Tahel Frosh – inediti (traduzione di Sara Ferrari)

FROSH

Tahel Frosh è nata a Tel Aviv nel 1977. Ha studiato giurisprudenza all’Università Ebraica di Gerusalemme e, in seguito, si è specializzata in Psicologia Clinica. Ha collaborato come saggista con il quotidiano Ha-Aretz. Nel 2014 è uscito il suo primo e, per ora, unico volume di poesie Betza? (“Avidità”), il quale è in gran parte dedicato alla difficile situazione socio-economica israeliana. Il libro ha suscitato non poche polemiche e i critici letterari israeliani si sono divisi: alcuni sostengono che la scrittura di Tahel Frosh sia addirittura da ritenersi “anti-poetica”. Tuttavia, la maggior parte di essi ha riconosciuto lo straordinario valore letterario dei suoi versi, nonché il loro profondo significato per la realtà, letteraria e non, dello Stato ebraico.

Tahel Frosh
inediti
traduzione dall’ebraico di Sara Ferrari

 

anteprima dei testi in lettura al Festival Internazionale di Poesia di Genova “Parole Spalancate” (info: qui)

parole spalancate genova

 

FROSH oh banchiere mio

 

Oh, banchiere* mio

Oh banchiere mio fottimi tu vuoi fottere me per bene e non qualche tycoon tu non vuoi
nessun tycoon no, sì sì sì, oh banchiere mio tu vuoi fottere me per bene e nessun tycoon
non perbene, no, con i tycoon tu siedi a pranzo in ristoranti di grido mangiando
gamberetti in salsa allegra, mentre con me è tutto fuochi d’artificio e passione c’è molto
Thanatos e questo, si sa, è sin dove può spingersi la vita

Oh fratelli! Non fate caso a me per chi mi affatico scrivendo poesie per chi per quei carini
che vanno a mangiare in ristoranti di grido hanno mani con dita sposate pronte a firmare
cartellini di commessa, reggono l’economia sulle proprie intere spalle oh lungo la strada
verso la manifestazione contro i tycoon e le loro relazioni platoniche col banchiere vi vedo
al tapas bar mangiando carne latina mentre la mia è vuota e il cartello che sollevo resta
eretto come un uccello sotto Viagra, siete voi la mia rovina lungo la strada verso
la manifestazione contro la guerra

Oh voi! Quelli che vogliono fare soldi oh quelli che vogliono arricchirsi e quelli che
vogliono spendere quelli che vogliono mangiare e poi produrre dolore su eleganti
biciclette sportive, quelli che indossano una camicia abbottonata e quelli che indossano un
completo quelli che fanno una carriera meteorica e quelli di cui si scrive e quelli che un
fremito li attraversa prima di mettere il piede in prima classe e quelli che amano il marmo
bianco venato quelli che sanno che cosa il denaro può fare e tacciono

Oh banchiere mio fottimi e compirò un attacco suicida nella lobby dopo aver sussurrato
semek ars fanculo e nulla accadrà fottimi a effetto retroattivo con cinque anni di rate su
documenti sottoscritti allora uscirò alla luce del sole per le strade dopo uno stupro non
riconosciuto dalle autorità oh! nessuna donna poliziotto verrà a salvarmi né le associazioni
femminili né le organizzazioni per la pace e nemmeno l’ente protezione animali

* Il testo originale mostra la parola “banca”.

