Andrea Donaera – Inediti

Andrea Donaera (Maglie, 1989) vive a Gallipoli, dove ha una libreria. Ha pubblicato, per l’editore NNE, i romanzi Io sono la bestia (2019) e Lei che non tocca mai terra (2021), entrambi tradotti in Francia da Cambourakis. È autore del racconto La notte delle ricostruzioni (Tetra, 2022) e di alcune raccolte poetiche – tra le ultime: Una Madonna che mai appare (nel XIV Quaderno italiano di poesia contemporanea, Marcos y Marcos, 2019) e I vivi. Un tremore (Fallone, 2022). Suoi testi e interventi sono apparsi su siti e riviste, tra cui “Poesia” di Crocetti, “Gradiva” e “Nuovi Argomenti”.

 

*        *        *

 

Dalla raccolta inedita “La zona nera”

 

1.

 

L’Alberto mi ha detto
che c’ha un quadernetto
dove segna i libri e i fumetti
che ha letto
ma che non possiede,
nel senso che i libri li scarica in formato .pdf
da un sito che non si capisce quanto è legale,
ogni tanto lo chiudono e lo riaprono, il sito,
comunque lui i libri li legge così,
e ’sti libri scaricati in formato .pdf poi li converte
in formato .mobi
usando un programma online gratuito,
e poi, in formato .mobi, li passa su un Kindle,
e legge i libri così,
su un Kindle con le pagine digitali,
un Kindle che lo ha rubato,
non si vergogna a dirlo che lo ha rubato, il Kindle,
ma non mi ha detto dove e come lo ha rubato,
mi ha detto solo che non si vergogna di dirlo che lo ha rubato,
e i fumetti pure li scarica in formato .pdf,
da un altro sito però,
uno che è proprio specializzato nella condivisione di fumetti,
non si capisce quanto è legale,
e poi questi fumetti in .pdf
se li legge direttamente dal computer,
non li passa sul Kindle,
che sul Kindle non si possono leggere i fumetti,
non supporta tutte le immagini, il Kindle,
specialmente quelle a colori,
e allora li legge direttamente guardando il computer,
seduto nella sua stanza
che in realtà è una specie di cubo
ricavato nel cortile della casa dei genitori,
i genitori,
che passano dei giorni senza che si vedono,
senza che si incontrano,
ora c’è pure la cosa che sono anziani,
fumatori,
obesi,
meglio evitare il contatto se si può,
non si sa mai,
anche perché lui comunque, nella sua stanza,
una specie di cubo,
si è attrezzato bene, c’ha un cesso, un lavandino
e pure un piccolo fornetto elettrico,
ogni tanto si scalda qualcosa,
anche se spesso mangia tramezzini,
mangia principalmente tramezzini,
quelli che apri la confezione e basta,
non c’è niente da scaldare,
ogni tanto comunque mi viene a trovare,
gli faccio un po’ di scottona,
che il medico gli ha detto che quelle occhiaie
sono sempre lì perché gli manca la carne rossa,
le occhiaie,
sempre lì,
e poi comunque gli fa piacere venire da me, ogni tanto,
che magari incrocia la Luisa,
che gli piace,
anche se l’ha vista poche volte
e sempre soltanto con la mascherina sul viso,
anche se lo sa bene che lui non fa proprio per lei,
non ci potrà mai fare niente,
almeno però, quando viene da me,
può capitare che la incrocia,
e la guarda, allora, ogni tanto, quando capita,
gli occhi, il culo, i capelli,
lo sa bene che lui non fa per lei,
«Oh, ma c’ha gli occhi proprio belli»,
mi ha detto una volta,
mentre masticava piano,
l’altro giorno, a pranzo,
sembrava sorpreso,
ha detto che ogni volta che la vede
si sente come quando c’è una pioggia fortissima
che ti sembra che si muove tutta la casa.

 

2.

 

La Luisa abita nell’appartamento accanto al mio,
fa finta che il mondo fuori non c’è,
esce soltanto per lavorare,
fa l’infermiera,
e il mondo fuori per lei è il mondo dei virus,
dei contagi,
delle sanificazioni,
con l’ospedale pienissimo di gente,
e tutto il resto invece è niente,
un vuoto fatto di strade
che dall’ospedale la portano
all’appartamento accanto al mio,
fa l’infermiera dal gennaio 2020,
una volta l’ho sentita che parlava
al telefono con sua madre,
le diceva che non si è goduta niente,
che prima di fare l’infermiera
lei era una che studiava per fare l’infermiera,
e le sembra che ha dimenticato cos’era la vita
«prima di tutto questo»,
tutto questo mondo da infermiera,
però, ogni tanto, una volta ogni due giorni più o meno,
viene la Rebecca,
che una volta ha suonato al citofono mio per sbaglio,
io ho chiesto chi era lei, ha detto «Amò, son la Rebecca»,
poi la Luisa si è affacciata alla finestra,
mi ha urlato delle scuse,
«Scusa è la mia morosa, ogni tanto è rintronata,
sbaglia le cose, tipo i citofoni»,
poi ho scoperto che la Rebecca
è rintronata perché lavora di notte,
nel capannone della Decathlon,
che sta a venti chilometri da qui,
fa i pacchi,
l’ho sentita dal muro sottile della cucina mia
che è attaccato alla cucina della Luisa,
l’ho sentita, la Rebecca,
che si lamentava con la Luisa,
le diceva che lei, fare i pacchi di notte,
non sa quanto dura,
e poi, come spesso accade,
l’ho sentite entrambe che piangevano,
e poi, come spesso accade,
silenzio, e un ronzio, e loro che gridano felici.

