Antonio D’Alessio legge “Il filo rosso” di Wilma Ambrosio Ruccia

ruccia il filo rosso

Wilma Ambrosio Ruccia, Il filo rosso, Giuliano Ladolfi Editore, 2016
note di lettura di Antonio D’Alessio

 


      Dal titolo si comprende bene la chiave di lettura del volumetto: i racconti in esso contenuti altro non sono che diversi aspetti d’una medesima realtà; come un filo è costituito da un numero non ben definibile di particelle che si susseguono l’una dopo l’altra in sequenza e finiscono per rappresentare  un unico oggetto, così i quattro racconti presenti nel libro sono la rappresentazione della vita umana  che, colta nelle più varie sfaccettature, rimane pur sempre uguale a se stessa nella molteplice diversità della sua fenomenicità; in genere l’essenza profonda dell’esistenza appare in fieri e non nella concreta espressione del suo farsi nel momento stesso in cui si realizza;  essa, come concretezza dai contorni ben definiti,  è ravvisabile a distanza di tempo: solo allora è consentito capire quale atteggiamento avrebbe  disbrogliato il nodo gordiano dell’ingarbugliata matassa della vita; ma allora è tardi, perché quod factun, factum est.
      L’esistenza umana, simile a un eterno puzzle, si compone e si discompone senza che agli individui sia concessa la possibilità d’intervento per correggere il mosaico: gli uomini sono marionette mosse da un filo invisibile, da un fato imperscrutabile che decide a suo arbitrio a chi, come, quando, perché debba sorridere o non sorridere. La vita è una sequenza di esperienze  dolorose, di speranze deluse, di propositi mancati, di aspettative disattese, di rivalità, di lotte, di antagonismi, di egoismi e di sopraffazioni: ecco, allora, il filo rosso: rosso è il colore del sangue, della passione, della sofferenza; i risultati conseguiti dagli uomini sono frutto di propositi malcelati e di ambizioni ricercate con ardore.
      Lo scorrere della vita, mare magnum in perenne moto senza mai stasi alcuna, si configura agli occhi di coloro che si affannano per uscire dai gorghi dai quali stanno per essere sommersi, come un precario palcoscenico sul cui proscenio si avvicendano, di volta in volta, vari attori per narrare, ciascuno, le proprie peripezie costellate di affannose cure
      Le quattro donne, protagoniste dei racconti, hanno recitato la loro parte: esse sono state   desiderose di cogliere, senza però riuscire nell’intento,  il fiore della vita che per loro è stata intrisa di dolori intensi e desideri inespressi, di gioie sperate e mai appagate, di amori ricercati e non conseguiti. Carlotta, Nora, Giovanna, Marta, diverse per temperamento ed atteggiamenti, presentano qualche tratto comune: non hanno goduto appieno della vita;  l’amore è stato sempre un miraggio, la loro esistenza, mai veramente vissuta, ha inghiottito i sogni fugaci, le illusioni giovanili, le fantastiche chimere, gli ameni inganni.
      La fiumana della vita con impeto incontenibile si è impossessata di queste povere donne, che, fragili e incapaci di opporre resistenza, sono state trascinate nei vortici ingordi di abissi senza fondo: impotenti, esse, hanno assistito  al crollo  delle belle speranze e dei tanti sogni che la giovane età infondeva nei loro cuori. Un sentimento di umana solidarietà nonché di sconforto invade l’animo di chi legge: sorge spontaneo un senso di  pietà e di fraterna condivisione e non si comprende l’imperscrutabile ragione che, a volte, impone  sofferenza  e  dolore come ragioni supreme di vita.
      L’autrice,  dando prova di notevole sensibilità, ha  ben descritto il groviglio sentimentale che attanaglia le anime di queste creature: esse, come antiche statue di scultori greci,  sono colte nel precario equilibrio  che le vede  ferme in limine vitae, desiderose di compiere esperienze veraci  che risultano però precluse da un destino ostile. Un senso drammatico aleggia nei loro cuori: il perenne scontro tra una prometeica volontà di realizzazione e l’impossibilità di trovare un varco che consenta loro  di inebriarsi dell’aura vitale da cui sono circondate, conferisce ai personaggi un che di enigmatico che richiama certe atmosfere di alcune novelle verghiane o, anche, pirandelliane.
      Sorprendente è poi il modo con cui vengono descritti gli ambienti dove si muovono i personaggi: si impongono all’attenzione squarci di vita urbana improntati ad un realismo che ha il sapore delle cose gustate un tempo ed il cui ricordo ha lasciato l’eco nostalgica nella memoria; sfere di sole, soffi di vento, odori gradevoli, esposizione di mercanzie in vendita su bancarelle,  vicoli stretti, donne  indaffarate  che, agili, si aggirano tra la folla in cerca di acquisti convenienti, creano un quadro variopinto di colori  vivaci e di situazioni  comuni a noi tutti,  conferendo alla narrazione l’atmosfera di schiettezza e sincerità, che si ispira ai bisogni più semplici degli esseri umani.
      Un pregio non comune riguarda, poi, lo stile: il volumetto si legge d’un fiato; e non è cosa da poco!  I racconti hanno una carica emotiva che attrae il lettore, che, dopo aver scorso pochi  righi, avverte un fascino particolare e non riesce a staccare gli occhi dai fogli  stampati. Il discorso è condotto con sapiente regia: si passa con agilità dalla descrizione di una scena ad un’altra, e la narrazione fluisce come il corso dell’acqua di un fiume che procede sempre avanti finché non giunge alla foce: così il lettore, che, preso in mano il volume, allora lo posa quando  ha sfogliato tutte le pagine.
      L’esposizione paratattica consente che il testo si legga con velocità; l’uso del discorso indiretto libero  nonché il tono che s’ispira al parlato comune  mettono il lettore a suo agio: si crea subito un’atmosfera gradevole  e chi legge s’immedesima nella situazione descritta, compiendo un transfert quasi senza accorgersene. E questo è il segno più evidente  della bontà dell’opera.

Antonio D’Alessio