Alberto Bertoni – Inediti

BERTONI3

Alberto Bertoni è nato a Modena nel 1955. È autore dei libri di poesia: «Lettere stagionali» (1996, nota di Giovanni Giudici); «Tatì» (1999, omaggio in versi di Gianni D’Elia); «Il catalogo è questo. Poesie 1978-2000» (2000, intervento di Roberto Barbolini); «Le cose dopo» (2003, postfazione di Andrea Battistini); «Ho visto perdere Varenne» (2006, prefazione di Niva Lorenzini); «Ricordi di Alzheimer» (2008 e 2012, con una lettera in versi pavanesi di Francesco Guccini); «Recordare» (2011, con Roberto Alperoli ed Emilio Rentocchini, prefazione di Marco Santagata); e «Il letto vuoto» (2012).

Alberto Bertoni 
( Inediti )

Da Zàndri/Ceneri  

*

Dov’era il tennis

Assisterò al massacro, avrò
un’andatura strana
sulla caviglia malata
che da un’era lontana
mi accompagna

Rarissima gara
da vita o morte,
rivale un magistrato
al primo turno,
e adesso mi ricordo la palla
non so più se bianca o gialla
colpita prima piatta
e subito di taglio

Poi la guardo che passa,
che quasi mi scavalca
rimbalzando alta
posso solo smorzarla
sul terreno duro
rovescio in contropiede
e la gamba come gancio
che si pianta

Subito fuori a braccia
giocatore senza futuro
prima volta faccia a faccia
col suo muro

*

L’avversario

Nell’economia della tua partita
quanto costa la corsa
verso la pallina
smorzata sul rovescio?

Certo, ci arrivi, la ribatti
ma non spingi abbastanza e la tua
controparabola si spegne
una spanna prima della rete

Solo un quindici, in fondo, un
piccolo quindici perduto
in un gioco di risposta
ma in quell’inutile scatto
l’intera partita se n’è andata
e più nessuno gioca
nei campi attorno

Per un tuo ace
si raccoglie in preghiera
buona parte del mondo
ma il secondo servizio nasce fiacco
passa appena il nastro
e rimbalzando alto
è facile preda dell’attacco
sulla riga di fondo

In un sorriso indecifrabile
fiero e spaesato nel tendere la mano
è già lì l’avversario
la racchetta sotto braccio
a metà campo

*

Dedzà o dedlà?

                        per Alberto Prandi, in memoria

Fàmm a môd, va’ là
quand a-m tucarà
ed paghèr al còunt
fin a l’ùltem bugnìn
e gnir dedlà

Fàmm un inféren
ch’a-s rédda ogni tant,
a-s bàvva un bicêr
e s’a-t vîn vôia ed carghèr un caval
ch’a-gh sia pròunt lè de drê
un àn?el o un prêt
a dèr fóra la bulàta
e al progràma col camp
di partèint, i nómer, i an
e i fantèin

Dàpp, t’è-m darèe anch
‘na càmbra sèinza bgòun,
cun almeno dô pultròuni,
un tavlèin, soquànt léber, ‘na fnèstra
per guardèr al mand
e tôtt i mòd pusìbil
ed fèr al scòmed ogni dopràn?
casomai ch’a-m vèigna bi?èign
ed pisèr un cumèint, ‘na ciacarèda
o anch sôl ‘na zighèda insàmm
a chi umarèl ch’i pàsen
tótt i dè là in fànd
ra?èint a-la séva di mòrt

Di qua o di là?

Fammi risparmiare qualcosa, ti prego, quando mi toccherà di pagare il conto fino all’ultimo centesimo e venire di là. Fammi un inferno dove ogni tanto si rida, si beva un bicchiere e se ti viene voglia di scommettere forte su un cavallo, che ci sia pronto lì dietro un angelo o un prete a dar fuori il tagliando della giocata e il programma col campo dei partenti, i numeri, gli anni e i fantini. Dopo, mi darai anche una stanza senza scarafaggi, con almeno due poltrone, un tavolino, alcuni libri, una finestra per guardare il mondo e tutti i modi possibili per calarmi nella parte del tipo difficile ogni dopopranzo, mi venga casomai il bisogno di pisciare un commento, una chiacchierata o anche solo un pianto assieme a quegli omarelli che passano tutti i giorni là in fondo, vicino alla siepe dei morti.

 


Fotografia di proprietà dell’autore.