 

4.

 

Lorenzo è sparito da Facebook,
sono andato a cercarlo su Instagram,
magari si è aperto un profilo lì,
ma non c’è,
soltanto un omonimo,
su Facebook invece c’è, sì, ma
è sparito, non pubblica nulla da novembre 2020,
nell’ultimo post diceva che il bar lo chiude
e non lo riapre fino a quando ’sta roba non finisce,
che lui star dietro a ’sta roba delle zone
e dei colori delle zone
gialle rosse arancioni
e ’sta roba degli orari
e dei coprifuoco
proprio non esiste,
che preferisce morire di fame,
e vaffanculo,
diceva nel post,
poi non ha pubblicato più niente,
qualcuno lo ha taggato, insieme ad altre 99 persone,
in una vignetta dove c’è disegnato
un signore altissimo e grassissimo tutto nudo
che frusta sulla schiena alcuni signori bassissimi e magrissimi,
e sul petto del signore altissimo e grassissimo
c’era scritto “Stato”,
e sulla schiena dei signori bassissimi e magrissimi
c’era scritto “Italiani”,
Lorenzo però non ha messo nemmeno Mi Piace,
e il bar effettivamente è rimasto chiuso,
è ancora chiuso,
ci passo davanti tutti i giorni,
mi ricordo che l’ultima volta che ci ero stato
Lorenzo mi aveva detto che lui c’ha trentadue anni,
e che negli ultimi venti
la cosa più importante che ha imparato a fare
è stata il cappuccino con il disegnino del cuore,
che poi comunque suo padre, Gino,
che è il proprietario vero del bar,
gli ha detto di non farlo, quel disegnino del cuore,
che quelle ricchionate non servono a niente,
gli ha detto Gino,
e Lorenzo, mi ricordo, qualche anno fa,
era estate, era notte,
stavamo seduti ai tavolini fuori dal bar,
si era bevuto mezza bottiglia di Vov, parlava da solo,
diceva che lo ammazza,
che lo ammazza, che lo ammazza,
guardava verso la porta del bar,
suo padre, Gino, stava spazzando per terra,
per un attimo, mi sono accorto, i loro sguardi
si sono incrociati,
e Lorenzo ha cominciato a respirare
fortissimo col naso,
per un minuto abbondante,
poi un altro sorso lungo di Vov,
gli occhi pieni di rosso, di lacrime.

 

*

 

Due vecchie poesie d’amore ritrovate

 

Apri la stanza e ti fruga lo stomaco
l’odore di cucinato di ieri,
per esistere tocchi
i bordi delle cose
(tutte, che esistono, e fremono, e suonano)
e ignori tuo padre che vibra in tasca,
ti detesti nel bagno senza vasca
(per un disordine strano e improvviso,
se ne sta tutto quanto nel tuo dentro,
da due, tre giorni, e pure che ne parli
non passa, anzi, peggiora,
«Si riscompone tutto»
hai detto a chi ti ascolta
al bar, tutto il sole addosso, domenica)
ritorni, allora, richiudi la stanza,
ti ristendi tra gli schemi e i diagrammi,
«Tanto poi ti passa, non fare drammi»,
tra l’evidenziatore, un po’ di briciole,
tra il regolatore dell’umore
e la foto di quel giorno che poi
[…],
più tardi rispondi a tutti, ora no
                  (ma non ti preoccupare: che io lo so).

 

*

 

Succede poi che «cuore» faccia rima
con chissà quali parole: tranne una,
quella, l’unica, che mi sbrana da dentro
simile più a un tumore che a uno stupore:
pietra che mi stringo puntuale al collo
ogni volta che spalanchi l’abisso
di quei tuoi occhi – e di quel tuo tutto denso:
succede poi che desidero male:
il mio male, il mio affogare, il mio silenzio
innaturale – come il tuo pensare
che è luce e che è buio e che troppo:

«Non dire niente», mi dico: «Non dirti;
prendi la pietra, vai nel fondo, sparisci –
ma da questo te»: da questa te:
«Capisci?».

 

© Fotografia di Riccardo Frolloni