André Frénaud (Montceau-les-Mines 1907 – Parigi 1993) è stato un poeta francese. Partecipò alla Resistenza e divenne celebre grazie alla raccolta Les rois mages (1943). Gran parte della sua opera è racchiusa in due volumi, Il n’y a pas de paradis (1962) e La Sainte Face (1968). Le sue “conversazioni” con B. Pingaud contengono importanti dichiarazioni di poetica. In Italia è stato tradotto da diversi poeti, tra cui Caproni, Bertolucci e Fortini.
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LE DRAME
Nous n’arriverons pas à tout croire
Il ne savait pas qu’elle n’ignorait rien
Elle ne s’est pas encore mise à genoux
Il ne l’accablera pas de ses malices
La glace ne s’est pas ridée
Les mots n’ont rien su dire
Le silence n’éclaire pas l’affaire
L’amour n’est pas plus fort que la mort
Nous n’avons rien vu
IL DRAMMA
Non arriveremo a credere a tutto
Lui non sapeva ch’ella non ignorava niente
Lei non si è ancora messa in ginocchio
Lui non l’affliggerà con le sue cattiverie
Il ghiaccio non si è increspato
Le parole non hanno saputo dire nulla
Il silenzio non rischiara la faccenda
L’amore non è più forte della morte
Non abbiamo visto nulla
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POUR ATTIRER DANS MON RIRE
Pour attirer dans mon rire
La francoise et l’herbe douce,
Pour effrayer dans mon regard
L’appel inamical des bêtes,
Pour flatter la route évasive,
Pour frapper la foudre de peur,
J’ai donné mon nom à la vie,
Quand m’aurait-elle rendu raison,
Si j’ai voulu le seul amour
Qui portait pouvoir de me perdre.
PER ATTIRARE NEL MIO RISO
Per attirare nel mio riso
La francesina e l’erba dolce,
per spaventare nel mio sguardo
l’appello ostile delle bestie,
per blandire la strada evasiva,
per colpire il fulmine di paura,
ho dato il mio nome alla vita.
Quando questa mi avrebbe dato ragione?
Io che ho voluto il solo amore
Che aveva il potere di perdermi.
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UNE FUMEE
La vie se rassemble à chaque instant
Come une fumée sur le toit.
Comme le soleil s’en va des vallées
Comme un cheval à larges pas,
La vie s’en va.
O mon désastre, mon beau désastre,
Ma vie, tu m’as trop épargné.
Il fallait te défaire au matin
Comme un peu d’eau ravie au ciel,
Comme un souffle d’air est heureux
Dans le vol bavard des hirondelles.
UNA FUMATA
La vita si raccoglie in ogni istante
Come una fumata sul tetto.
Come il sole che se ne va dalle valli
Come un cavallo per lunghi passi,
la vita se ne va.
O mio disastro, mio bel disastro,
mia vita, troppo mi hai risparmiato.
Ti saresti dovuta disfare al mattino
Come un goccio d’acqua rapito dal cielo,
con la felicità di un soffio d’aria
nel volo loquace delle rondinelle.
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J’AI BÂTI L’IDÉALE MAISON
Je l’ai proférée en pierres sèches, ma maison,
Pour que les petits chats y naissent dans ma maison,
Pour que ls souris s’y plaisent dans ma maison.
Pour que les pigeons s’y glissent, pour que la mi-heure y mitonne,
quand de gros soleils y jouent avec personne,
c’est-à-dire avec le vent chaud, les marronniers.
C’est pour cela qu’il n’y a pas de toit sur ma maison,
ni de toi ni de moi dans ma maison,
ni de captifs, ni de maitres, ni de raisons,
ni de statues, ni de paupières, ni la peur,
ni des armes, ni des larmes, ni la religion,
ni d’arbres, ni de gros murs, ni rien que pour rire.
C’est pour cela qu’elle est si bien bâtie, ma maison.
HO COSTRUITO LA CASA IDEALE
L’ho fatta in pietre asciutte, la mia casa,
affinché vi nascano piccoli gattini, nella mia casa,
affinché vi si trovino bene i sorci, nella mia casa.
Perché i piccioni vi s’infilino, perché la controra vi passi,
quando i gran soli vi ammiccano nei cantucci.
Perché i bambini ci giochino con nessuno,
ossia col vento caldo, le castagne.