FROSH contabile



Contabile

Papà, il tuo lavoro penso ti abbia ucciso, quand’ero piccola uscivi ogni
mattina di casa a orari inconcepibili e il mio cuore batteva mentre giacevo a letto desiderando di
uccidere tutti quanti e me stessa perché eri obbligato ad alzarti presto e a viaggiare in ogni dove,
i tuoi occhi ti hanno ucciso, indossavi occhiali particolari, il sole ti abbagliava e di notte non
vedevi nulla, eppure ti mettevi in viaggio per una sorta di fedeltà canina al posto, sei sempre
stato fedele al posto di lavoro, a ogni posto di lavoro: una volta all’Hassneh, dov’eri direttore di
una società d’investimenti che fu poi privatizzata e fallì e fu chiusa, lasciandoti il cuore spezzato,
quindi hai voluto lavorare come autonomo e sei passato a una banca polacca e poi
hai deciso di tornare a essere dipendente e sei andato a lavorare per la Koor Industries che pure
fu privatizzata e tu fosti licenziato, allora sei andato in Africa a lavorare per Solel Boneh e hai
avuto un esaurimento nervoso a causa del Lariam che ti avevano prescritto per proteggerti dalle
malattie equatoriali, ci telefonasti in lacrime da laggiù, sperduto, debole e piccolo, io ho studiato
giurisprudenza, la mamma si era rotta una gamba, ti parlai al telefono cercando di calmarti, è
tutto a posto ti dissi, dalle fotografie si vede che lì ti trovi bene, mostravi un sorriso minuscolo e
riservato accanto all’imponente donna di colore che stava alla tua destra, accanto al ciclomotore
che usavi per spostarti e al mucchio di pesci che all’improvviso ti eri messo a mangiare, mentre
in Israele ti eri sempre rifiutato con tutte le tue forze, poi la filiale africana fu chiusa e tu tornasti
a casa e ti diedero da dirigere una divisione di Shikun binui, un’altra società di Sari Arison, ed eri
sempre teso perché dovevi sgobbare per chiudere il trimestre e non avevi mai tregua e non eri
mai soddisfatto, io non sapevo nulla di ciò che facevi, solo che arrecava stress ed eri stressato,
lo stress era ovunque e lievitava a tal punto che c’era il rischio che quel posto esplodesse per il
troppo stress insieme a tutto il mondo, ti muovevi in un mondo dentro un mondo di cui non
avevo parte ed era il solo tuo mondo, offrivi tutto te stesso a degli estranei e a me lasciavi un
profilo a ore tarde di fronte a schermi televisivi che con gli anni sono diventati più sottili e più
grandi, sempre più sottili e più grandi sempre più, papà, papà, avrei voluto lavorare in ufficio con
te, che mi portassi in ufficio, che mi ci portassi tenendomi per mano, che mi dessi dei conti da
eseguire, frequentavo lezioni supplementari di matematica e presi nove, volevo essere brava in
contabilità, ma tu non mi hai mai portata con te, perché non hai preso dieci? dicesti ridendo, fu la
sola nostra risata insieme, e tutto ciò andò avanti ancora e ancora
credevo che sarebbe andata avanti così fino alla nostra morte, all’improvviso però ti sei
ammalato e non di un’inezia ma di una malattia terminale,
e questa fu la tua fine, la fine del lavoro, la fine del profilo
l’inizio di un volto intero, il principio del tuo amore. Così ci capitò il miracolo infine.

FROSH isabella addormentata tra i cani

Isabella addormentata tra i cani

Isabella chiese dove fossero i cani
dormì tra i cani sognò cani
nel turbine della bufera
in casa nostra non ce n’erano e nemmeno nelle altre
ma Isabella cercava i cani.

E no, quella non era casa nostra
ma una stanza dove la casa era possibile
e dove l’amore era possibile,
ma a ogni pioggia che cadeva
ci aggiravamo per la stanza scagliando pietre.

Dormiva Isabella tra i cani
seminando un osso per il vagabondare
come lei andammo
da una casa all’altra
e a ogni pioggia che cadeva scoprivamo solo rami.

Riposano assopiti su Isabella
cani neri intrichi
sui suoi seni di lana
ne fu morsa la sua carne, tutti sanno

Sedevo per la strada e vidi noi due
o forse non vidi altro che la fuga
bussai ai rami e bussai con forza
e a ogni porta non c’era casa
le bufere calarono svanirono e nel cielo un azzurro squarciò.


Tahel Frosh è nata a Tel Aviv nel 1977. Ha studiato giurisprudenza all’Università Ebraica di Gerusalemme e, in seguito, si è specializzata in Psicologia Clinica. Ha collaborato come saggista con il quotidiano Ha-Aretz. Nel 2014 è uscito il suo primo e, per ora, unico volume di poesie Betza? (“Avidità”), il quale è in gran parte dedicato alla difficile situazione socio-economica israeliana. Il libro ha suscitato non poche polemiche e i critici letterari israeliani si sono divisi: alcuni sostengono che la scrittura di Tahel Frosh sia addirittura da ritenersi “anti-poetica”. Tuttavia, la maggior parte di essi ha riconosciuto lo straordinario valore letterario dei suoi versi, nonché il loro profondo significato per la realtà, letteraria e non, dello Stato ebraico.

Fotografia dell’autrice tratta da World Literature Today 

Sara Ferrari insegna Lingua e Cultura Ebraica presso l’Università degli Studi di Milano. Si occupa principalmente di letteratura ebraica moderna e contemporanea. Tra le sue pubblicazioni: Forte come la morte è l’amore. Tremila anni di poesia d’amore ebraica (Salomone Belforte Editore 2007); YehudaAmichai, Nel giardino pubblico (A Oriente! 2008); La notte tace. La Shoah nella poesia ebraica (Salomone Belforte Editore, 2010); Uri Orlev, Poesie scritte a tredici anni a Bergen-Belsen (Editrice La Giuntina, 2013).

 

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