esprimere tutto se stesso. Il modo in cui l’artista si esprime, poi, non può essere rigidamente determinato, ma va lasciato alla grandezza del singolo e va valutato unicamente in base ai risultati, talvolta anche a distanza di secoli. Come si vede, non sono prese in considerazioni le categorie del bello o del brutto né della perfezione o dell’imperfezione, ma si opera riferimento al modo più autentico di espressione che va cercato soltanto nell’originalità dell’autore stesso, senza confondere originalità con superficialità o artifizio. Lo stile, pertanto, va considerato strumento e non fine, e si invera soltanto in rapporto alla rappresentazione, come strumento descrivibile e catalogabile e formalizzabile soltanto a posteriori, cioè dopo che l’opera è stata realizzata, per il fatto che l’istanza realistica personalista non è mimesi pura e semplice dell’esistente, ma riproduzione viva e palpitante dell’esistente.