AI DISCENDENTI DELLE SETTE SUFI

Per abbracciarmi mi si stanno staccando le 

scapole, si sbottonano dalle vertebre e

appassiscono divelte dall’omero e dalle 

costole. Saltano in aria lucente i muscoli 

omoioidei a destra e sinistra e tiro, tiro

forte in avanti fino a sfinirmi in afonia. 

Pelle tesa sotto i nervi rilascia membrane

nuove, più sottili, cartaforno larvale sotto 

la quale spinge l’Idra per uscire. Si vuole 

mostrare al mondo come acquaforte nera 

erosa, svilita nostalgia e noia, brachiali, 

sussurra cupidigia da dentro solleticando

le ossa- non vuole appassire nei romboidi:

deve rinvigorire i tanti canini sul grès 

porcellato, deve scartabellare archivi di 

corpi: non può starsene lì con le clavicole

e i deltoidi in mano. Ha voglia di addentare. 

Chiudo gli occhi come sotto i trapani fino

a marcire in penitenza e solitudine. Dopo 

aver avuto tutto sottomettendomi, clemente

e divertito si rintana sotto al cuore. Mentre

tremo, spontaneamente so aver coccolato 

un orrore nuovo, d’essermi lussato le falangi.