Antonio Francesco Perozzi – Inediti

Antonio Francesco Perozzi è nato nel 1994 e vive a Vicovaro, in provincia di Roma. Il suo ultimo libro è Lo spettro visibile (Arcipelago Itaca, 2022, introduzione di Pasquale Pietro Del Giudice, segnalato al Premio Montano 2021, vincitore del Premio Paolo Prestigiacomo Under 40 2022). Suoi racconti, articoli, poesie, lavori visivi e sonori, sono apparsi in riviste, antologie, giornali e blog. Collabora con Grado Zero, Polisemie, La Balena Bianca, lay0ut magazine e utsanga. Per Poesia del nostro tempo cura la serie di interviste “Dialoghi”. Gestisce a sua volta un blog di scritture, La morte per acqua, e conduce il podcast “Spara Jurij”.

 

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Astigmatismo: alcune ipotesi

Per convincermi che andasse tutto bene
sono uscito alle quattro.
Ho raggiunto via Gonfo che è sollevata
tra campi brulli e pali della luce.
Che io veda delle macchie – ho pensato –
che io veda come dei vermi, tra la pupilla
e il mattonato, che abbia spesso mal di testa e spossatezza,
potrebbe voler dire qualcosa. Esempi:
– i diavoli mettono alla prova la nostra tenuta
a partire dalla salute
– la forma degli oggetti è un sogno
e io ho smesso di crederci
– l’acqua del nord-est contiene poco calcio
e questo conduce alla pazzia
Rientrando comunque ho bevuto.
La camminata mi ha messo sete e bere
è straconsigliato per i miopi.

 

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Passeggiata + internet

Tenere in tasca uno Xiaomi produce cosmi.
Capita che attraverso il paese
da casa mia in collina fino alla piazza
e mi pare di avere Chernobyl sulla coscia, non lo so,
come un dio che chiuso Instagram si sparpaglia.
Incontro nell’ordine: due mucche, una Hyundai,
mia zia, certi che odio.
Ma chiunque saluto è niente
rispetto all’arcangelo quadrato che mi accompagna.
Così il vento mi batte le tempie e il mio cranio
ha trentamila anni, è un tipografo fiammingo;
in salita faccio fatica ma le mie ossa
le trapassa una freschissima Via Lattea.

 

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Negozi ristrutturati

Posso fare un lungo elenco
di locali che non sono più come per lungo
tempo ho visto che fossero, entrandoci.
La Superal a Carsoli, la farmacia, eccetera.
E non è tanto il ricordo:
quando ci capito cerco in automatico
l’ingresso dal lato sbagliato, appaiono
macchine Hotwheels e Pokémon evanescenti
dove ora ci sono dentifrici e giochi nuovi.

Pensa essere sempre in viaggio e rimanere
di gesso se qualcosa cambia,
si ritrova cambiato, e la tua idea deperisce,
si squaglia come stagno sopra gli ultimi arrivi.

Quando esco sul piazzale, che è rimasto
lo stesso (sole + cemento), Graveler
mi coglie alle spalle: non esiste
più. Il suo pupazzo viene fuori dalle maglie
con scritto PYREX, che però sono strette,
incollate, nell’ex reparto giocattoli.

 

 

Fossalta

Vivere banalmente
è uno schioppo dalla Crai al bar,
una collezione di adesivi che alla fine
vinci un drago.
Fossalta, poca cosa
con un nome che non spiega
se va in basso oppure sopra, se
sul retro dell’Osteria Rialto è davvero la trincea
che si scavalca, o solo un dosso.
«HANNO SPARATO A HEMINGWAY»
lo scrivono dappertutto perché non è successo
nient’altro da ricordare: chiesa novecentesca,
modesta, una leggenda
sugli aironi. Così quando ritorno
la racconto in quattro frasi: «Come si vive?»
«Mese per mese, a contratto
determinato, passeggiando dieci minuti
sulla via principale.»
Al Roxy c’è il sole perché ha vetrate
larghe che trattengono il caldo. Torno indietro
e non trovo un minuto nel cervello
che mi abbia avvisato, magari nel sonno,
scendendo l’estate da un autobus,
rubando Lupo Alberto o vestendomi,
che alla fine sarei arrivato fin dentro
qua. In pochissima cosa.

 

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Sfere metalliche in volo

Ho un’immagine che mi sono costruito da solo:
sono delle sfere di metallo
grandi, sospese
venti metri sulla zona coltivata.
Le vedo – nel pensiero – salendo
sul bus che costeggia il Piave.
Il Veneto si presta a scavare allegorie
di questo tipo nel cielo – ad esempio
il tramonto qui è cianotico,
blu-viola, basso, cloud, robe del genere.
Oppure i tralicci dell’Enel che svettano sul grano
ancora non uscito mi danno le idee
di segnali captati dall’altrove, messi a terra
e convertiti in acciaio.
Allora approfitto della situazione e moltiplico
le sfere contro la capacità
della corteccia cerebrale. Alla fine
ne faccio seimila; io e l’autista
ci inoltriamo fino alla gola
e niente è più traccia di niente.