È per questo che non vi è un tetto sulla mia casa,
né tu né io nella mia casa,
né degli schiavi, né dei padroni, né delle ragioni,
né delle statue, né delle palpebre, né la paura,
né armi, né delle lacrime, né la religione,
né degli alberi, né mura spesse, né altro se non qualcosa da ridere.
È per questo che è così ben costruita, la mia casa.
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IL N’Y A PAS DE PARADIS*
à Dylan Thomas
Je ne peux entendre la musique de l’être.
Je n’ai reçu le pouvoir de l’imaginer.
Mon amour s’alimente à un non-amour.
Je n’avance qu’attisé par son refus.
Il m’emporte dans ses grands bras de rien.
Son silence me sépare de ma vie.
Être sereinement brûlant que j’assiège.
Quand enfin je vais l’atteindre dans les yeux,
Sa flamme a déjà creusé les miens, m’a fait cendres.
Qu’importe après, le murmure du poème.
C’est néant cela, non le paradis.
*Je venais d’apprendre par une personne amie de Dylan Thomas qu’au cours d’une conversation celui-ci, imaginant et rêvant, s’était écrié : << Je voudrais faire entendre la musique du Paradis. >>
NON C’È IL PARADISO*
a Dylan Thomas
Non riesco a sentire la musica dell’essere.
Non ho ricevuto il potere di immaginarla.
Il mio amore si alimenta da un non-amore.
Non avanzo se non attizzato dal suo rifiuto.
Mi porta nelle sue grandi braccia di nulla.
Il suo silenzio mi separa dalla mia vita.
Essere che serenamente arde e io assedio.
Quando alla fine sto per prenderlo negli occhi,
la sua fiamma ha già scavato i miei, e divento cenere.
Che importa poi, il mormorio della poesia.
È il nulla quello, non il paradiso.
*Avevo appreso da una persona amica di Dylan Thomas che egli, nel corso di una conversazione, preso dall’immaginazione e dai sogni, aveva gridato: << Vorrei far sentire la musica del Paradiso. >>
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LA COMMUNE DE PARIS
La France est là couchée, elle est debout qui chante.
Jeanne d’Arc et Varlin. Il nous faut creuser loin,
Ma patrie qui remue sous les pavés épais.
La Commune pays tendre, le mien, mon sang qui brûle,
De ce sang qui va remonter entre les pavés.
Je le vois quand le peuple joue sous le ciel veiné,
Quand tombe encore le soleil du vingt-huit mai,
Si l’accordéon mène à la joie la vie pressante.
C’est la vertu du peuple sous l’oriflamme, un cœur tendu,
Mon cœur qui bat quand a passé l’étrange
Nuit de l’égorgement, et bat encore à la bonté
Du peuple enfoui sous le pavés qui joue, qui pleure.
LA COMMUNE DI PARIGI
La Francia è lasciata là, in piedi che canta.
Giovanna d’Arco e Varlin. Ci deve fare lievitare in alto,
mia patria che ti agiti sotto la densa terra.
Il Commune paese tenero, il mio, il mio sangue che brucia,
tra quest’altro sangue che sgorga dalla terra.
Vedo il popolo gioire sotto un cielo di venature,
cadere ancora lo stesso sole del ventotto maggio,
e così la fisarmonica porta alla gioia quest’urgenza di vita.
Questa è la virtù del popolo sotto l’orifiamma, un cuore teso,
il mio cuore, che batte passando la strana
notte della folla, e batte ancora per la bontà
del popolo nascosto sotto la terra che gioisce, che piange.
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Vladislav Karaneuski (Minsk, Bielorussia, 1999) vive a Monza, è laureato in lettere all’Università degli studi di Milano con una tesi in filologia romanza, sta attualmente continuando gli studi specializzandosi nella medesima disciplina. Suoi articoli di letteratura, critica, storia, linguistica e filologia romanza sono usciti per riviste online come ilSuperuovo, Frammenti Rivista, Magma Magazine e Arateacultura. In via di pubblicazione è una sua plaquette poetica per un progetto antologico sostenuto dall’Università IULM di Milano.
Fonte: Il n’y a pas de Paradis, Gallimard, 1962.
André Frenaud: Frénaud, André nell’Enciclopedia Treccani